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Passatempo - Zhao Le


Regia:Ying Ning

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Ning Dai, Nijng Ying, da un racconto di Chen Jiangong; fotografia: Xiao Feng, Wu Dui; montaggio: Zhou Meiping; scenografia: Yang Xiaowen; suono: Chao Jun; musica: Meng Weidong; interpreti: Huang Zongluo (Han), Huang Wenjie (Qiao Wanyou), Han Shanxu (Dong Fugui), He Ming (He Ming); produzione: Liu Weidong, Yang Hanping, Beijing Film Studio, Hongkong Van Ho Film & TV Co Ldt; distribuzione: Lab 80 Film; origine: Cina, 1993; durata: 97’.

Trama:Il vecchio Han lascia il suo lavoro di usciere dell'Opera di Pechino per andare in pensione e le sue giornate sono vuote senza il teatro. Per una vita intera ha guardato da dietro le quinte attori e cantanti sognando di essere al loro posto e ora non gli resta altro modo per passare il tempo che incontrarsi al parco con gli altri anziani a cantare. Ma il vecchio Han ha velleità da leader e vuole realizzare il suo sogno ambizioso di formare una piccola compagnia...

Critica (1):Mi sembra che nella società cinese moderna non sia più così importante esaminare i problemi suddividendo fra i problemi delle donne, degli anziani e dei giovani… Invece la questione fondamentale è quella della propria identità. Modi di vita durati per millenni, che hanno resistito alla dominazione Manchù, alle guerre civili, all’invasione giapponese, agli estremismi della rivoluzione culturale, adesso nel giro di pochi anni stanno per essere cancellati da una cultura modellata dai massmedia e dal consumismo. La perdita delle tradizioni e delle radici popolari è una tragedia già conclusa nei paesi occidentali e che si sta ripetendo nei paesi del Terzo Mondo. Zhao Le vuole essere un affresco di individualità: raccontare sentimenti, un modo di vivere, una psicologia, una storia che possono nascere solo nella società di oggi, in questo contesto di vita tradizionale. Mi interessano questi momenti del presente che sono destinati a sparire.(Ning Ying)

Critica (2):Che fare per aggirare i canoni estetici in vigore quando non si ha voglia di costringerli a una deviazione, cioè quando non si muore dalla voglia di imbarcarsi nel simbolismo, nel doppio senso e nei passaggi spiazzanti? Una soluzione consiste nel far finta di girare giusto per far prendere aria alla macchina da presa.
Ning Ying culla lo spettatore nella quotidianità più consueta… Ma quello che è consueto per un cinese non lo è necessariamente per noi. Quello che è consueto per un cinse nella vita di tutti i giorni lo è forse meno per un cinese cinefilo. Cosa c’è di più consueto, a priori, di una strada con qualche pedone, una strada in cui passa della gente e in cui non succede niente? A posteriori, lo spettatore che non conosce il posto ritrova in queste inquadrature l’impressione che può avere quando, visitando qualche metropoli straniera, decide di abbandonare le strade principali, i monumenti e i negozi per perdersi ad annusare le realtà della città dietro la facciata.
Questo spettatore è incuriosito, osserva, e fa bene, perché la regista gli offre cose da vedere. Il consueto allora si trasforma in aneddoto. Si scopre che la strada costeggia dei bagni pubblici e misti, e una finestra in posizione strategica – a giudicare dall’interesse che suscita – si rivela recalcitrante, socchiusa più del dovuto. Non va perduta l’occasione di cogliere una discussione dialettica sul migliore utilizzo delle mattonelle: è meglio metterle sul davanzale della finestra per mantenerla pudicamente chiusa o metterle per terra per arrivare più comodamente al davanzale della finestra (e sbirciare fuori diventa questo punto una prospettiva alquanto allettante)?
Quando si tratta di cogliere l’aspetto burlesco nell’osservazione del quotidiano, spontaneamente si pensa a Jacques Tati – ed è legittimo. Più pertinente, in questo caso, per quanto riguarda il contesto politico, sarebbe pensare a Jiri Menzel, regista ceco che si nascondeva dietro dei personaggi apparentemente un po’ stupidotti per constatare che, per quanto sembrino stolti, lo sono sempre meno di molte figure più solide o più istituzionali. Per metà del film, Ning Ying si muove in questa direzione: Han, pensionato dell’Opera di Pechino, dove del resto faceva l’usciere, e i due giovani che gli succedono avrebbero tutti i numeri per far la parte degli scemi del villaggio. Numerano pagine di giornali e si dedicano a compiti di scrittura, tutti lavori amministrativi che richiamano qualche attività o si associano a qualche avventura un po’ più poetica.
La trasformazione del pensionato costituisce di fatto la posta in gioco del film, e la sua camera un po’ triste è come un’anticamera della tomba da cui deve strapparsi ad ogni costo. Meglio tardi che mai, per saziare la propria passione: interpellato in un giardino pubblico per prodigare qualche consiglio a dei musicisti dilettanti che praticano l’Opera di Pechino come passatempo, Han coglie l’occasione di prolungare la propria esistenza nella prosecuzione di ciò che ha sempre ammirato. Eccolo alla testa di una squadra di anziani, impegnato nelle procedure e nelle scartoffie necessarie alla fondazione di un club di Opera di Pechino che ottenga l’assenso del Partito, delle autorità cittadine, degli enti culturali e chi più ne ha più ne metta.
Il film, a questo punto, si fa più chiuso. La straordinaria libertà e la (finta) improvvisazione dell’inizio si ritrovano di colpo incanalate in una sceneggiatura che sta un po’ stretta alla regista. Il simbolismo e il doppio senso (ma non il passaggio spiazzante) fanno capolino nell’interminabile illustrazione delle questioni di potere che compaiono all’interno del gruppo. Ma la debolezza del finale nulla toglie alla freschezza del quadro che Ning Ying ci offre del suo paese, con uno sguardo insolito che speriamo annunci l’avvento di un cinema cinese un po’ più frizzante.
Eric Derobert, Positif 401

Critica (3):

Critica (4):
Ning Ying
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