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Donne viennesi - Merry-go-round


Regia:Von Stroheim Erich

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Erich von Stroheim; fotografia: Ben Reynolds, William Daniels; scenografia e costumi: Erich von Stroheim, Richard Day, E. Schelley, A. Hall, interpreti: Nonnan Kerry (il conte), Dorothy Wallace (principessa Gisèle, la sua fidanzata), Mary Philbin (Mitzi), Cesare Gravina (suo padre), George Siegman (Kallafati, proprietario del 'Merry-Go-Round"), Dale Fuller (sua moglie), Maude George (la signora del bordello), George Hackathom (il gobbo), Albeit Conti (l'amico del conte), Sidney Bracey (il cameriere), Anton Wawerka (l'impertore Franz Joseph); produzione: C. Laermmle e J. Thalberg per la Universal; origine: USA, 1922; durata: 150'.

Trama:Il conte austriaco Franz Maximilian, benché sia il promesso sposo della contessa Gisella, si innamora di Agnes, figlia di un burattinaio del circo. Poiché la ragione di Stato lo porta a sposare comunque Gisella, Franz si allontana dal suo vero amore e, dopo lo scoppio della guerra franco-prussiana, quando la moglie muore, ormai vedovo tenta di riconquistare la bella Agnes. Se non fosse che lei intanto si è fidanzata con il gobbo del circo...

Critica (1):I rapporti di Stroheim con la Universal erano già parecchio deteriorati, quando iniziarono le riprese di Merry Go-Round. Stroheim era sotto l'occhio dei produttori, di Laemmle e soprattutto di Thalberg, che cercavano in ogni modo di limitare i suoi "eccessi ". La situazione precipitò a tre quarti di film girato: Thalberg licenziò Stroheim, e diede da finire il film a Rupert Julian, onesto impiegato della regia, da ricordare solo per un buon The Phantom of the Opera del '25, con Lon Chaney. Lo stesso Julian curò il montaggio del film, riducendo comunque di due rulli il materiale girato. Se si tiene presente, oltre a ciò, che Stroheim avrebbe voluto interpretare la parte principale, e che, sempre per imposizione dei produttori, fu costretto a ripiegare sul mediocre Norman Kerry, si comprenderà come ciò che vediamo oggi come MerryGo-Round sia soltanto una pallida eco di ciò che il film avrebbe potuto essere. Pure, la struttura generale resiste, nonostante lo stravolgimento particolarmente grave del finale e, nella prima parte soprattutto, la mano di Stroheim si fa sentire con tutta la sua forza. Fin dall'inizio, si pone il tema del film, che è quello della giostra, e quindi della circolarità dei destini. Simbolo della giostra è la grande ruota del Prater, quindi Vienna. Ancora una volta, dopo Montecarlo, gli Studi della Universal si riempiono degli edifici principali d'una città della vecchia Europa, ricostruiti al vero con la solita minuziosità. Con gli edifici, Stroheim rifà gli eserciti, le truppe del glorioso esercito austro-ungarico, per le sequenze dedicate alla prima guerra mondiale, e anche qui la sua cura maniacale lo spinge a girare più volte complesse scene di battaglia solo perchè, a suo giudizio, i soldati hanno zaini troppo vuoti. Stroheim, come è sempre più chiaro, vuole duplicare il mondo, duplicarlo col cinema, e non tanto in chiave elegiaca, come rimpianto per una scomparsa (la scomparsa del mondo asburgico, p.e.), quanto come atto di rifondazione capace, nella sua potenza, di essere più vero del preteso vero. Progetto rigorosamente consequenziale di realismo, scopre il fondo fantasmatico d'ogni realismo, la scissione espressa da ogni doppio, l'esplosione del reale che ne consegue. La realtà ha probabilità di sussistere solo con i realisti timidi, i finti realisti che fanno le cose a metà. Stroheim arriva a fondo; o meglio ci arriverebbe, fino a produrre un borgesiano duplicato identico del mondo, se non fosse fermato dai custodi del buon senso economico, i quali sanno bene che il valore si fonda semmai sull'unicità moltiplicata, mai sulla duplicazione. La ruota del Prater gira. La giostra, l'anello mobile della felicità, gira. I viennesi si divertono. Eleganti signore e signori si divertono alle attrazioni del Luna Park, proprio come signore e signori molto meno eleganti si divertiranno in Greed o in Walking Down Broadway. Il tiro a segno è un tiro ai cuori e i cuori rimangono colpiti. Sfila il campionario dei mostri da baraccone: il gobbo e l'orango, che sono amici, la donna cannone, e Kallafati (o Huber?), che è il più mostruoso di tutti. Interpretato da George Siegman, attore diviso da Stroheim da una certa ruggine e imposto dalla produzione di Wallace Beery, Stroheim scarica su di lui una antipatia visibile, facendone una creatura odiosa, un violento grossolano, un bruto, la cui prima apparizione consiste nell'avvicinarsi a Mitzi, la dolce ragazza che suona l'organetto di Barberia, e strapazzarla, strappandole il bambolotto (vestito da lanciere) del quale la poveretta aveva fatto il supporto dei suoi sogni (cfr. la bambola con cui gioca, in Foolish Wives, la figlia di Ventucci). Non solo, ma il bruto nega alla giovane, come a suo padre, burattinaio e pagliaccio, il permesso di lasciare il lavoro per assistere la madre ammalata. Stroheim esagera, addirittura quando subito dopo mostra Kallafati a cena a casa sua, con la moglie (Dale Fuller), e c'è una grottesca disputa a proposito di un pezzo di salame, del quale l'uomo concede alla donna, e mal volentieri solo una piccolissima fetta. Comincia qui una struttura, ricorrente nel film, di montaggio parallelo, nella misura in cui è presente un intento simbolico di comparazione tra scene di vita di due classi differenti (la cosa tornerà quasi identica in Wedding March), o anche, all'interno della stessa classe di due personalità ugualmente forti. Lo stemma nobiliare, la facciata del palazzo sontuoso, introducono al tema, che tornerà pure in Wedding March, del "lever du prince". Se in Wedding March il principe sarà svegliato da una cameriera, qui è un valletto che tenta di svegliare il conte. Il conte dorme, sogna, e chissà cosa sogna, se accarezza la mano che lo scuote, prima di respingerla bruscamente una volta sveglio e resosi conto che si tratta solo del servo. [...]
Alessandro Cappabianea, Von Stroheim, il castoro cinema 1979

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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