Accompagnatrice (L') - Accompanist (The)
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Regia: | Miller Claude |
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Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo di Nina Berberova; sceneggiatura: Claude Miller, Luc Bèraud; fotografia: Yves Angelo; musica: Alain Jomy, Beethoven, Richard Strauss, Mozart, Schumann, Schubert, Berlioz, Massenet, Gay-Furber-Rose; montaggio: Albert Jurgenson; scenografia: Jean Pierre Kohut-Svelko; costumi: Jaqueline Bouchard; suono: Paul Lainè, Gèrard Lamps; interpreti: Richard Bohringer (Charles Brice), Elena Sofonova (Irène Brice), Romane Bohringer (Sophie Vasseur), Nelly Borgeaud (M.me Vasseur); produzione: Jean Louis Livim per Film par Film/Orly Films/Sedif/France 3 Cinèma/ Canal Plus/Sofiarp; distribuzione: BIM. origine: Francia, 1992; durata: 111'. |
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Trama: | Nel 1942 Sophie Vasseur, giovane pianista disoccupata, vive a Parigi occupata dai Nazisti, avendo un rapporto assai teso con la madre, insegnante di piano. La sua scialba e trasandata esistenza viene un giorno sconvolta dall'incontro con la giovane, bella, ambiziosa e già affermata cantante Irene Brice, che, ascoltatala, la assume come accompagnatrice per i suoi concerti. Irene è sposata a Charles, commerciante affermato che fa vivere Irene nel lusso, riuscendo a barcamenarsi tra occupanti e compatrioti e a realizzare cospicui introiti grazie alle sue molteplici relazioni. Sophie, che piano piano, affascinata dalla sicurezza e dalla personalità di Irene, è morbosamente interessata a tutto ciò che la riguarda, ne scopre per caso la relazione col giovane Jacques Fabert. Frattanto i Brice per il peggiorare della situazione dopo un concerto a Vichy, dove ignoti devastano la loro stanza d'albergo, decidono di fuggire a Londra via Lisbona. Sul treno dapprima e in nave Sophie incontra due giovani, che tentano, invano, di sedurla. Il primo pesantemente, il secondo, Benoit Weizman, un giovane gaullista ebreo, con intenzioni più serie. Ma in entrambi i casi Irene, gelosa della sua protetta che ella plagia ormai a suo piacere, manda a monte ogni cosa. A Londra i Brice vengono arrestati per presunto collaborazionismo, ma l'intervento di Jacques, sollecitato segretamente da Irene, li libera. Mentre la cantante colleziona un successo dopo l'altro, l'accompagnatrice ne diviene sempre più l'ombra fisica (la pedina addirittura nei suoi incontri furtivi con l'amante) e psicologica. Charles, che sa della relazione di Irene, ma ne è come stregato, non regge più alla tensione e all'amarezza e si toglie la vita. Tornata a Parigi Sophie, alla stazione, incontra Benoit ferito di guerra, che ha sposato un'altra. Irene sposerà Jacques e andrà con lui in America, lasciando la ragazza più sola e frustrata che mai. |
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Critica (1): | Sophie è una ragazza discreta che fa bene il suo lavoro, ma è in un angolo ombroso della sua mente, nella chambre vert della gente normale, che si può annidare l'incapacità di vivere, di essere "giusti". La melancholia. L'anoressia. Negli ultimi tre film, accostabili indifferentemente in sequenza in parallelo o a incastro, Miller è attirato nel lago scuro dell'adolescenza più profondo e insondabile di mille mature seduzioni. Come a Charlotte gli acerbi tredici anni e a Janine i turbolenti diciassette, i vent'anni non danno gioia a Sophie. Vittima di se stessa, del proprio sguardo sulla vita: non come Aura, la protagonista di Trauma, per aver troppo visto fino a perdere il desiderio e l'immaginazione, ma al contrario per aver troppo desiderato e immaginato. La proiezione fantastica nel doppio che è insieme configurazione del senso di mancanza e fuga dalla realtà "degli altri" accomuna tre sceneggiature di diversa origine e dalla temperatura drammatica in graduale, sensibile aumento: l'illusione, i 400 colpi, la prova. Quello che pareva un faticoso ma sano e necessario apprendistato alla vita sfocia senza rimedio (seppure con la "grazia" che molti attribuiscono a questo regista) nel cerchio rosso della patologia esistenziale, dell'ossessività nei rapporti che segna, in forme e generi diversificati, anche le opere di Miller che precedono questa trilogia. In essa il regista segue un processo, parallelo alla "crescita" del personaggio, di consolidamento della scrittura: dalla libera sperimentazione sul soggetto originale di L'effrontèe all'omaggio truffautiano, quasi esercizio di stile moderato/oggettivo, La petite voleuse, al confronto con quell'altra cosa che è il romanzo, materia tutta da riplasmare. La sicurezza formale acquisita traspare chiaramente in L'accompagnatrice che mette una serie di punti fermi alla provvisorietà di L' effrontèe e al caos organizzativo di La petite voleuse. Con procedimento ancora di ispirazione truffautiana, gli anni che separano la realizzatone dei tre film convergono sull'età della protagonista (che nel passaggio di ruolo da Charlotte Gainsbourg a Romane Bohringer si è fatta più scura, un po' meno innocente): il tempo non fa che attualizzare le illusioni, costringendole alla prova dei fatti. Sophie "rivive" nel primo incontro (anch'esso già segnato dalla separazione fisica della doppia messa in scena) con Irène Brice che sul palcoscenico canta e guarda in macchina come se rivolgesse lo sguardo proprio a lei, quella di Charlotte con Clara Baumann che suona il pianoforte in televisione. Ma per Sophie non è più il momento di capricci infantili e bugie. La bambina sfrontata si è lasciata alle spalle le indolenti giornate di vacanza che invogliano a fantasticare: ora ha un lavoro di grande responsabilità e siede, lei che non è mai stata un enfant prodige, sullo sgabello del pianoforte. Ha un posto nella società, è l'accompagnatrice. Dalla provincia agricola ai viaggi, al lusso dei teatri e degli alberghi; da un'epoca storicamente anodina a ritroso in una ricca di contrasti ideali, grandi pericoli e rischiose transizioni; dal juke-box all’”aria dello specchio"; da un film povero a uno costato un po' di più (9 miliardi): tutto fa pensare al materializzarsi di un sogno. Mentre in L'effrontèe il solo mondo possibile era quello ora incolore, ora decisamente squallido dell'orfana incompresa che ha per amica una bambina ammalata ed è concupita da un marinaio, in L'accompagnatrice la realtà è splendida e irraggiungibile come prima lo era il miraggio di un abito rosso, di un fiocco per i capelli, di una corsa in motoscafo. Tutto quello splendore intorno, a portata di mano, appartiene per intero ad altri. "Sono io il signor Fabert" dice l'amante di Irène a Sophie. La sua personalità, i suoi amori, il suo stesso virtuosismo musicale scolorano in ombra opaca davanti alla normalità splendente di Irène, all'incosciente serenità con cui affronta il successo, i compromessi e anche la tragedia. La luce della sua pelle e del suo sorriso, il candore lucente del suo abito di scena che assurge a feticcio e simbolo, ne fanno la cosa creata per essere guardata. Così la sua voce si espande dal palcoscenico per essere ascoltata come è più delle parole. 11 male oscuro di cui soffre Sophie è la sua condanna e insieme il suo esorcismo. Come la felicità, nemmeno il dolore la ferisce: la separazione e il ricongiungimento degli amanti, il suicidio di Charles, le ferite di guerra di Benoît. Tutto accade senza di lei. Lo spostamento dell'asse drammatico "a fianco" della protagonista traduce efficacemente a livello strutturale la scelta di vivere per interposta persona che è il leitmotiv del film. Così anche allo spettatore è continuamente richiesto lo sforzo di una doppia presenza. Il rappresentato e il non detto, normalmente complementari, diventano antagonisti. Tutto nasconde e lascia da scoprire tutto. Sotto i dialoghi banali (protettivi con una nota di impazienza da parte di Irène, rispettosi da parte di Sophie: solo una volta arrivano a una resa dei conti verbale) serpeggia cioè il fuoco che corre lungo la miccia, il tormento di un rapporto unilaterale perciò squilibrato e violento. "Voglio diventarle indispensabile" si ripete ossessivamente Sophie. E leggiamo facilmente: "voglio essere lei". Il processo di convivenza/identificazione che in Inserzione pericolosa di Barbet Schroeder si investe dell'angoscia della solitudine metropolitana in un crescendo deflagrante e punitivo, qui rimane misterioso, relegato in fondo alla coscienza di Sophie, in un posto e in un tempo immateriali cui la toponomastica e i riferimento storici, come le connotazioni psicologiche, fanno da scenario stilizzato, funzionalmente atto ad accentuare anziché correggere il senso di lontananza. Di Sophie la macchina da presa coglie, volutamente, solo gesti e parole ininfluenti. Le uniche tracce tangibili che di lei rimangono sullo schermo sono la ragnatela degli sguardi, e quella voce over attraverso cui parla di se stessa in terza persona. E la sua musica, sempre seconda alla voce di lrène. Per questo l'esplosione finale, inevitabilmente, non può avvenire che altrove dal suo corpo. Il suicidio di Charles, portatore "paterno" della sofferenza, delle passioni e dei rischi che le sarebbero toccati, segna la Fine. Come Clara Baumann, Irène segue la (sua) vita e nemmeno un'inquadratura sottolinea l'addio. Benott si è sposato. Sophie torna a casa. Nella stazione "la vie bouge à côtè. Elle frotte, remue les autre sans te prendre" e le coppie si baciano. Mozart infierisce con Le nozze di Figaro.
Adelina Preziosi Segnocinema n. 62 lug/ago 1993 |
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