NaziRock - Il contagio fascista tra i giovani italiani
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Regia: | Lazzaro Claudio |
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Cast e credits: |
Soggetto: Claudio Lazzaro; fotografia: Elena Somarè, Antonio Montellanico, Francesco Caudullo (riprese della manifestazione di Catania); musiche: Antonio Iasevoli, Enrico Fink-il brano "Il ritorno alla fede del cantante jazz" è di Enrico Fink (Edizioni Materiali Sonori); "Terrorismo e strategia della tensione" e "Auschwitz: fine di una leggenda" sono di Antonio Iasevoli; montaggio: Cecilia Zanuso; effetti: Direct2brain; produzione: Claudio Lazzaro per Nobu Productions; distribuzione: Feltrinelli Real Cinema; origine: Italia, 2008; durata: 74’. |
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Trama: | L'estrema destra vista dall'interno: la sua musica (suonata da band che infarciscono di testi fascisti la loro musica skin, oi, white power e punkadestra), i capi, le alleanze, i rituali, lo sdoganamento politico. |
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Critica (1): | Nei media l'immagine presenta qualcosa di cupo e di grandioso come spesso immaginiamo che siano i volti e le manifestazioni del male. Molti di noi (che scrivono, riportano, commentano), attribuiscono a tutto ciò che riguarda la destra estranea alla democrazia e alla legalità, il volto tremendo e forte, autoritario e mortale la cui maschera ci portiamo dietro dalla storia: i nazisti con le croci di ferro, i fascisti con le armi in pugno delle Brigate Nere e della Decima Mas, le guardie di ferro di Antonescu, i croati torturatori di Ante Pavelich. In realtà il fascismo e il nazismo sono sempre stati squallore umano, morale, mentale. Ma - come i corpi di Frankenstein senza storia - gli squallidi adepti e i convertiti al regime, appena attraversati dalle scosse ad alta tensione del potere senza limiti, hanno coperto lo squallore con la maschera della forza e la vocazione a dare la morte. In tale veste e con tale maschera hanno riempito di sangue la storia - migliaia e migliaia di serial killer in austere, temute uniformi, capaci di lasciare il sigillo della paura e della sottomissione accanto ad ogni delitto. Il ricordo di quelle maschere di sangue coincide con il ricordo di coloro che, a viso scoperto e senza potere, si sono ribellati, hanno tenuto testa, hanno pagato ogni prezzo per liberare il proprio Paese. Senza di loro - antifascisti e partigiani - e senza i loro torturati e i loro morti, quel territorio sarebbe stato solo un oggetto di scambio fra vincitori e vinti. Ma alcuni, fra gli eredi che hanno combattuto lo squallore e il potere senza scrupoli dei fascismi, stranamente, hanno cominciato a vergognarsi dei loro eroi e dei loro morti. Hanno cominciato a pensare che fosse di cattivo gusto verso qualcuno ricordare le stragi e la ostinata decisione di tener testa a costo di essere sterminati, hanno zittito chi osava mormorare l'aria di una canzone partigiana, hanno cominciato a raccontare la Storia a partire dai protagonisti sopravvissuti, e considerati «vittime», nel mondo del dopo strage. Sgombrato il campo da ricordi, da lezioni di Storia e dalle occasioni di ricordare come nasce un Paese libero, c'è chi è diventato insensibile, chi opportunista, chi ingenuamente ignorante (nel senso di non sapere in buona fede). E chi, nel vuoto, ha sentito il potente richiamo dello squallore più desolato e del potere assoluto. Ecco quello che accade in Nazirock, narrazione e documento visivo. È come tornare, per un misterioso scherzo della Storia, al fascismo prima del potere. È vuoto, è sbandamento in cerca di un furore violento che senza la scossa del potere non può esplodere. Leggete nello scritto le parole e ascoltate nel video il suono delle voci che dicono quelle parole. Osservate i volti, scrutate i movimenti, di marcia o di adunata o di festa o di iniziazione o di danza dei gruppi giovani a cui è dedicata questa straordinaria inchiesta (che punta verso alcuni gruppi musicali di Nazirock come possibile reincarnazione). Troverete questi ingredienti. Nessuna cultura, molta superstizione, uso di reperti e di residuati di regime come reliquie di una religione rozza, pregiudizio ottuso e ostinato, ricerca affannata di bandiera, stile, uniforme: tutto ciò - per la prima volta - ci dà l'occasione , come in un viaggio nel tempo, di osservare il fascismo prima del fascismo. Ci si arriva attraverso una pratica di espulsione, una sorta di ascetismo privo di luce: via la cultura, via la storia, via le regole, via lo Stato. Si cerca una disciplina primitiva e cieca. Si aspettano ordini. Accade però di scrivere queste cose mentre in Italia divampano - moderne e organizzate - pericolose rivolte: coloro che non vogliono i loro rifiuti, e coloro che non vogliono i rifiuti degli altri. In tutti e due i casi si tratta di imboscate, assalti, guerriglia e sequenze di aggressioni organizzate. In tutti e due i casi - qualunque sia la ragione e persino la giustificazione o la provocazione - i nemici sono lo Stato, la polizia e qualunque tipo di autorità locale, qualunque posizione o decisione sia stata presa. Sulla scena, segnata di distruzione e vandalismo organizzato, si vede una costellazione di gruppi che sembra oscillare da destra a sinistra, tra annebbiato ambientalismo e vendetta locale, tra tifoseria sportiva e spedizione punitiva su ordinazione. Le maschere, però, variano di poco. Lo squallore prevale, ma questori e investigatori non esitano a dire: «Qualcuno li paga». Il modello appare più vicino al crimine organizzato. Pagare per offendere, come è avvenuto intorno all'abitazione del coraggioso Presidente della Regione sarda, che probabilmente ha violato un codice di malavita in Campania, non in Sardegna (perciò si è ordinato di punirlo) accettando di accogliere una parte dei rifiuti di Napoli e dunque dando una mano alla normalità. Ma telecamere e fotografi hanno visto bandiere politiche per quei rivoltosi che, nel Dvd unito a questo libro, sembrano invocare ed evocare il disastro, l'incendio, la morte di qualcuno. Cercano - nel modo più rozzo e diretto - un potere. Torniamo per un momento ai «Nazirock» che questa inchiesta ha scelto come materiale sensibile per guidarci verso aree di rigurgito del fascismo. Assistiamo a uno spettacolo strano. Manca voce, ispirazione, talento, musica. Non nel senso che la musica giovane di gruppi spontanei appare inferiore (in questo caso di molto) alla media colonna sonora commerciale. Impressioni di questo genere si possono avere (benché non così infime) dai gruppi rock dei centri sociali, militanti a sinistra. No, qui si assiste a due fatti diversi e sgradevoli: uno è quel senso di rancido della storia ingurgitata a forza e poi vomitata, come fanno i bambini ribelli con la verdura odiata e mandata giù con furore. L'altro è lo spettacolo disorientante del fremito di ribellione in sé autentico, nel senso fisico e ormonale della parola. Ma disperatamente alla ricerca del capo, della predicazione, della proposta distorta a cui giurare servizio, fedeltà e rischio. È un cerchio di fuoco vuoto e afasico, forza fisica inespressiva come le urla più o meno ritmate (testi miserrimi) che dovrebbero essere canto, dovrebbero essere inno e richiamo. Tutto ciò potrebbe sembrare disprezzo lombrosiano, se non ci fosse una spiegazione. La mia è questa. Giacimenti spontanei di violenza prefascista (nel senso di non ancora arruolata ed organizzata) giacciono sotto la destra italiana. Ora si incarna in tifoseria, ora in guerriglia urbana, ora in dimostrazione, ora in «ronde» leghiste o «guardie padane». È un giacimento che - come certi episodi mostrano - si estende fino a falde sommerse di una sinistra «casseur» e distruttiva, che ha sempre lo stesso bersaglio: lo Stato e l'attività quotidiana. È un giacimento al quale la destra rispettabile manda e ritira segnali, ora celebrando insieme i «caduti» negli scontri degli anni 60 e 70, come se fossero tutti reduci della stessa battaglia, ora mostrando grande rispetto per le istituzioni, ma con l'avvertenza di usare improvvisamente un linguaggio di disprezzo e rifiuto da dentro le istituzioni. La situazione, però, non è di stallo. Al contrario, è dinamica. E segna punti per l'affiorare in superficie della rozza e primitiva destra sommersa che si impara a conoscere in questo libro e si vede in questo film. È vero che questi gruppi hanno leader moralmente squalificati e intellettualmente vicini a zero. Ma essi sono camicie brune da eliminare al momento giusto per ereditarne i manipoli. Un progetto? Piuttosto un modus operandi, perché la destra ufficiale ama il doppiopetto e la identificazione istituzionale. Anzi, come è stato tipico della destra di questo Paese, ama sbandierare l'identificazione con l'Italia. Ma non ha difficoltà ad associarsi anche pubblicamente, anche in alleanze di governo e anche in patti elettorali, sia con gruppi che insultano e rifiutano pubblicamente la bandiera del Paese, sia con personaggi grigi e minori, moralmente squalificati e politicamente poco più che capi-banda, che compaiono come «fascisti autentici» in questo libro e in questo video e nei margini oscuri della vita italiana. Ciò vuol dire: la destra italiana si tiene a poca distanza dalla discarica quasi solo teppistica di ciò che resta e torna a dichiararsi fascista, nel caso che fosse necessario reclutare in fretta manovalanza diretta da quell'area. C'è di più. C'è qualcosa che è come una certificazione autentica di tutto ciò che leggerete e vedrete qui, compresi aspetti che un tempo sarebbero stati considerati impossibili e inammissibili. Francesco Storace si fa fondatore de «La Destra» e subito segnala, con modalità non equivoche, di essere pronto adesso, subito, al reclutamento della destra che si riconosce e si esprime nel Nazirock, ovvero nelle forme primitive di fascismo. Tutti i testi di inchiesta giornalistica aspirano alla attualità immediata. Questo che leggerete è incalzato da fatti accaduti dopo il libro, che servono da inequivocabile verifica del libro stesso. Poiché è una verifica del peggio, diventa chiaro per il lettore che questo libro e questo video sono anche un fondato e documentato segnale d'allarme.
Furio Colombo, tratto dal libro «Ho il cuore nero» distribuito da Feltrinelli assieme al dvd del film «Nazirock», in L’Unità, 29/3/2008 |
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Critica (2): | La destra radicale in Italia può raggiungere il mezzo milione di voti e diventare determinante, in un quadro politico in cui ne bastano 25.000 a decidere chi governerà il Paese. Per questo viene sdoganata.
Nazi Rock racconta questo passaggio politico, usando come filo conduttore le band che infarciscono di testi fascisti la loro musica skin, oi, white power e punkadestra.
Il film apre con le immagini dei “due milioni” convocati a Roma dall’opposizione al governo Prodi, il 2 dicembre 2006, ma soprattutto racconta la Nashville dell’estrema destra: una grande manifestazione, organizzata da Forza Nuova, il movimento guidato da Roberto Fiore (condannato a nove anni per banda armata), che si è svolta a Viterbo, nel Lazio, con la partecipazione dei principali gruppi rock assieme a militanti e a leaders provenienti da Spagna, Germania, Francia, Grecia, Libano e Romania.
Alla manifestazione di Forza Nuova si vendono decalcomanie filonaziste, stemmi con la faccia di Hitler da applicare alle felpe, testi negazionisti che non temono di sfoggiare in copertina titoli come “Auschwitz: fine di una leggenda”.
Dal palco ascoltiamo politici e intellettuali provenienti dalla Germania, dalla Spagna, dalla Grecia, dalla Romania, discettare di “cataclisma multirazziale” e “Uomo Nuovo di fronte alla Decadenza”. Assistiamo fino a notte fonda, nel grande hangar che di giorno ospita i dibattiti, allo spettacolo dei concerti rock: una folla a braccio teso nel saluto nazifascista, giovani che srotolano un grande striscione, accuratamente stampato. Il testo, in caratteri cubitali: “Più Nazismo per tutti”.
Tra i relatori, a Viterbo, forse il più applaudito è Luigi Ciavardini, condannato a 30 anni per la strage di Bologna, che dieci giorni dopo il suo intervento al Campo d’Azione viene arrestato per rapina. Appassionato anche l’intervento di Andrea Insabato, condannato a 12 anni, poi ridotti a 6, per l’attentato dinamitardo alla sede del Manifesto. Mentre gli Hobbit intonano un inno allucinato alla violenza negli stadi “Frana/la curva frana/sulla polizia italiana” che anticipa, e sembra invocare, gli scontri sanguinosi di Catania e la morte dell’ispettore Filippo Raciti
Ma ancora più interessanti e rivelatrici sono le interviste ai giovani che partecipano al meeting politico, facce da proletari, ragazzi che non hanno occhi cattivi, ma che potrebbero fare cose molto cattive, guidati da chi sa strumentalizzare la loro voglia di giustizia e la loro ignoranza a volte abissale. Li ascoltiamo senza commentare, li guardiamo, nel montaggio alternato coi brani nazirock, inframezzati ai materiali di repertorio che ricordano gli orrori e le distruzioni provocati da un’ideologia portatrice di morte e vergogna.
Un incubo che lascia spiazzati, perché la domanda è sempre la stessa: “Possibile che la storia non riesca a insegnare nulla?”
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