Moglie dell’aviatore (La) - Femme de l’aviateur ou on ne saurait penser à rien (La)
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Regia: | Rohmer Eric |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Eric Rohmer; fotografia: Bernard Lutic; montaggio: Cécile Decugis; suono: Georges Prat; interpreti: Philippe Marlaud (François), Marie Rivière (Anne), Anne-Laure Meury (Lucie), Mathieu Carrière (Christian), Phihppe Caroit (il compagno), Coralie Clement (la collega), Lise Hérédia (l’amica), Haydée Cafilot (la donna bionda), Mary Stephen, Neil Chan (le turiste), Rosette (la portiera), Fabrice Luchini (Mercillat); produzione: Les Films du Losange (Margaret Menegoz); origine: Francia, 1980; durata: 104’. |
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Trama: | François è innamorato di Anne, più grande di lui e con un "passato" sentimentale: ha avuto una relazione con un aviatore. Un giorno, mentre Franäois si reca a casa di Anne di primo mattino, vede uscire dal portone la ragazza accompagnata da un uomo. In realtà è Christian, l'aviatore, che proprio quel giorno è andato da Anne per darle un addio definitivo. Ma Franäois si rode dalla gelosia anche perché Anne, intollerante a qualsiasi controllo, si rifiuta di dargli spiegazioni... |
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Critica (1): | François è un giovane di vent’anni che lavora nel turno di notte alle poste di Parigi. Egli è innamorato di Anne, una ragazza più grande di lui di qualche anno e con un "passato" sentimentale perché ha avuto una relazione con "l’aviateur" del titolo. Un giorno, mentre François si reca a casa di Anne di primo mattino, vede uscire dal portone la ragazza accompagnata da un uomo. In realtà è Christian, l’aviatore, che proprio quel giorno è andato da Anne per darle un addio definitivo. Ma François si rode dalla gelosia anche perché Anne, intollerante di qualsiasi controllo, si rifiuta di dargli spiegazioni. François, pieno di dubbi e di sospetti, girovaga per le strade di Parigi e, per caso, incontra di nuovo Christian in compagnia di un’altra donna. Spinto dalla curiosità, egli segue il presunto rivale, accompagnato nel suo pedinamento da una spiritosa e petulante quindicenne che gli si affianca come per partecipare ad un gioco, appassionandosi a fare ipotesi sulla coppia. La sera François si reca da Anne che gli svela la sua rottura con l’aviatore (la cui compagna di passeggiata era la sorella, come finalmente si scopre da una fotografia) ma nello stesso tempo si dimostra insofferente del suo affetto e di ogni serio legame; tiene François sulla corda, prima scacciandolo, poi richiamandolo e facendosi consolare da lui, per uscire, infine, con un altro uomo che, peraltro, dice di non amare. Quando, più tardi, François si reca sotto casa della ragazza quindicenne, la vede abbracciata con un ragazzo che è anche un suo caro amico. Superato il primo moto di gelosia, François, ammaestrato dalle batoste di quella giornata, comincia finalmente ad attraversare una più serena filosofia di vita. Un jour exceptionnel è il titolo che Rohmer avrebbe preferito a La femme de l’aviateur "ou on ne saurait penser à rien", se non fosse stato troppo simile a Una giornata particolare di Scola, distribuito in Francia proprio in quel periodo. Anche il proverbio del sottotitolo è stato modificato, in sede di edizione, e addirittura capovolto rispetto a quello di Musset "on ne saurait penser à tout" (destino dei proverbi – si sa – è il ribaltamento). L’occhiello Comédies et Proverbes è invece rimasto e varrà per tutti i film della nuova serie (serie che, a differenza dei contes, non consiste nelle variazioni su tema comune né risulta numerata, ma finirà forse con il comprendere più di sei film).
Nella brochure de La femme Rohmer precisa subito che "come i Racconti Morali avevano in comune con quelli di Marmontel solo il titolo, così Comédies et Proverbes non intendono ispirarsi né a Musset, né a Shakespeare, né a Carmontel, né alla Contessa di Ségur (...). La grande differenza con quello precedente è che il nuovo insieme non si riferisce più, per temi e strutture, al romanzo, ma al teatro. Mentre i personaggi del primo si applicano a narrare la loro storia più che a viverla, questi del secondo si dedicheranno piuttosto a mettersi in scena. Se gli uni si consideravano eroi da romanzo, questi altri si identificheranno nei caratteri da commedia. Si continuerà a parlare molto in queste Comédies, ma non tanto per analizzarsi e considerate i propri moventi, quanto per interrogarsi sulla realtà o sulla possibilità di un determinato avvenimento. Si discuterà più di mezzi che di fini. Ciò comporterà un livello più "terra-terra", ma in ogni caso più caloroso. Meno distanti da noi e da se stessi, i protagonisti si riveleranno più commoventi e fragili, anche se il loro patetico è spesso venato d’"ironia"". Rohmer rinuncia dunque definitivamente alla voce fuori campo che già negli ultimi contes aveva drasticamente ridotto, e sostituisce alla dimensione letteraria di riferimento quella "teatrale". Una teatralità che va intesa soprattutto come messa in gioco di corpi ed anche come riferimento a una sostanziale unità di tempo (La femme de l’aviateur si svolge tutto nell’arco di quattordici ore, dalle 6 del mattino alle 20 di sera), di struttura (risulta evidente la suddivisione in un prologo, tre atti, e un epilogo) ma certo non come drammatica di spazi, giacché La femme è un film che sapientemente, e forse con soluzioni più agili e mature dei precedenti, riprende la dialettica rohmeriana tra fabula e topografie dei luoghi dell’azione.
La mancanza, questa volta, di un tema comune alla serie investe La femme di una progettualità tutta aperta. Così, la predilezione per il gioco caso-destino appare maggiormente carica di delicata suspence che – si può immaginare – si rifrangerà e definirà meglio negli altri Comédies et Proverbes. Se, come osserva Magny, i contes sono l’utilizzazione di un progetto preciso e maturato a lungo (i destini dei personaggi precedevano di fatto la loro esistenza), la nuova serie lascia piuttosto che protagonisti e avvenimenti si proiettino in avanti, incontro al loro destino. E se i contes sono alimentati dallo scarto tra la rappresentazione mentale del narratore (il commento e i dialoghi assunti come menzogna) e la realtà dello svolgimento del percorso (l’immagine presentata come verità), qui invece proprio quello che si vede appare sospetto e tutto da decifrare (cfr. Cinéma 81, n. 268, aprile 1981). Lo scarto, insomma, rende problematica, per lo spettatore, la decifrazione dei rapporti tra i personaggi, e ostacola addirittura la stessa comunicazione tra personaggio e personaggio (non a caso La femme si sostiene su continue disfunzioni di comunicazione, come messaggi o telefonate mancate; e lo stesso protagonista, François, lavora in un ufficio postale, allo smistamento della corrispondenza).
L’etichetta Comédies et Proverbes, da parte sua, ci riconduce all’economia verità/menzogna che sostiene ogni commedia, al gioco dei malintesi, delle false interpretazioni, degli equivoci, dei ribaltamenti. La femme rilancia ogni volta la chiave della verità a un fuori campo. Anzi, come acutamente osserva Bonitzer, a un doppio fuori campo: "In ogni scena c’è come un doppio fuori campo, quello che tormenta ogni personaggio in quanto egli lo pensa (lo immagina) e quello "al quale non saprebbe pensare" (e che contiene la verità del primo). La struttura della commedia pone in primo piano l’atto di vedere, in quanto ciò che è visto viene riferito (sospetto, gelosia, ecc.) a ciò che non è visto. Ma quel che non è visto si divide tra ciò che è immaginato e ciò che è insospettabile. Così, per chiarire meglio, François nel "primo atto" del film vede al mattino uscire insieme Anne e il suo aviatore, e dunque immagina subito che hanno trascorso insieme la notte (decisamente a torto). Ma ciò a cui "non potrebbe pensare" è che tuttavia detiene la verità di quello che vede (e che lo inganna), è l’esistenza, d’altronde problematica, di una quarta persona: "la femme" dell’aviatore di cui questi ha appena annunciato ad Anne l’arrivo, che consuma la rottura. E così di seguito" ("La carte cachée ou les absents ont toujours tort", Cahiers du Cinéma, n. 322, aprile 1981). Di seguito rispettando anche qui il gioco delle simmetrie, che già nei contes rivelava una divertita ma discreta volontà di commedia.
La femme si apre con due penne a sfera. La prima, quella di François che alle 7 del mattino prova a lasciare un messaggio sulla porta di Anne, non funzione. La seconda, quella dell’aviatore davanti alla stessa porta, dieci minuti dopo, scatta impeccabilmente e scrive il messaggio. Dal bar tabacchi di fronte, dove aveva comprato una nuova biro, François vede i due uscire insieme dal portone e immagina che la sua donna abbia trascorso la notte insieme all’ex amante. Inutilmente cercherà più tardi di chiamarla in ufficio. Anne, depressa perché l’aviatore ha definitivamente rotto la relazione con lei per l’arrivo della moglie a Parigi, e nervosa per un fascicolo che non riesce a trovare, lascia squillare due volte il telefono: oltre tutto non ama esser chiamata in ufficio. Quando, alle 13, dopo una ricerca nei bistrots del quartiere, François la trova al Café Le Chaillot a colazione con una collega, non ha maggior fortuna: si limita timidamente a parlarle dell’idraulico che ha finalmente trovato (era questo d’altronde il motivo del tentativo mattiniero di messaggio). All’uscita del bistrot le trotterella dietro e riesce a dirle d’averla vista con l’aviatore. Ma non ottiene alcuna spiegazione. Anzi, è trattato come un insolente importuno: Anne rivendica il diritto di ricevere chi vuole e rinvia a lunedì ogni altra spiegazione.
Appuntamenti, orari, coincidenze che solitamente informano i percorsi dei film rohmeriani si ripresentano qui in chiave paradossale. Quanto meno nel rapporto di François e Anne, lei che lavora di giorno in un imprecisato ufficio e lui, studente in legge, che si mantiene agli studi lavorando di notte in un ufficio postale (se mettiamo in conto i fine settimana che Anne va a trascorrere dalla madre e le mattinate che necessariamente François dedica al sonno, rimane poco tempo ai due per vedersi). È una situazione che d’altronde sta bene alla donna, decisa a non sposarsi né a convivere né a subire controlli da parte di François. Ciononostante quando per caso, al bar della Gare de Lyon, adocchia Gérard, l’aviatore, l’insonnolito François impulsivamente decide di non perderlo d’occhio: siede a un tavolo distante dal suo e lo controlla; ma subito si addormenta. Si tratta di "un jour exceptionnel" per François, intanto perché non è riuscito a dormire in questa tempestosa mattina. Il sonno, di cui cadrà vittima nei momenti più impensati, gli conferisce una dimensione sonnambolica, quel "non pensare a niente" che – nota Bonitzer – si riallaccia al tema del sottotitolo, e finisce per presentarcelo efficacemente come un personaggio guidato dall’inconscio, una sorta di marionetta del destino (a questo proposito molti critici hanno ricordato quel che la scrittrice Aurora diceva a Jérôme in Le genou de Claire: "I personaggi di una storia hanno sempre gli occhi bendati. Tutti hanno una benda sugli occhi"). E se è vero, come riteniamo, che il cinema di Rohmer è sempre legato alla sfera del narcisismo (se non altro per i narratori dei contes, sintomaticamente prigionieri dell’autosservazione, propensi a elaborare sistemi morali di tipo speculativo, ossessionati dalla voce che vigila e sorveglia dall’esterno), ebbene anche François, che non è protagonista di un conte moral, rientra nella costellazione narcisista e ne assume il sintomo più classico, quello del ritiro dell’interesse libidico dagli oggetti, quel distacco dal mondo esterno che i black-out del sonno ben rappresentano. (...)
Michele Mancini, Eric Rohmer, Il Castoro cinema, 1988, La Nuova Italia |
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