Ran - Ran
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Regia: | Kurosawa Akira |
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Cast e credits: |
Soggetto: Masato Ide, Akira Kurosawa, Hideo Oguni; sceneggiatura: Masato Hara, Masato Ide, Akira Kurosawa, Hideo Oguni; fotografia (colore):Asakazu Nakai, Takao Saito, Masaharu Ueda; musiche: Toru Takemitsu; montaggio: Akira Kurosawa; scenografia: Shinobu Muraki, Yoshiro Muraki; costumi: Emi Wada; interpreti: Tatsuya Nakadai (Hidetora Ichimonji), Akira Terao (Taro), Jimpachi Nezu (Jiro), Daisuke Ryu (Saburo), Mieko Harada (Kaede), Yoshiko Miyazaki (Sue), Takashi Nomura (Tsurumaru), Jun Tazaki (Ayabe); produzione: Coproduzione Herald Ace Nippon – Herald Films Tokyo – Greewich Film Prod.; distribuzione: Cineteca Griffith;; origine: Giappone, 1985; durata: 163'. |
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Trama: | Nel Giappone del ‘500, il “grande principe” Hidetora, che ha alle spalle una vita di violenze, guerre e stragi, sentendosi stanco, decide di spartire tra i tre figli feudo e ricchezze, riservando a se le insegne nobiliari ed il diritto di trascorrere a turno presso di loro i restanti giorni della propria vita. Convocati Taro (che sarà il capo della casata), Jiro e Saburo (il più giovane e prediletto), trova proprio in quest’ultimo, il più schietto e sincero, una inaspettata resistenza: a suo dire, l’odio e la sete di potere sconvolgeranno tutto. Per queste parole, Saburo viene scacciato dal padre, deluso ed irritato, con il fido Tango, trovando asilo da un principe suo futuro suocero. Ma Saburo non aveva torto. Ospite nel torrione del castello di Taro, il vecchio Hidetora viene osteggiato e sarà costretto ad andarsene da Jiro. Taro e Jiro si combattono strenuamente, mandando in rovina i rispettivi domini. Ucciso in battaglia Taro, Jiro si impadronisce dei suoi averi e ne sposa la vedova – la principessa Kaede – che nutre la vendetta contro Hidetora, che le ha ucciso i familiari. Mentre Hidetora, impazzito, vaga tra boschi e radure, accompagnato da uno scudiero e dal fedele buffone, Saburo parte alla ricerca del padre. Jiro dà battaglia a Saburo, che però, aiutato dai soldati del suocero, avrà la meglio. Jiro muore sul campo, Kaede viene decapitata, ma lo stesso Saburo cade, colpito da una pallottola alla schiena e sul suo corpo cade morto il folle Hidetora. Nelle campagne disseminate di cadaveri resta solo il fratello della principessa Suè (la prima moglie di Jiro, da questi fatta uccidere): un giovane cieco, vittima della crudeltà di Hidetora, ma anche di un Fato impietoso e della stupidità degli uomini. |
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Critica (1): | Motonari Mori (1497-1571) generale e politico di prim’ordine ebbe tre figli leggendari; quando sentendosi troppo vecchio decise di dividere il feudo tra i suoi tre eredi, il loro comportamento fu così esemplare che grazie all’intesa comune il feudo potè prosperare ed ingrandirsi. Leggendo questa pagina di storia, Kurosawa si domanda: cosa sarebbe successo se i tre onesti figlioli di Mori si fossero comportati diversamente, come le figlie di re Lear per esempio? «A un certo punto la storia di Mori e di Lear si sono mescolate nella mia mente» ci confidava il regista a Tokyo; «mentre riscrivevamo numerosi trattamenti non sapevamo più distinguere ciò che apparteneva a Shakespeare e alla nostra immaginazione ...». Più che una trasposizione del Lear in costumi giapponesi, Ran (tumulto, rivolta) è una storia giapponese strutturata «alla maniera di» Re Lear, rivisitato alla luce del Macbeth: più che sull’ingratitudine dei figli del signore Hidetora, l’accento viene messo qui sulla loro sfrenata ambizione; e Kaede, la giovane lady che li spinge al delitto fa pensare alla reincarnazione di Lady Macbeth che agisce però – vedremo – solo per sete di vendetta. Personaggio inventato, Kaede rimpiazza in qualche modo Edmund, il diabolico figlio naturale di Gloucester; dopo essersi sbarazzato del padre e del fratello Edgar, Edmund seminava la zizzania tra Regana e Goneril.
La più radicale innovazione di Ran riguarda le motivazioni della follia del sovrano. Rileggendo il Lear, il regista è rimasto colpito da un particolare: Shakespeare non fa cenno al passato del re; per arrivare e mantenersi al potere, Lear non può non aver commesso dei delitti, che non possono non aver lasciato una traccia profonda nella sua coscienza. Per Kurosawa, la rivolta dei due primogeniti e la conseguente follia di Hidetora è collegata direttamente a quei peccati di gioventù. I fantasmi delle vittime ritornano: miracolosamente scampato all’incendio del castello, mentre raccoglie fiori su una collina flagellata da un vento impetuoso, Hidetora ormai impazzito «vede» sfilare davanti ai suoi occhi i fantasmi delle sue vittime; e poco dopo deve fuggire dalla capanna in cui cercava riparo perché si ritrova davanti il povero Tsurumaru, un ragazzo indifeso che aveva fatto accecare solo perché era l’erede di una famiglia rivale. (Mentre la cecità di Gloucester accusa le figlie di Lear e il bastardo Edmund, quella di Tsurumaru incolpa direttamente Hidetora: quando riconosce la sua vittima, il Principe pazzo indietreggia inorridito come Washizu/Macbeth davanti al fantasma di Miki/Banquo, percorre l’intero perimetro della capanna strisciando le spalle contro le pareti reggendosi il capo fra le mani senza riuscire a staccare gli occhi dal cieco, una tavola cede e Hidetora precipita all’esterno, nel vuoto; il suo itinerario è una caduta senza fine).
Se il mite Tsurumaru e la sua soave sorella maggiore Sué (andata sposa per considerazioni politiche al secondogenito di Hidetora) hanno imparato a sublimare il dolore nella religione buddista, c’è qualcuno che non ha per nulla dimenticato le offese ricevute, lady Kaede. Dopo l’uccisione della sua famiglia di feudatari, Kaede (andata sposa al primogenito Taro) ha giurato vendetta: emula di Edmund, di cui ricopre un po’ il ruolo, questa inquietante creatura della notte, con l’astuzia della volpe e la sinuosità del serpente, metterà i figli contro Hidetora e in un secondo tempo aizzerà Jiro contro Taro, e arriverà fino ad esigere la testa di Sué (Sué ricopre un po’ il ruolo di Edgar, il figlio devoto di Gloucester). C’è un Macbeth che sonnecchia nel passato di Hidetora, il destino si servirà di una sua leggerezza senile (la decisione affrettata di dividere il feudo tra i figli) per fargli espiare le antiche colpe. Il «Caos» cui allude il titolo giapponese del film è figlio della prevaricazione, dell’ingiustizia di un tempo. Adattando il soggetto alla mentalità giapponese, Kurosawa non tradisce lo spirito di Shakespeare: come Re Lear, Ran è una protesta contro l’ingiustizia e la sofferenza immeritata (quella di Hidetora è però meritata), un’interrogazione sul significato dell’erranza umana e del dolore, un saggio sulla decomposizione e il declino del mondo. A questi motivi (brillantemente riassunti da Jan Kott) Kurosawa aggiunge quello dell’espiazione delle colpe, e quello mutuato dal Macbeth della follia dell’ambizione e della guerra (i due figli di Hidetora).
(...) Il senso di geometrica astrazione del film è accentuato dall’uso irrealistico del colore. Per distinguere le schiere dei tre figli di Hidetora e dei loro alleati, il regista sceglie dei colori simbolici: l’ambiguo Taro veste di giallo, l’ambiziosissimo Jito porta il colore della violenza (il rosso), Saburo l’azzurro dell’innocenza, Hidetora indossa un kimono bianco. In tutto il film – rileva Perez – c’è un sapiente lavoro di contrappunto tra i colori trattati come «sonorità orchestrali». Se non è il suo testamento come autore, Ran è probabilmente il testamento di Kurosawa pittore.
Aldo Tassone, Akira Kurosawa, Il Castoro Cinema-L’Unità, 1995 |
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| Akira Kurosawa |
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