Luci della ribalta - Limelight
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Regia: | Chaplin Charlie |
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Cast e credits: |
Soggette sceneggiatura: Charles Chaplin; fotografia: Karl Struss; musiche: Charles Chaplin; montaggio: Joe Inge; scenografia: Eugene Lowrie; costumi: Riley Thorne; interpreti: Charles Chaplin (Calvero), Claire Bloom (Terry), Nigel Bruce (Postant), Buster Keaton (Partner Di Calvero), Sydney Chaplin (Neville), Marjorie Bennett (Mrs. Alsop), Barry Bernard (John Redfern), Geraldine Chaplin (bambina quartiere), Josephine Chaplin (bambina quartiere), Michael Chaplin (bambino quartiere), Charles Chaplin Jr. (poliziotto nella pantomima), Mollie Clessing (cameriera), Jack Deery (emissario in galera), Wheeler Dryden (medico/clown), Andre Eglevsky (Arlecchino), Melissa Hayden (Colombina), Stapleton Kent (Claudius), Norman Lloyd (Bodalink), Julian Ludwing (suonatore ambulante), Leonard Mudie (dottore), Snub Pollard (suonatore ambulante), Edna Purviance (una spettatrice), Loyal Underwood (suonatore ambulante); produzione: Celebrated Productions; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Usa, 1952; durata: 135'. |
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Trama: | Calvero, un clown, che per anni ha saputo divertire il pubblico, si sente ormai vecchio e stanco. Il pubblico non lo segue più: in preda allo scoraggiamento egli cerca conforto nell'alcool. Una notte, rientrando semiubriaco nella sua soffitta, sente filtrare puzzo di gas dall'uscio accanto. Entra nella stanza e vi trova semiasfissiata Teresa, una giovane ballerina. Egli le salva la vita, ha cura di lei e cerca di infonderle fiducia in sè stessa: per venirle in aiuto cerca lui stesso di lavorare, ma l'insuccesso lo abbatte. Teresa, commossa nel vedere la sua pena, trova la forza di vincere una momentanea paralisi: si alza e può accettare una scrittura insieme al suo protettore. La ragazza trionfa, mentre Calvero non ritrova più il successo; ma i due sono comunque felici. Si tratta però solo di un breve momento: Teresa rivede Neville, giovane pianista, che le manifesta di nuovo un affetto che ella ricambia. E' la fine: Calvero si sente ormai inutile ed una sera, durante uno spettacolo, fa appello a tutte le sue energie per riconquistare il suo pubblico. Egli spicca un salto prodigioso e va a cadere, tra le risate generali, sull'orchestra. Il pubblico applaude freneticamente; ma il cuore del vecchio clown non ha retto allo sforzo. Calvero muore poco dopo. |
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Critica (1): | Limelight parte da un'accurata ricostruzione del music hall inglese degli inizi del secolo, in cui si muove il vecchio e decaduto attore Calvero. Il teatro ha un ruolo essenziale: è di fatto il solo modo che ha avuto Calvero di esprimersi, di essere vivo; nemmeno l'amore di Terry gli basterebbe: il teatro (il cinema, l'arte) è tutto. È anche l'eterna giovinezza, la noncuranza leggera con cui il «cuore» affronta la spietata lucidità della «mente». Permette di non morire, anche nella morte. «Il tema del teatro e della vita (…) si combina con il tema faustiano della vecchiaia (…) e Calvero è l'antifaust, colui che sa invecchiare e rinunciare a tutto» (Bazin). Di fronte a lui, «Terry rappresenta, nella sua perfetta suggestione visiva, la lotta dell'artista per la pura bellezza: l'attimo in cui la si attinge, ripaga di tutto» (Chiarini). Terry non è semplicemente un duplicato femminile del protagonista, né la donna bisognosa di aiuto, come le passate partner di Chaplin – ma è il rovescio a
suo modo dialettico di Calvero: è il bisogno di infelicità che nasce dalla disperazione, è pulsione di morte che Calvero riesce a sconfiggere. Il "miracolo" per cui Terry riprende a camminare è una nascita, cioè la conquista della vita attraverso la coscienza del desiderio. Il trionfo di Terry nel finale vale, per Calvero, assai piú che non la sua stessa caduta e morte, perché è solo in quel trionfo, in quella conquista alla vita che il suo "ideale" può appagarsi e realizzarsi: « Calvero ha vinto, Chaplin non ha rinunciato al proprio polemico primato » (Baldelli). La sconfitta (in questo caso, la morte) del protagonista viene rovesciata in vittoria: la morte di Calvero è il segno che prosegue quello dell'orgogliosa solitudine di Charlot.
«Il cuore e la mente, che enigma»: le parole di Calvero chiudono, nell'impossibilità della mediazione, il racconto, che si era aperto alla luce della disperazione. Limelight è percorso da questo doppio filo significante fino ad esserne lacerato. La trama stessa, con la sua tipica articolazione da melodramma, appare la più adatta alla rivelazione del pathos (mentre relega il comico sullo sfondo, nei numeri di Calvero). E la musica, che qui è elemento significante di primo piano, sottolinea in mondo prepotente proprio le ragioni del cuore. La musica di Chaplin in genere ha il maggior pregio in un non avvertirsi estremamente funzionale all'immagine, di cui tutt'al piú accompagna e sottolinea lo sviluppo ritmico (si pensi al pezzo che accompagna l'incontro di boxe in City Lights, o l'uso di Brahms e di Wagner in The Great Dictator); anche quando è impostata su un tessuto melodico caratteristico (La violetera di City Lights o il tema di Modern Times destinato a diventare famoso anche come ballabile col titolo di Smile), viene usata con parsimonia, come
sottofondo che ribadisce senza prevaricare l'immagine. Assai diverso è il caso di Limelight: a parte la banalità ciaikovskiana dell'Arlecchinata (che non viene usata solo come referente coreografico, dato che la coreografia stessa non è mai estranea all'azione), la musica svolge sempre un ruolo di sottolineatura pletorica. In questo modo l'espressione non discreta del pathos approda inevitabilmente al patetico, il sentimento lascia il posto al sentimentalismo – e tutto ciò finisce per contrastare, spesso in modo stridente, con l'altra cifra espressiva privilegiata da Chaplin, l'ironia.
(…) C'è una netta divergenza di tensioni: l'inevitabile tendenza all'astrazione, ad una visione sostanzialmente teologica della vita (la fiducia e la bellezza come motrici ontologiche dell'esistenza) si contrappone alla concretezza (cioè all'ironia) della messa in scena – ma la musica fa continuamente pendere l'ago della bilancia sul primo dei due termini. I grandi temi della vita («La vita è desiderio, non ha un senso. Il desiderio è il tema di tutta la vita»; «Combattere la felicità, è bello!»; «Per un uomo della mia età, ciò che conta è la verità. Solo questo mi resta – e, se possibile, un po' di dignità»), cioè i grandi temi dell'umanesimo chapliniano (qui rivelati a tutte lettere) finiscono per trovarsi squilibrati fra le due tensioni. Il cuore e la mente sono ancora un enigma irrisolto, rivelano l'incoerenza del loro sovrapporsi. Particolarmente significativa risulta proprio la didascalia che apre il film: «Il fascino delle luci della ribalta, da cui la vecchiaia deve ritirarsi quando entra la giovinezza... La storia di una ballerina e di un clown...».
La seconda parte del film sembra ripetere lo schema di tanti musical hollywoodiani in cui il nascere dello "spettacolo" diventa momento risolutivo dei problemi "personali" dei personaggi; ma la rivisitazione è, almeno qui, condotta criticamente e cancella di fatto la riconoscibilità del modello.
La presenza di tanti elementi mitici finisce per lasciare il segno nel film, il quale, anche per questo, assomiglia a The Circus piú che ad ogni altro film di Chaplin: anche là il protagonista era un clown e si innamorava d'una giovane ballerina, salvandola infine dal male, cioè da un "destino" dato in
forma aprioristica ed indefinita. (…)
Giorgio Cremonini, Charlie Chaplin, Il Castoro Cinema, 11/1977 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Charlie Chaplin |
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