Le origini del convento di San Domenico sono conosciute con buona precisione attraverso la cronaca duecentesca del notaio reggiano Alberto Milioni, che essendo vissuto qualche decennio dopo gli avvenimenti, li ha potuti conoscere dalla viva voce dei protagonisti.
Era il 25 luglio 1233 quando i cittadini reggiani, infiammati dalla predicazione di fra Giacomino da Reggio, iniziarono a scavare le fondamenta di una chiesa e di un convento per i frati Domenicani.
A collaborare alla costruzione accorsero tutte le categorie sociali, portando chi mattoni, chi sabbia, chi calcina, in un moto di entusiasmo collettivo che consentì di terminare la costruzione nel volgere di soli tre anni.
Agli inizi del secolo l’allargamento della cinta muraria urbana aveva racchiuso intorno all’abitato una larga fascia coltivata ad orti e vigne destinata a compensare il futuro sviluppo demografico della città e tale spazio fornì l’opportunità di insediare dentro le mura , nel quartiere di San Pietro, la nuova chiesa intitolata a Gesù Cristo.
A quella data il convento domenicano di Reggio si trovava ad essere uno dei primi in Emilia destinato al nuovo ordine religioso, che era stato fondato nel 1206 da Domenico di Guzman ed aveva ottenuto l’approvazione papale soltanto nel 1216.
Le notizie successive intorno agli sviluppi del complesso conventuale sono molto meno circostanziate, perché i documenti rimasti non sono molto numerosi e sono stati finora studiati in modo insufficiente..
Lavori di ampliamento sono ricordati da disposizioni del consiglio cittadino degli Anziani, che nel 1420 e nel 1461 aveva stanziato fondi per il restauro della chiesa e la costruzione della biblioteca, alla quale risultano destinate anche donazioni successive da parte di alcuni privati cittadini.
Il trasferimento del Tribunale della Santa Inquisizione in alcuni locali del convento prospicienti la piccola piazza su cui si affacciava la chiesa, avvenuto nel 1509, ha coinciso con una serie di lavori di ampliamento e trasformazione, che i documenti non consentono di precisare e che alla fine del secolo non erano del tutto terminati.
Il Seicento non ha lasciato tracce significative nel complesso conventuale, su cui si tornano a trovare notizie interessanti soltanto nei documenti settecenteschi.
Adibiti ad ospedale militare nel 1702, chiesa e convento hanno subito una serie di danneggiamenti che hanno fornito il pretesto per un restauro generale progettato dall’architetto Giuseppe Maria Ferraroni nel 1723.
In quell’occasione la chiesa è stata radicalmente trasformata con la realizzazione di una copertura a volte e di un profondo coro e con l’aggiunta di due ampie cappelle laterali contrapposte, che hanno comportato la demolizione del lato meridionale del primo chiostro del convento, detto “chiostro dei morti” perché adibito ad area cimiteriale fin dal Duecento.
In età napoleonica il convento di San Domenico è stato utilizzato come caserma per le truppe e tale destinazione è divenuta permanente con il ritorno del governo estense nel 1814, che per un migliore adattamento al nuovo uso lo ha sottoposto a radicali trasformazioni progettate dall’architetto Domenico Marchelli.
Nel 1860, infine, il complesso è stato destinato a “Deposito cavalli stalloni” ed ha subito un nuovo pesante intervento edilizio, che nel 1872 si è concluso con l’aggiunta di un ampliamento sul lato occidentale, detto “ala Castelnuovo”.
Nel 1980 il “Deposito cavalli stalloni” già ridotto di importanza e ridenominato “Istituto di incremento ippico” è stato definitivamente chiuso e l’intero complesso è passato all’Amministrazione comunale che, dopo un lungo restauro, lo ha destinato alle attività culturali creandovi sale espositive e uffici ed insediandovi l’archivio storico del Comune, l’Istituo storico per la Resistenza e l’Istituto musicale “A. Peri”.
Prima dei restauri, a parte alcune tracce ancora visibili sulla facciata e sul fianco meridionale della chiesa di San Domenico, non restavano altre testimonianze riferibili alla primitiva costruzione sorta negli anni 1233-1236, ma nell’ex convento predominavano le forme neoclassiche assunte nelle trasformazioni operate dal Marchelli a partire dal 1814.
Qualche traccia cinquecentesca si leggeva nel “chiostro dei morti”, dalle cui arcate tamponate affioravano colonne d’ordine dorico, ma un’uniforme intonacatura moderna toglieva ogni possibilità di individuare altri parti antiche.
Soltanto i lavori di restauro compiuti negli ultimi decenni del Novecento hanno offerto l’occasione per un’accurata indagine sulle strutture, che ha consentito il riconoscimento delle varie fasi edilizie ricordate dai documenti storici, precisandone passaggi e integrandone lacune informative.
La fase più antica del convento è stata testimoniata da resti di murature, da tracce di porte e finestre databili al Duecento e al Trecento, che si trovano localizzate nella parte adiacente alla chiesa, intorno all’antico “chiostro dei morti”, completamente ristrutturato nel corso del Cinquecento con l’aggiunta di colonne in arenaria d’ordine dorico e volte a crociera su cui era stato costruito un corridoio antistante alle celle.
Prima di questa trasformazione il porticato del chiostro era coperto con travature lignee che reggevano un semplice tetto di tegole, in ossequio alla povertà che contrassegnava i primi insediamenti degli ordini mendicanti.
Una ristrutturazione più complessa della semplice costruzione di una biblioteca, che troviamo menzionata nei documenti quattrocenteschi, è testimoniata da ampie tracce murarie che hanno rivelato un’ampliamento del convento verso settentrione, avvenuto presumibilmente fra il 1420 e 1470, con la costruzione di due ali di un nuovo chiostro.
La prosecuzione di questi lavori fino a chiudere su quattro lati un nuovo grande cortile di forma quadrangolare è avvenuta nel corso del Cinquecento, quando il convento ha assunto un aspetto decisamente più moderno.
Va compreso in quei lavori anche il competo rifacimento in muratura del “chiostro dei morti”, in precedenza ricordato.
Al termine di questa campagna edilizia il complesso domenicano aveva raggiunto l’estensione che conservava ancora agli inizi dell’Ottocento.
In seguito a questo grande sviluppo, nel corso del Settecento gli interventi edilizi sono stati abbastanza contenuti ed hanno mirato soprattutto ad ammodernare ad alcune parti del complesso architettonico.
Nell’ala orientale del secondo chiostro sono state accorpate a due a due, con l’apertura di porte di comunicazione, le celle del piano terreno, rese più confortevoli con l’aggiunta di camini e decorazioni in stucco alla base delle volte.
Si è costruito inoltre un monumentale scalone ancora esistente, anche se pesantemente restaurato nell’Ottocento, che conduceva al primo piano e al cui sbocco è stata realizzata un’ampia porta incorniciata con stucchi di gusto rococò.
L’unica radicale trasformazione architettonica è avvenuta nel “chiostro dei morti” , che l’ampliamento della chiesa ha decurtato dell’ala meridionale.
Precisa testimonianza della forma raggiunta dal convento in seguito a questi lavori si ha in una pianta redatta dall’architetto Luigi Manzotti sul finire del Settecento, che costituisce un importante punto di partenza per comprendere meglio anche l’entità delle trasformazioni compiute all’inizio dell’Ottocento da Domenico Marchelli.
Le più radicali hanno interessato il chiostro settentrionale, o “chiostro grande”, le cui colonne antiche sono state eliminate nei lati est e nord, mentre nei restanti sono state nascoste all’interno di nuovi pilastri rettangolari in muratura, che hanno dato al chiostro l’aspetto neoclassico recuperato con gli ultimi restauri.
Anche questo carattere, infatti, era andato per buona parte perduto nel corso del secondo Ottocento, quando le destinazione del complesso monumentale a “Depositi cavalli stalloni”, aveva trasformato portici e celle in scuderie per cavalli e i piani superiori in alloggi per le truppe e gli ufficiali.
San Domenico del frate domenicano Giovanni da Fiesole (il Beato Angelico, sec. XV). | ![]() |
Lapide in memoria di Carlo Nobili su una parete dell'ex Chiostro Grande. | ![]() |
Frontespizio dell'opuscolo di Guglielmo Gherardi Sul modo di migliorare in breve la razza equina in Italia, Reggio Emilia, 1874. | ![]() |