Naked/Nudo - Naked
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Regia: | Leigh Mike |
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Cast e credits: |
Soggetto: Mike Leigh; sceneggiatura: Mike Leigh; fotografia: Dick Pope; musiche: Andrew Dickson; montaggio: Jon Gregory; scenografia: Alison Chitty; costumi: Lindy Hemming; interpreti: David Thewlis (Johnny), Lesley Sharp (Louise), Katrin Cartlidge (Sophie), Greg Cruttwell (Jeremy), Claire Skinner (Sondra), Peter Wight (Brian), Ewen Bremner (Archie), Susan Vidler (Maggie), Elizabeth Berrington (Giselle), Peter Whitman (Sig. Halpern); produzione: Thin Man; distribuzione: Academy; origine: Gran Bretagna, 1994; durata: 131’. Vietato 14 |
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Trama: | A Londra, il vagabondo Johnny, originario di Manchester, dopo aver stuprato una prostituta per strada, va all'alloggio della sua ex fidanzata, Louise, ma trova la sua coinquilina, Sophie, una donna tossicomane che cede subito alle sue profferte. Le donne occupano l'appartamento dell'infermiera Sondra, al momento in Africa. Uscito a vagabondare per le strade, il giovane si imbatte in Archie, uno scozzese agitato che ha perduto la sua ragazza, Margie, e Johnny aiuta i due a ritrovarsi. Quindi viene ospitato da Brian, guardiano notturno di un grande edificio: i due discutono del degrado ambientale e sociale; dell'Apocalisse; del destino dell'uomo e dividono anche il cibo. ma la vista di una donna che si bamboleggia alla finestra di fronte stimola di nuovo Johnny che va a suonare alla sua porta. La donna lo fa entrare e giacerebbe anche con lui che però finisce per rifiutarla: nell'andar via le ruba dei libri. Intanto il giovane e ricco Jeremy, dopo essersi fatto massaggiare da Gisella, una ballerina disoccupata, va a casa di Sondra, qualificandosi come Sebastian Hawk, padrone di casa, e sevizia Sophie. Johnny dal canto suo fa amicizia con un attacchino che poi lo lascia per strada e gli porta via la borsa. Quindi, dopo essere stato ospitato e cacciato di casa da una cameriera di fast food, incontra alcuni teppisti che lo malmenano. Stremato si trascina a casa di Louise dove si trova Sondra scioccata dal caos in cui la casa è ridotta. Jeremy, che è suo amante, è rimasto a dormire, e Johnny, ferito, deve essere curato. Sophie, sconvolta dalle violenze subite lascia la casa, Louise, cacciato via Jeremy, tenta di convincere Johnny a tornare con lei a Manchester, ma lui riprende a vagabondare per la metropoli. |
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Critica (1): | «Verso Naked provo lo stesso sentimento ambivalente che avverto nei confronti del caos del nostro ventesimo secolo ormai alla fine e con ogni probabilità ambivalente come il film stesso. Un film che è, almeno lo spero, tanto divertente quanto triste, tanto scostante quanto bello, tanto pieno di compassione quanto d'orrore, tanto responsabile quanto anarchico». In effetti, le coppie oppositive evocate da Mike Leigh - e magari anche altre - si ritrovano tutte in questa interessantissima opera giocata sulla sgradevolezza, tipicamente britannica, dei contrasti. Naked parte con piglio realistico, evocando una quotidianità che, sullo sfondo di piaghe sociali radicate come la disoccupazione, esibisce lo squallore di rapporti umani che fanno tutt'uno con la sciatteria di interni letteralmente obsoleti, scrostati da quel lindore-valore piccoloborghese che pure costituiva una critica implicita nel cinema di ascendenza free. Poi, mano a mano che il personaggioguida assolutizza la propria parabola esistenziale, il film diventa una sorta di discesa negli inferi di una Londra marginale e proletaria assai poco swingin', in una dimensione epico-biblica sottolineata dalla lapidaria sentenziosità dei dialoghi. In una struttura ambiziosa e complessa, che fa uso parco e calibrato della metafora, entrano come elementi di alleggerimento episodi come quello dei due fidanzati che si sono persi e si rincorrono alla cieca, soprattutto, del guardiano notturno che, un po' come il Pierre Bon-Bon di Poe, mescola in maniera irresistibile i sillogismi con la propria dismagante attitudine professionale; umanissimo elemento "di commedia", quest'ultimo, che funziona anche come unico contradditorio vero e possibile alla superiorità messianica e un po' scostante del protagonista. Troppo meccanico e insistito appare invece il parallelismo con lo yuppie sadico e imbecille, forse non del tutto necessario a delineare l'impossibilità di una prospettiva altra. David Thewlis, che assomiglia a Voeller e ha già recitato con Leigh in Life is Sweet, si è aggiudicato a sorpresa ma con pieno merito la Palma d'oro per la migliore interpretazione maschile, ma tutti i membri del cast sono degni di una grande tradizione.
Paolo Vecchi, Cineforum n. 325, 6/1993 |
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Critica (2): | Johnny, anzitutto, il protagonista. Un uomo di ventisette anni che ne dimostra quaranta, irsuto, uno spilungone sgraziato, barba lunga, baffi disordinati, pelo rossiccio, vestito di nero, sporco (non si lava da una settimana, lo dice lui), sempre con una sigaretta in bocca (ad un certo momento ne ha persino due, quando fa il clown). Lascia Manchester e cala su Londra cercando la sua ex, ma non sa bene perché, non cerca soluzioni materiali, cerca qualcosa di più importante, una ragione per vivere, in sintonia con ragioni più alte. Compie diverse porcherie e si trascina attorno come un'anima dannata: sì, è davvero un «antieroe degli anni '90, freddo, cinico e immorale», come dice la succinta sinossi del press-book, ma non per malvagità o per avidità o per odio del prossimo, bensì per una sorta di "nostalgia del Bene". La sua è una disperazione intellettuale, e in questo si imparenta ad una legione di artisti "maledetti", anche se poi lui non è un creativo, non produce niente, si lascia vivere in un nichilismo assoluto. Veniamo a sapere, come casualmente, che il padre l'ha educato a sganassoni e la madre la si può vedere sfogliando le pagine di pubblicazioni vietate ai minori. Ma orse non è vero, forse è una invenzione di Johhny, che ama costruire castelli di parole, e comunque non ha importanza. Forse a nutrire la sua anarchia deambulante c'entrano l'infanzia travagliata, le difficoltà pratiche, la povertà, il problema di trovare lavoro, come può far supporre l'ambientazione "proletaria" del racconto e la sua atmosfera, dominata dagli aspetti più squallidi della città.
(...) Un personaggio ché gli fa da pendant è Sebastian, il giovane ricco e annoiato, crudele e odioso, che traversa misteriosamente la vicenda. Non si sa bene chi sia e cosa voglia, dice che vive per divertirsi e che a quarant'anni si suiciderà perché non vuole diventare vecchio. E un altro aspetto della disperazione, ma di tipo ottuso, legato solo ai contorni concreti delle cose, con la sua cura del corpo e la sua ricerca dei piaceri, esercitata sadicamente nel senso che la sofferenza degli altri fa parte di questo piacere (c'è persino un richiamo al Divino Marchese del brookiano Marat/Sade quando Sebastian si fa flagellare dai lunghi capelli neri di Sophie). Sebastian somiglia fra l'altro, fisicamente ma non soltanto, al Dirk Bogarde dei personaggi più sgradevoli. L'altro uomo della vicenda è Brian, il guardiano notturno. Aspetto mansueto, da cane fedele e bastonato, ha accumulato un bel po' di frustrazioni. («Le donne? Tutte puttane»). Svolge «il lavoro più palloso d'Inghilterra e dintorni», quello di custodire non delle cose ma degli ambienti vuoti, guardiano dello spazio, come gli fa osservare Johnny che lo costringe a guardare in faccia la realtà e a rinunciare in pratica anche alla dimensione temporale, a quella sia pur incerta speranza nel futuro da lui coltivata. Futuro raffigurato dalla bicocca vicino al mare in cui Brian intende ritirarsi (demolita dalle osservazioni pungenti di Johnny) e dall'idea vagamente palingenetica sul destino dell'universo (sempre da Johnny demolita dall'apocalittica visione del "fine ultimo" del mondo, la catastrofe senza fine). (...)
In una cosa, credo, per quanto riguarda il rapporto fra Mike Leigh e i suoi personaggi, il suo pensiero coincide con quello del suo protagonista. Ed è nell'avversione per la "normalità", per i luoghi comuni, per l'atteggiamento ottuso delle “personcine felici”, come le chiama Johnny, per le persone ricche e pacchiane, per gli esseri che cercano solo di vivere empiricamente, senza levare gli occhi verso le stelle. Soffrono tutti, in questo loro continuo incontrarsi e lasciarsi, ma Leigh può provare compassione per loro, non comprensione. Non per quelli che sono paghi della televisione serale («E questo è bello?» domanda Johnny a Louise additando il televisore in funzione, e non importa quale programma trasmetta in quel momento), non per quelli che custodiscono, conservano - i conservatori, appunto - i beni degli altri, attribuendo loro il massimo dei valori. (...)
Emanno Comuzio, Cineforum n. 339, 11/1994 |
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Critica (3): | Nudo: senza protezione, senza difese. Nudo al momento della nascita, nudo dopo la morte. Nudo nell’atto sessuale. Nudi i senza casa, gli angeli e i dèmoni. Si troveranno altre giustificazioni al titolo, ma quella dominante è la nudità del presente. Hanno detto che tutta la storia della letteratura (tutta la storia del “raccontare una storia”) può essere ricondotta agli archetipi dell’Iliade e dell’Odissea: la ricerca del tempo trascorso, il viaggio nell’incognito. Il protagonista di Naked, di passaggio nell’appartamento di una cameriera, fa riferimento a entrambi (e prende in mano la copia di un’edizione inglese dell’Odissea), esplicitando l’idea che è alla base del film: l’esplorazione del passato e l’angoscia del futuro sono due punti di vista, opposti e complementari, sul presente. Il passato è dovunque: nella relazione fra Johnny e Louise, reduci da una tempestosa relazione (della quale sappiamo poco o nulla) in un’altra città e in un’altra vita. Non c’è differenza fra Manchester e Londra; ogni città è una nuova Dublino per questo Leopold Bloom che riscrive nel proprio peregrinare fra le strade della capitale un nuovo Ulysses di fine millennio. Il suo itinerario è segnato da testimonianze sulla evoluzione della specie: un rettile impagliato, che Jeremy utilizza come minaccioso gioco erotico; una mandibola di squalo; un diagramma dello scheletro umano appartenente all’infermiera Sandra; piante esotiche, un boomerang, statue tribali africane; infine, la Storia e i monumenti del sapere: Attila, l’antica Grecia, i libri del Deuteronomio, di Ezechiele, di Giosuè, fino a Shakespeare e alla Teoria del Caos di James Gleick. Se l’unico futuro possibile è la realizzazione di un’eredità genetica e morale, non rimane che accelerarne il compimento. La morte ha scarso significato, e comunque non ha più importanza di un manifesto del gruppo heavy metal Megadeath (Symphony of Destruction) o del tatuaggio a forma di teschio sulla spalla di una donna. “Posso avere una sigaretta?” chiede Johnny. “Vorrei proseguire le mie ricerche sul cancro”. Le tappe della sua discesa agli inferi sono scandite da altrettante presenze femminili: la sconosciuta in un sordido vicolo di Liverpool, di cui non vedremo neppure il volto; e poi Louise, Sophie, la ragazza del Jubilee Café, la donna nell’appartamento di fronte al palazzo sorvegliato da Brian. Ogni suo rapporto sessuale è quasi uno stupro e quasi un disperato gesto d’amore, ma vale come l’una e l’altra cosa insieme (là dove l’incontro non si conclude con il coito, Johnny lancia una maledizione di proporzioni bibliche, o respinge l’altra con frasi umilianti: “non posso farlo, sembri mia madre”; “ad ogni modo, grazie per le mammelle”). Solo un giudizio superficiale può attribuire al film intenzioni misogine: le donne di Naked, incarnazioni negative del mito di Penelope (e di Molly Bloom), materializzano una dinamica di segno opposto, la terribile realtà della gratificazione per il dolore inflitto dal maschio. Per tutte, senza eccezione, l’apparente disprezzo da parte di Johnny ha gli accenti di un’inconfessata solidarietà. è una solidarietà cosmica, beninteso, non individuale, e Johnny la concede anche ai personaggi maschili: allo sbandato Archie, che cerca disperatamente la propria compagna Maggie per poi insultarla; a Brian, custode dell’universo senza senso di un palazzo (l’intermezzo a lui dedicato avrebbe forze potuto beneficiare di qualche taglio); perfino a Jeremy, il repellente Nietzsche in Giorgio Armani che ha violentato Sophie (Johnny gli tende la mano chiamandolo “fratello”). è proprio nella figura di Jeremy, e in quella dell’infermiera Sandra, che Mike Leigh si è concesso a quel gusto per la caricatura che temperava l’amarezza di Bleak Moments (1971), High Hopes (1988) e Life Is Sweet (1990). L’apparizione di Sandra, con tanto di pantaloni corti e casco da esploratore, in un contesto così soffocante e desolato può sembrare un contrappunto superfluo alla vicenda; Jeremy è descritto a tratti così sommari che la sua figura – pure annunciata con un’interessante battuta di dialogo: “voglio suicidarmi a quarant’anni... non voglio diventare vecchio” –rimane il più delle volte un enigma a due dimensioni; e avremmo volentieri fatto a meno della digressione in cui Johnny è accolto per sbaglio in una Rolls Royce, per esserne espulso subito dopo. Anche con questi residui di bozzettismo, Naked – film di confine tra iperrealismo e astrazione – rappresenta un clamoroso passo in avanti rispetto ai precedenti film di Leigh, regista di statura di gran lunga superiore ai compatrioti Stephen Frears e Ken Loach (il paragone con i rispettivi The Snapper e Raining Stones è eloquente), e uno strappo decisivo dai canoni del realismo sociale nel cinema britannico. Nonostante tutto, questa è anche una struggente storia d’amore: Johnny e Louise vivono infatti, in prima persona, il mito letterario riassunto nel motto “né con te, né senza di te”. Non è un film sul “male di vivere”, di quelli se ne sono visti anche troppi. è un poema epico sul dramma dell’umanità “senza casa”, dai barboni che dormono coprendosi con i fogli di giornale a tutti i nomadi dello spirito che inseguono e al tempo stesso rifuggono l’utopia di un rifugio del sentimento. “C’è un sacco di posti in cui si può andare”, dice Johnny; “il problema è dove fermarsi”.
Paolo Cherchi Usai, Segno Cinema, n. 66 marzo/aprile 1994 |
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Critica (4): | Già recensito da Paolo Cherchi Usai sul n. 66 di "Segnocinema", Naked esce su gli schermi italiani con colpevole e inammissibile ritardo, a dimostrazione di come gli spazi per il cinema di qualità si stiano sempre più restringendo in un mercato tendenzialmente monopolistico ed omologato come quello italiano. L'importanza del film di Mike Leigh è comunque tale che ci sembra opportuno ritornarci su: se non altro, per dare il nostro modesto contributo alla diffusione e alla conoscenza di un film che si colloca senza dubbio tra i più intelligenti e stimolanti delle ultime stagioni. Cherchi Usai, nella recensione citata, ne parlava come di una "discesa agli inferi". Era una chiave calzante e suggestiva, basata su precisi e puntuali riscontri testuali, a cui ci piace accostare però anche un'altra possibile pista di lettura: quella dell'itinerario odisseico nello scenario degradato di una metropoli di fine millennio. Johnny – Naked come Ulisse – Nessuno? Sì, ma come un Ulisse condannato fin dall'inizio alla solitudine e senza più alcuna Itaca a cui sperar di tornare. Nakedsancisce infatti la definitiva scomparsa di ogni possibile altrove. Per tre volte, nel corso delle sue peregrinazioni londinesi, Johnny entra in case abitate da donne: e in ognuna di esse trova non a caso segni e tracce e mappe che rinviano all'esistenza geografica di luoghi "altri". In casa di Louise e Sophie non solo viene a sapere che la proprietaria dell'appartamento è in vacanza nello Zimbawe, ma osserva anche i souvenir turistici (un boomerang australiano, oggetti e feticci di artigianato africano) che la "viaggiatrice" ha presumibilmente raccolto nel corso dei suoi viaggi precedenti. In casa della donna triste e solo che Johnny ha spiato assieme al guardiano notturno di un palazzo si trova invece una cartina unta e sporca, ma perfettamente leggibile, dell'Irlanda. Infine, nell'appartamento della cameriera del "Jubilée Café" abbondano i riferimenti alla Grecia dorìca antica, visualizzata.attraversostatuettedestinate al consumo turistico di magra La coincidenza è singolare: in un mondo così condannato all'hic et nunc com'è quello di Naked, il sognotbisogno-di "alterità" spazio temporale sopravvive in modo residuale edegradato-solo nei souvenir turistici e nei reperti falso-storici. Johnnysf ora i "segni" di questa altee ità, ma non li coglie. Non gli interessano, non ci crede più. Per lui, si diceva, conta solo il qui ed ora. Senza passato, senza futuro, solo nel presente Perché - come dice una battuta del film - "il presente è buono e perfetto, l'unico problema è che non esiste: è accadere e subito passare". Johnny è l'ultimo eroe di questa dimensioneframmentatae discontinua del tempo. L'ultimo viaggiatore disposta a spostarsi da un frammento temporale ad un altra atti averso vertiginosi salti di continuità. Come nei fotogrammi che compongono la pellicola di un film: se proiettati ad una certa velocità; anche se noi sappiamo che presi ciascuno in sé e per sé sono tutti irrimediabilmente frammenti isolati. Appaiono, e sono già passati. Johnny è consapevole di questa "qualità del tempo" (e della vita). Per questo vive nell'hic et nunc. Per questo attraversa il mondo (la pellicola?) con l'aria di un Ulisse che non sa più dove e perchè tornare. A un certo punto, nella casa della cameriera, prende perfino in mano una vecchia edizione dell'Odissea e ne parla come se sì trattasse dell'Iliade. Il gioco e l'inganno si svelano qui nel mondo di Naked le due figure-archetipe della narratività occidentale sono ormai come fuse e sovrapposte. L'Iliade è divenuta l'Odissea, e viceversa: il viaggio ha la forma dell'assedio, il ritorno si confonde con la guerra. Come in un assedio, in effetti, il viaggio dl Johnny per le strade e le piazze di Londra è tutto un cercate di farsi aprire porte, di entrare in appartamenti, di penetrare in ambienti ostili. E alla fine, non a caso, l'ultimo Ulisse metropolitano sceglie di non tornare ad Itaca (Manchester), ma di restare a Troia (Londra), solo e sanguinante come dopo un'insensata e ininterrotta battaglia campale. Ferito come Achille ad un tallone (l'arto inferiore, quello che consente di muoversi e di "viaggiare"), Johnny arranca e striscia tra le luci livide di una città morta, in cui sembra si sia consumata anche l'ultima possibile epopea. Eroe post epico di un mondo no future, così simile eppure così diverso dal suo alter ego finzionale (quel Jeremy che come lui stupra le donne e sogna di morire a 40 armi), il protagonista di Naked è il paradigma post-moderno della disperazione. E la sua deriva picaresca – chiusa fra uno stupro agito e un pestaggio subito – si colloca sotto il segno del contrappasso e della nemesi. Molto più crudo, aspro ed abrasivo degli ultimi film britannici "arrabbiati" (Ladybird di Ken Loach, The Snapper di Stephen Fears), Naked porta sulla schermo un mondo "nudo" e indifesa, senza più alibi e modelli culturali, e lo racconta con una sintassi franta e spezzata, fredda e oggettiva, che lascia addosso uno strano senso di malessere e di turbamento. Ma proprio per questo è un film importante: nel suo cercare un grado zero dell'etica, della storia e della geografia, senza temere salti e buchi neri, riesce a trasmetterci qua e là, spessa proprio negli interstizi del suo narrare, qualche frammento di una personalissima e indispensabile cognizione del dolore.
Gianni Canova, Segnocinema, gennaio/febbraio 1995 |
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