Argo
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Regia: | Affleck Ben |
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Cast e credits: |
Soggetto: basato su un estratto del libro "The Master of Disguise: My Secret Life in the CIA" di Antonio J. Mendez e sull'articolo "The Great Escape" di Joshuah Bearman; sceneggiatura: Chris Terrio; fotografia: Rodrigo Prieto; musiche: Alexandre Desplat; montaggio: William Goldenberg; scenografia: Sharon Seymour; costumi: Jacqueline West; effetti: Barry McQueary, Method Studios; Ben Affleck (Tony Mendez), Bryan Cranston (Jack O'Donnell), Alan Arkin (Lester Siegel), John Goodman (John Chambers), Victor Garber (Ken Taylor), Tate Donovan (Bob Anders), Clea DuVall (Cora Lijek), Scoot McNairy (Joe Stafford), Rory Cochrane (Lee Schatz), Christopher Denham (Mark Lijek), Kerry Bishé (Kathy Stafford), Kyle Chandler (Hamilton Jordan), Zeljko Ivanek (Robert Pender), Titus Welliver (Jon Bates), Omid Abtahi (Reza Borhani), Page Leong (Pat Taylor), Sheila Vand (Sahar), Rob Brownstein (Landon Butler), David Sullivan (Jon Titterton), Tim Quill (Alan Sosa), Lindsey Ginter (Hedley Donovan), Scott Elrod (Achilles Crux ), Kelly Curran (Principessa Aleppa), Ali Saam (Ali Khalkhali), Aidan Sussman (Ian Mendez); produzione: Grant Heslov, Ben Affleck E George Clooney Per Gk Films, Smoke House, Warner Bros. Pictures; distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia; origine: Usa, 2012; durata: 120’. |
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Trama: | Iran, 4 novembre 1979. La rivoluzione iraniana raggiunge il suo culmine e un gruppo di militanti assalta l'ambasciata americana a Teheran, prendendo in ostaggio 52 persone. Nel caos generale, sei di loro riescono a fuggire e si riparano presso l'ambasciatore canadese. Tony Mendez, specialista in recuperi della CIA, affronterà una corsa contro il tempo per mettere in atto un piano utile a far uscire i suoi connazionali dal paese. |
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Critica (1): | Scatta uno strano corto circuito durante la visione di Argo: chi è seduto in sala sa benissimo come andrà a finire la storia (è tratto da una storia vera, si legge sulle primissime immagini) eppure la tensione per questa fuga da Teheran ti prende lo stesso, ti fa temere per il destino dei sei ostaggi e del loro «esfoliatore» (in gergo chi aiuta a uscire più o meno illegalmente da una situazione a rischio).
«È il cinema, bellezza, e tu non puoi fargli niente» verrebbe da rispondere allo spettatore troppo coinvolto da quello che accade sullo schermo. E allora perché stupirsi che, nella realtà del 1980, anche alcuni barbuti guardiani della rivoluzione invece di annusare l'imbroglio si siano fatti affascinare da quegli storyboard fasulli e abbiano bevuto la storia che in piena crisi diplomatica internazionale sette persone andassero e venissero da Teheran per girare un film di fantascienza?
Il meccanismo di Argo – l'operazione della Cia e il film di Ben Affleck – ci mostra che entrambi si reggono sull'ambiguo rapporto che il cinema instaura con la realtà. Realtà lui stesso – la macchina cinema è qualche cosa di concretissimo e tangibile – il film riesce però a vivere solo grazie alla forza dell'immaginario, che finisce per modificare profondamente il suo «statuto» di realtà. Trasformando il meccanismo cinematografico in qualche cosa di diverso, di più complesso. Niente di particolarmente nuovo, per carità. Queste cose si dicevano già negli anni Venti e forse anche prima ma vederlo all'opera sullo schermo, seguirne passo passo il percorso di «falsificazione» che modifica il reale, fa sempre un certo effetto. E immagino che sia nato da qui l'interesse di Ben Affleck a portare sullo schermo l'operazione che la Cia mise in atto nel gennaio del 1980 per far uscire illegalmente dall'Iran sei diplomatici americani, sfuggiti all'invasione dell'ambasciata Usa a Teheran del 4 novembre 1979 e al susseguente sequestro collettivo dei suoi occupanti.
Durante la confusione generale, però, sei dipendenti riuscirono a uscire da una porta secondaria e a trovare rifugio nell'abitazione privata dell'ambasciatore canadese Ken Taylor. Fossero stati scoperti, i sei avrebbero rischiato la vita (nel caso peggiore) o la detenzione insieme agli altri 52 diplomatici catturati (che comunque restarono prigionieri degli iraniani 444 giorni). Il problema era che anche così, nascosti in un'abitazione privata, mettevano a rischio non solo la loro vita ma anche quella di chi li nascondeva. Per questo il Dipartimento di Stato si ingegnò in tutti i modi per salvarli e farli uscire dal Paese. E il membro della Cia Tony Mendez si convinse che il modo migliore era quello di «trasformarli» nei membri di una troupe cinematografica, in Iran per un sopralluogo.
Un lavoro di copertura che aveva bisogno di qualcosa di ben più concreto che qualche documento falso e per il quale Tony Mendez (interpretato dallo stesso Affleck) si darà subito da fare, coinvolgendo nell'operazione l'amico John Chambers (John Goodman), esperto di trucchi e maquillage che aveva al suo attivo film come Il pianeta delle scimmie e Star Trek.
Questa è la parte più divertente del film, perché gioca con molti degli stereotipi del cinema e di Hollywood, a cominciare dall'abilità di far passare per vero il falso e viceversa. Ci sarà una vera sceneggiatura (appunto quella del film Argo) e un vero contratto d'acquisto ma una falsa conferenza stampa e una altrettanto falsa lettura del copione che però produrrà un autentico articolo su Variety e altri giornali di categoria mentre è evidentemente falsa la sede dove Chambers si insedia con l'amico produttore Lester Siegel (Alan Arkin).
Lo scopo di questo vertiginoso gioco delle tre tavolette è la possibilità di ingannare gli eventuali controlli iraniani quando, come accadrà di lì a poco, Tony Mendez si presenterà al Ministero della Cultura di Teheran come produttore in cerca dei permessi per i sopralluoghi.
A questo punto il film ritorna sui binari della realtà fattuale e non più solo cinematografica: uscire da Teheran in quel periodo non era facile per nessuno, anche con documenti ben contraffatti e un castello di bugie (quasi) perfette. E film lo racconta nell'ultima parte, con tutti i colpi di scena che impone il rispetto della cronaca storica, dall'improvviso dietro front delle autorità americane (timorose del buon esito dell'operazione) alla decisione di Mendez di andare avanti lo stesso, agli ultimi terribili momenti in aeroporto, quando la copertura rischia di saltare.
La Storia scrisse allora il lieto fine dell'operazione Canadian Caper (così si chiamò in codice) e il film ce lo racconta con belle scene e un ottimo ritmo, oltre che con uno sguardo fin troppo positivo sulla Cia, ma soprattutto con la sensazione di esserci avvicinati almeno per un momento al vero nodo del mistero cinematografico: che è quello di saper trasformare anche le bugie più improbabili in storie «autentiche». O almeno che lo sembrino.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 7/11/2012 |
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