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Protagonisti (I) - Player (The)


Regia:Altman Robert

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Michael Tolkin; fotografia: Jean Lépine; musiche: Thomas Newman; montaggio: Geraldine Peroni, Maysie Hoy; scenografia: Stephen Altman; costumi: Alexander Julian; effetti: John C. Hartigan; interpreti: Tim Robbins (Griffin Mill), Greta Scacchi (June Gudmundsdottir), Fred Ward (Walter Stuckel), Whoopi Goldberg (Detective Susan Avery), Peter Gallagher (Larry Levy), Gina Gershon (Whitney Gersh), Lyle Lovett (Detective Delongpre), Vincent D'Onofrio (David Kahane), Dean Stockwell (Andy Civella), Richard E. Grant (Tom Oakley), Sydney Pollack (Dick Mellon), Brion James (Joel Levison), Cynthia Stevenson (Bonnie Sherow), Dina Merrill (Celia), Leah Ayres (Sandy), Paul Hewitt (Jimmy Chase), Angela Hall (Jan), Jeremy Piven (Steve Reeves), Frank Barhydt (Frank Murphy), Mike Kaplan (Marty Grossman), Kevin Scannell (Gar Girard), Susan Emshwiller (Detective Broom), Michael Tolkin (Eric Schecter), Stephen Tolkin (Carl Schecter), Natalie Strong (Natalie), Randall Batinkoff (Reg Goldman), Peter Koch (Walter), Pamela Bowen (Trixie), Sally Kirkland, John Cusack, Anjelica Huston, Julia Roberts, Malcolm McDowell, Rod Steiger, Burt Reynolds, Bruce Willis, Harry Belafonte, Mimi Rogers, Susan Sarandon, Patrick Swayze, Robert Carradine, James Coburn, Peter Falk, Elliott Gould, Jack Lemmon, Nick Nolte, Cher; produzione: David Brown, Michael Tolkin, Nick Wechsler e Scott Bushnell per Avenue Pictures Productions-Guild, Spelling Entertainment; distribuzione: Cineteca Griffith; origine: Usa,1992; durata: 124’.

Trama:Griffin Mill, dirigente di una società cinematografica, passa ore a farsi riassumere "in 25 parole" progetti da tradurre in film. Griffin è tempestato da messaggi minacciosi e quando ne trova l'autore non esita a porre drasticamente fine alle minacce. Non contento, ne circuisce anche la fidanzata e per lei lascia la sua segretaria-amante Bonnie. Nel frattempo Larry Levy, un altro arrivista ed eterno rivale di Griffin, cerca in ogni modo di carpirgli il posto. Malgrado gli sforzi della detective Susan Avery per risolvere il caso di omicidio, la polizia viene beffata e Mill sembra rimanere impunito. Il mondo del cinema continua a dettare le sue leggi avide e brutali, dando ai furbi e ai cinici lavoro, potere e quattrini. E nella fabbrica dei sogni - tra rivalità, cattiverie, sesso, violenza e denaro - continuano a circolare soggettisti e sceneggiatori inclini ad ogni compromesso. Fra loro, imperterrito e inquietante, il malvagio sconosciuto continua a perseguitare Griffin Mill al telefono e con truci messaggi.

Critica (1):Qui il microcosmo è il luogo nel quale si costruisce il cinema oggi, lo studio (la vecchia Zoetrope), con le sue estensioni naturali, la casa dell'avvocato Mellen, il Los Angeles County Museum of Arts, il St. James Club sul Sunset Strip, persino la clinica della salute nel deserto del Nevada, dove ci si garantisce l'anonimato (Griffa si registra come Mr. "M"), ma anche l'isolamento totale dal mondo esterno. In più, ci sono addirittura due intromissioni di "film nel film": i giornalieri di The Lonely Room, un esilarante (e probabilmente autoironico) tormentone teatrale-cinematografico con Lily Tomlin e Scott Glenn, e soprattutto Habeas Corpus, seguito dall'idea alla realizzazione finale. E il fuori campo? Il nemico che mancava in M.A.S.H., gli affaristi di città che apparivano appena nei Compari, le vittime del corvo appena schizzate in Anche gli uccelli uccidono? Sta a Pasadena, nel posto di polizia, che è però talmente surreale e provocatorio da configurarsi immediatamente come un altro set. O come il set di un film di un altro genere, una commedia poliziesca con il detective nero e ridanciano. E importa poco che qui sia Whoopi Goldberg in zoccoli e calzettoni piuttosto che Eddie Murphy in frescolana e orologio d'oro; la marca della provocazione comica è la stessa. C'è di più. «Siamo a Pasadena qui, non a Los Angeles», decretano gli agenti orgogliosi. Ma Pasadena e Los Angeles sono tanto vicine da far parte dello stesso continuum metropolitano, e soprattutto, per quello che interessa cui a Altman (e in generale per l immaginario collettivo), sono entrambe appendici di quel sobborgo che si chiama Hollywood. E infatti, il detective DeLongpre, quello che acchiappa le mosche fuori dall'ufficio di Griffin, trova se stesso in una visione notturna di Freaks di Tod Browning e la mattina dopo continua a borbottare con aria estatica «uno di noi... uno di noi... uno di noi...». Non c'è da stupirsi che la testimone oculare riconosca proprio lui come assassino di Kahane, cioè il tipo più cinematograficamente sospetto. Le consuetudini hollywoodiane hanno fagocitato il mondo, figurarsi Pasadena!
Ma a Pasadena c'è un altro posto che potrebbe configurarsi come autentico fuori campo: il piccolo cineclub dove si proietta Ladri di biciclette. Un fuori campo dell'immaginario, un luogo in cui confrontarsi avvero con l'altro da sé, il cinema-cinema, non il ricordo che ha oggi del cinema l'industria hollywoodiana. Ma Griffin non ha tempo; entra poco prima della fine, giusto in tempo per acquattarsi nell'ombra e identificare il suo presunto persecutore (e naturalmente al primo colpo sbaglia). Quanto a Kahane, appare e scompare in fretta, e di lui resta solo un tratto impresso nella memoria, che era un cattivo scrittore, sottolineato da June e ribadito dal suo brano declamato come orazione funebre. E resta comunque il sospetto che, anche fosse stato un bravo sceneggiatore, non avrebbe esitato a tradire le proprie presunzioni artistiche esattamente come il regista-ideatore di Habeas Corpus. (...)
A Hollywood, tutto è Hollywood. Non cinema: se fosse cinema, l'intreccio thrilling avrebbe un'altra valenza (anche se probabilmente non un'altra conclusione), un'altra centralità rispetto alla descrizione dell'ambiente. Bene o male, nei Compari ci intrigava il segreto dell'identità di McCabe (se cioè fosse o no il famoso pistolero e se possedesse o no la leggendaria pistola giocattolo) e ci rattristava il suo amore impossibile per Mrs. Miller; come nel Lungo addio, per quanto potessimo essere disinteressati all'identità dell'assassino di Sylvia Lennox, eravamo certamente coinvolti nella disperazione tragica di Roger Wade e nell'amicizia tra Marlowe e Terry Lennox. Persino nella Las Vegas di California poker, che pure è uno dei film di Altman strutturalmente più simili ai Protagonisti, sopravvivevano intense sacche di dolore, disorientamento, malinconia. Quando alla fine Bill e Charlie si dividono gli 82.000 dollari vinti e si separano, Charlie dice: «Noi adesso siamo degli eroi, l'importante è sentirsi degli eroi ogni tanto. Prendi gli eroi dell'antica Grecia, i Cavalieri della Tavola Rotonda, i politici dei giorni nostri. Guarda un po' cos'hanno combinato!». Ma aggiunge, guardando negli occhi - amico, «Non hanno combinato niente, vero?», e stende un gran senso di vuoto sulla loro impresa.
Ogni codice morale, ogni possibilità di sofferenza si frantumano a Nashville, dove un assassinio diventa un'occasione in più (e un'occasione d'oro) per cantare un'altra canzone. A Hollywood, un omicidio, la ricerca del colpevole e la trappola che per un attimo sembra stringersi intorno al protagonista ci lasciano assolutamente privi di emozioni, e non per la distanza ironica dello sguardo altmaniano, accentuatissima, per esempio, in un film di profonda sofferenza come Il lungo addio.
Non c'è più traccia di passione e di vera creatività nel cinema che si fa a Hollywood, e questa assenza sembra riflettersi anche sulle vite dei protagonisti, prive di spessore drammatico. Alla fine Bonnie, la vecchia fidanzata di Griffin, viene licenziata dalla compagnia perché si è indignata davanti alla banalizzazione commerciale della versione definitiva di Habeas Corpus, e con un tacco rotto e le calze stracciate chiede invano udienza a Griffin. Il momento è leggermente stonato; questo rigore e questa difesa del1 arte sembrano sbucare dal nulla, e Bonnie non ci interessa più degli altri personaggi. Per fortuna Griffin risponde «Cadrai in piedi Bonnie, ti conosco bene». Non sappiamo come la pensi Altman, se abbia veramente voluto attribuire a Bonnie uno scarto di sensibilità in più. Di sicuro noi la pensiamo esattamente come Griffin, e non ci meraviglierebbe ritrovare la ragazza, un anno dopo, dirigente di un'altra compagnia. (...)
Emanuela Martini, Cineforum n. 321, 1/2-1993

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