Âge d'or (L') - Âge d'or (L')
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Regia: | Buñuel Luis |
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Cast e credits: |
Soggetto: Luis Buñuel, Salvador Dalí; sceneggiatura: Luis Buñuel; fotografia: Albert Duverger; musiche: brani da Mendelssohn, Mozart, Beethoven, Debussy, Wagner, Van Parys e un pasodoble; montaggio: Luis Buñuel; interpreti: Llorens Artigas, Jacques B. Brunius, Pancho Cossio, Simone Cottance, Caridad De Labarquesque, Xaume De Miravilles, Paul Eluard, Marie Berthe Ernst, Max Ernst (il capo dei banditi), Valentine Hugo, Lya Lys (la donna), Gaston Modot (l'uomo), Pierre Prevert, Pruna, Lionel Salem; produzione: Le Vicomte di Noailles (Francia); distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Francia,1930; durata: 60'. |
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Trama: | Secondo film surrealista di Buñuel, ideato con Salvador Dali come Un chien andalou (1929), non ha una continuità narrativa anche se vi si possono individuare un prologo, un epilogo e un filo conduttore, l'amore folle che butta l'uno nelle braccia dell'altra un uomo (G. Modot) e una donna (L. Lys) che non potranno unirsi mai. Disponibile scena per scena alle più varie interpretazioni e in linea con l'ideologia surrealista, è un pamphlet visionario contro i pilastri della borghesia capitalista (la Chiesa, lo Stato, l'esercito) e sostiene che soltanto la forza sovversiva del desiderio e dell'amore è accettabile. Lo fa con un fuoco di fila di invenzioni visive fondate sull'esasperazione, l'indegnità, l'assurdo, pur rifiutando, in nome di un realismo "oggettivo", i procedimenti formali dell'avanguardia del tempo. |
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Critica (1): | Il secondo film Buñuel lo può girare grazie al successo di Un chien andalou. Anche questa è un'impresa extraindustriale, frutto del mecenatismo del visconte Charles de Noailles. Il surrealismo ha ormai trovato nel trentenne spagnolo Luis Buñuel (Calanda, Aragona, 22 febbraio 1900) il suo vate cinematografico: se ne serve per le sue battaglie - memorabile sarà quella in occasione dei tumulti provocati dai giovani dell'Action française nel cinema dove si proietta il film - e lo serve nella sua ricerca di uno stile.
Dai 17 minuti (muti) del cortometraggio "benedetto" da Breton, passiamo ai 60 (sonori) di L'âge d'or, opera a modo suo regolare, che dispone di un bilancio di un milione di franchi e di un piano di lavorazione del quale sono previste quattro settimane in interni (nei teatri di Billancourt), alcuni giorni di esterni alla periferia di Parigi e un trasferimento a Cadaqués in Spagna per la sequenza iniziale.
Le circostanze non potrebbero essere più favorevoli. Il visconte ama le arti, non pone vincoli a Buñuel. Una libertà provvisoria, che ha tutta la precarietà dei fatti "irregolari" e tutta la bellezza dell'imprevisto e dell'infrazione. La libertà del surrealismo: un momento felice in cui il grido della ribellione può uscire non soltanto dalle pagine della letteratura ma anche dallo schermo di un'arte che i surrealisti considerano il mezzo espressivo più congeniale ai loro principi.
Nei confronti di Chien andalou, L'âge d'or si segnala per una organizzazione più rigorosa dei processi psicologici presi a oggetto del film. La libertà delle associazioni d'idee resta intatta, ma il ritmo al quale si susseguono - più disteso - permette allo spettatore di "leggere" meglio tra le pieghe degli eventi e di decifrarne con minore fatica (minore incertezza) il significato. Non è un caso che contro L'âge d'or si siano scatenati gli squadristi fascisti dell'Action française e non soltanto i borghesi offesi nel loro buongusto: ciò vuol dire che la provocazione politica ha colto nel segno. Qui si mette in discussione il potere, apertamente.
Sornione, secondo uno stile qui appena abbozzato (in attesa di precisarsi nei film maggiori, trent'anni dopo), Buñuel inizia con uno squarcio di documentario sugli scorpioni. Poi, sui dirupi di un paesaggio sassoso, vediamo un gruppo di vescovi assorti in preghiera. Nei pressi si aggirano folcloristici banditi. Uno di loro entra in una baita a scuotere i compagni, li trascina fuori, ma quelli cadono a uno a uno esausti (l'infrazione "tradizionale" e anarchica è fuori gioco). Un corteo di barche attracca in una insenatura. Ne scendono dignitari, militari, preti e suore. Passano davanti al luogo dove c'erano i vescovi: ci sono rimasti gli scheletri e i paludamenti (non è la vecchia Chiesa che conta, coi suoi riti, ma il nuovo potere economico-militare). Il dignitario in capo sta per pronunciare un discorso (vedremo che si tratta della posa della prima pietra della " città eterna ", simbolo del potere e della religione) quando un grido di donna lo interrompe. Una ragazza si dibatte per il piacere tra le braccia di un uomo. Gli scherani agguantano l'uomo, mentre la donna al gabinetto medita. La "città eterna" che ora stanno fondando può anche crollare (crollare nel desiderio dei ribelli). L'uomo è trascinato per le strade, la donna in casa si strugge per lui: va in camera sua, dove sul letto è sdraiata una vacca, siede davanti allo specchio, il vento (del desiderio) le agita i capelli. L'uomo mostra un documento ai suoi custodi, che lo liberano. "I marchesi X " interrompe una didascalia "si apprestano a ricevere gli ospiti", in una villa presso Roma (la "città eterna" sempre in piedi, eppure da sempre morta). Arriva anche l'uomo, che si sbarazza di alcune importune megere, e trascina in giardino la donna. Fremono d'amore, si abbrancano. Sul più bello li interrompono: il ministro vuole lui al telefono. L'uomo va, lo manda al diavolo, e quello muore, appiccicato al soffitto. In giardino, una orchestra suona (Wagner, Tristano e Isotta), finché il vecchio maestro barbuto non si secca e si allontana. La donna lo vede e lo bacia con trasporto. La gelosia sconvolge l'uomo che, a casa, sventra un cuscino di piume, getta dalla finestra un pino in fiamme, un aratro, un vescovo, una giraffa. Didascalia: "Tornavano i sopravvissuti del castello di Selliny". Siamo alle sadiane Centoventi giornate. Il film si conclude con la figura dì Cristo che avanza sul ponte levatoio del castello, rientra per uccidere una ragazza insanguinata apparsa sulla soglia, ne esce vecchissimo. Una croce, brevissimi accordi di un paso doble.
Il 28 novembre 1930, allo Studio 28 (dove aveva trionfato Un chien andalou), cominciano le proiezioni del film, con l'esito che si è detto. Buñuel ha di nuovo levato un inno all'amore, inteso stavolta non solo come trasgressione della morale borghese ma anche come rivolta totale contro il potere. Il surrealismo come arma di lotta, e come beffa. Dunque, doppiamente intollerabile.
Fernaldo Di Giammatteo, 100 film da salvare, Mondadori1978 |
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Critica (2): | «Espulso da Figueras, Dalì mi domanda di seguirlo nella sua casa di Cadaques. Dove ci mettiamo a lavorare per due o tre giorni. Ma l'incanto di Un chien andalou mi sembrava spezzato del tutto. Che fosse già l'influenza di Gala? Non sì andava d'accordo su niente. Ciascuno trovava brutte le proposte dell'altro, e le respingeva. Ci siamo separati amichevolmente e ho finito con lo sbrigarmela da solo, a Hyères, nella proprietà di Charles e Marie Laure de Noailles. Che mi lasciavano in pace tutto il giorno. La sera, leggevo a voce alta le mie pagine quotidiane. Non hanno mai sollevato un'obiezione. Trovavano tutto – esagero un po' – «squisito, delizioso». Il risultato fu un film di un'ora, molto più lungo di Un chien andalou. Dalì mi aveva spedito per lettera parecchie idee, almeno una delle quali è rimasta nel film: un uomo cammina in un giardino pubblico con una pietra sulla testa. Passa vicino a una statua. Anche la statua ha una pietra sulla testa. Quando vide il film ultimato, gli piacque molto e mi disse: «Sembra un film americano». [...]
L'età dell'oro venne girato nel teatro di posa di Billancourt. Su un set vicino, Eisenstein stava realizzando Sonate de printemps. Avevo conosciuto Gaston Modot a Montparnasse. Innamorato della Spagna, suonava la chitarra. Quanto a Lya Lys, la protagonista femminile, mi era stata mandata da un agente insieme a Elsa Kuprine, figlia dello scrittore russo. Non ricordo più perché ho scelto Lya Lys. Duverger era sempre alla macchina da presa. Marvalera sempre il segretario di produzione, come per Un chien andalou. Quest'ultimo interpretò anche uno dei vescovi che vengono defenestrati - alla lettera.
Uno scenografo russo si occupò degli interni. Mentre gli esterni si svolsero in Catalogna, vicino a Cadaques, e nei dintorni di Parigi. Max Ernst faceva il capo dei briganti, Pierre Prévert il brigante ammalato. Tra gli invitati, nel salone, sono riconoscibili Valentine Hugo, alta e bella, proprio di fianco al famoso ceramista spagnolo Artigas, amico di Picasso, un omettino che decorai con un paio di baffi giganteschi. L'ambasciata italiana vide in questo personaggio una allusione al re d'Italia Vittorio Emanuele, che era minuscolo, e mi diede querela. Dovetti combattere con vari attori, e particolarmente con il russo emigrato che interpretava il direttore d'orchestra. Non era proprio un granché. In compenso, ero contento della statua, fatta apposta per il film. Aggiungo che in una scena per strada si vede Jacques Prévert di passaggio, e che la voce fuori campo – L'età dell'oro è il secondo o terzo film sonoro realizzato in Francia – quella voce che diceva, lo ricordo bene: "avvicina la testa, qui il cuscino è più fresco", apparteneva a Paul Eluard.
Da ultimo, l'attore che nell'ultima parte del film faceva il duca di Blangis - un omaggio a Sade - si chiamava Lionel Salem. Specializzato nell'interpretazione di Cristo, lo impersonò in varie produzioni d'epoca. [...]
Per me si trattava anche – e soprattutto – di un film d'amore, un amore pazzo, di una spinta irresistibile che butta uno nelle braccia dell'altro, quali che siano le circostanze, un uomo e una donna che non potranno unirsi mai. [...]
La prima rappresentazione, riservata a pochi intimi, si svolse dai Noailles che – si esprimevano sempre con una leggera intonazione britannica – trovarono il film «squisito, delizioso». Poco tempo dopo, alle dieci del mattino, organizzarono una proiezione al cinema "Pantheon", dove invitarono "la crema parigina" e in particolare un certo numero di aristocratici. Marie-Laure e Charles se ne stavano all'ingresso (cosa che mi ha raccontato Juan Vicens perché ero fuori Parigi), stringendo sorridenti mille mani e abbracciando perfino qualche invitato. Alla fine della serata tornarono al loro posto accanto alla porta per salutare gli invitati che se ne andavano e raccogliere le varie impressioni. Ma quelli si allontanavano rapidamente, freddamente, senza una parola. Il giorno dopo, Charles de Noailles fu messo alla porta dal Jockey-Club. Sua madre dovette perfino fare un viaggio a Roma per parlamentare con il papa in quanto si parlava di scomunica. Il film uscì, come Un chien andalou, allo "Studio 28", dove lo replicarono per sei giorni di fronte a un tutto esaurito. Dopo di che, mentre la stampa di destra faceva il diavolo a quattro, i "Camelots du Roi" e le "Jeunesses Patriotiques" assalirono il cinema, fecero a pezzi i quadri dell'esposizione surrealista nell'atrio, lanciarono bombe contro lo schermo, spaccarono le poltrone. Fu "lo scandalo dell'Età dell'oro".
Una settimana dopo, in nome del mantenimento dell'ordine pubblico, il questore Chiappe vietò il film. Puro e semplice. Divieto che rimase effettivo per cinquant'anni.n Si poteva vedere il film solo in proiezione privata o nelle cineteche. Finalmente, uscì a New York nel 1980, e a Parigi nel 1981.»
Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Milano, Rizzoli. |
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