Ecco l'Impero dei sensi - Ai no Korida
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Regia: | Adlon Percy, Oshima Nagisa |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Nagisa Ôshima, da un fatto di cronaca del 1936; fotografia: Hideo Ito; musiche: Minoru Miki - Canti tradizionali giapponesi; montaggio: Keiichi Uraoka, Patrick Sauvion; scenografia: Shigemasa Toda; costumi: Masahiro Katô, Shigemasa Toda; effetti: Isao Nishimura, Terumi Hosoishi; interpreti: Tatsuya Fuji (Kichizo Ishida), Eiko Matsuda (Abe Sada), Aoi Nakajima (Toku), Yasuko Matsui (padrone della locanda), Meika Seri (Matsuko, cameriera Yoshidaya), Kanae Kobayashi (Kikuryû, vecchia geisha), Taiji Tonoyama (vecchio mendicante), Kyôji Kokonoe (Ômiya, l'insegnante), Naomi Shiraishi (Geisha Yaeji), Kikuhei Matsunoya (Hôkan, il burlone), Akiko Koyama (Geisha Mansaki), Yuriko Azuma (Geisha Mitsuwa), Rei Minami (Geisha), Machiko Aoki (la cameriera) Mariko Abe ( Kinu, cameriera allo Yoshidaya Kyôko); produzione: Anatole Dauman per Argos Films (Paris)-Oshima Productions-Shibata Organisation Inc. (Tokyo); distribuzione: Cineteca Lucana; origine: Giappone-Francia, 1976; durata: 120'. VM 18 |
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Trama: | Abe Sada, una ragazza orfana con alle spalle un passato di prostituzione, viene assunta come servetta tuttofare in un alberghetto di cui sono gestori Kichi-San e sua moglie. In breve tempo Kichi-San diviene suo amante, capovolgendo così il loro rapporto sociale. I due finiscono per nascondersi in una casa di tolleranza e Sada, per ricavare il denaro per tirare avanti, inizia a prostituirsi con un magistrato. La volontà di esplorare piaceri sempre nuovi spinge i due amanti a esperimenti sempre più arditi, fino a scoprire il sadomasochismo. Sada chiede sempre di più e Kichi la asseconda, ma spesso i 'giochi' sono pericolosi. |
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Critica (1): | È difficile isolare una sequenza di L'impero dei sensi. In quel memorabile film di Oshima la compressione del tempo nell'eros è tale che le immagini e le scene tendono a sovrapporsi in un tutto inseparabile (una copulazione continua delle immagini, come quella degli amanti). Ma c'è un momento del film che si stacca per pochi minuti dal flusso della carne – ed è il momento in cui il cuore dello spettatore può sciogliersi davvero come davanti all'illuminazione di un haiku. E non è, paradossalmente, una delle tante e memorabili scene di sesso. Sada e Kichi hanno fatto di nuovo l'amore e si aggirano di notte sotto la pioggia. Nella colonna sonora uno strumento orientale scaglia note lancinanti. Incontrano una passante, fanno finta di aggredirla, ma la prendono solo in giro rubandole l'ombrello e ruotandoglielo intorno. Lei, essere normale e non benedetta/maledetta dalla passione, scappa. Così i due amanti restano lì sospesi nell'unico momento di innocenza di tutto il film, dove il sesso e la morte – finalmente – non possono raggiungerli. L'unica occasione, forse, in cui sono davvero insieme, in cui i loro corpi hanno trasfigurato la carne. Dove i personaggi capiscono che hanno superato il punto di non ritorno. Ho come l'impressione che quella sequenza, trascurabile dal punto di vista narrativo, sia il segreto che Oshima ha posto al centro del suo santuario/film. Il tabernacolo dove rivela, a chi ha voglia di seguirlo, la vera natura dell'amore.
Davide Ferrario, Cineforum n. 346, 7/8-1995 |
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Critica (2): | Come "Abesada, l'abisso dei sensi" (1974), s'ispira a un fatto di cronaca, accaduto a Tokyo nel 1936. La sfrenata passione che lega lo sposato Kichi e la cameriera Abe Sada li porta a un rapporto sessuale sempre più spinto che si conclude con la morte dell'uomo. La donna completa il suo possesso recidendogli gli organi genitali. Pur profondamente giapponese, il film è impregnato delle idee del francese Georges Bataille (1897-1962): la passione fisica, il piacere sessuale, il gusto della trasgressione e la morte vi sono indissolubilmente legati. Come altri film di Oshima, è la messinscena di un rito. Il rigore ascetico, quasi documentaristico, nella rappresentazione dei ripetuti congressi carnali s'accompagna alla strenua eleganza figurativa degli interni, modellati sulle stampe dei pittori erotici del Settecento giapponese. (...)
Il Morandini-Dizionario dei film, a cura di laura, Luisa e Morando Morandini, Zanichelli. |
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Critica (3): | Un padrone di nome Kichizo, padrone di un bordello e marito della padrona di un bordello, sottrae una prostituta alle regole di scambio cui è legata: Sada ama Kichizo e Kichizo ama Sada: sottraendosi i due all'economia che regola la casa chiusa, alla legge del denaro, del macrò e del controllo dell'offerta, si sottraggono progressivamente alla ragione, prerogativa questa dei sovrani e dei criminali batailliani.
Negando, trasgredendo e, in definitiva isolandosi, la coppia si appella a un'esigenza di sovranità, viene investita di un potere che si appresta ad esercitare.
Ma traspare ancora negli amplessi estenuanti il fantasma dei rapporto padrone-marito e serva-prostituta? O piuttosto l'amplesso che ribalta di continuo le posizioni, il sotto-sopra, gli orgasmi alternati, gli aliti, il seme, il dolore confondono, come per definizione sembra richiedere ogni orgia, gli ordini?
Oshima indubbiamente dell'orgia rifiuta il disordine, la fusione di gesti e sentimenti, la convulsione che intreccia le membra; e la sua non è neppure una scelta K estetizzante », amore di pose composte, fulgore di gesti che si ripetono nello spettacolo cerimoniale: il suo è innanzitutto un progetto di messa a fuoco, di inquadratura e di misurazione adagiato sul palco e sulla messa in scena di un lungo, interminabile amplesso che a quel progetto sembra resistere; emergono così in superficie, come sullo schermo retinato di un architetto (pensiamo alle vetrate di sfondo o di primo piano) i rapporti del rapporto, le relazioni messe in gioco dal grande amplesso.
Ripensiamo un attimo alle prime foto porno che, dalla fine dell'800, cominciano a circolare come carte segrete: ad es. l'uomo, preferibilmente vestito di tutto punto, una mano poggiata sul fianco, con fare distratto e blasé, lascia che la prostituta nuda, possibilmente in ginocchio e preferibilmente in una posizione atta a mostrare l'occhio e la vagina all'obiettivo si impegni attentamente a una fellatio; oppure l'uomo sdraiato, le mani intrecciate dietro la nuca, lo sguardo distaccato, in un punto imprecisato del soffitto... ecc. ecc.
Il padrone cittadino ha imparato cioè l'uso del profilo, il non-coinvolgimento, la nonchalance, mentre il partner femminile si piega all'ordine di regìa, alla costrizione a mostrare, all'occhio in macchina (come costanti della fotocinematografia del porno primitivo).
Ebbene, ne L'impero dei sensi Sada sembra guadagnare, insieme all'isolamento sovrano, il rifiuto della scrittura della prostituta, della scrittura del fate-uso-di-me. Sada non è l'oggetto che deve costantemente piegare il suo gesto al desiderio dell'occhio della camera, rifiuta pure l'amputazione del viso (e della riconoscibilità civile) che potrebbe imporle l'inquadratura; con le sue impennate sembra anche pronta a deludere da un momento all'altro il sistema di attese intorno a cui L'impero dei sensi si costituisce; cerca la ripetizione e il ritorno dell'amplesso (se ogni amplesso è ricalco di gesti già compiuti) fuori dai codici del mimo rituale attraverso i quali nel teatro giapponese si è costituita la geisha; e senza recitare il coinvolgimento inebriante (standard del soft-core)
che può saldare il suo corpo d'attore a quello del suo personaggio, ma pure senza scollarne la sutura con quella resistenza segreta per cui sul corpo dell'attore si disegna la violenza dell'ordine di regìa (hard-core), la riluttanza mossa dalla coazione a ripetere nel passaggio dal privato al pubblico.
Dal canto suo Kichizo mantiene sostanzialmente l'apatia distratta, dissociatrice e violenta del vecchio sovrano e del nuovo padrone, ma sovrapponendovi quel lungo sorriso, che non è più quello del potere, né dell'ironia del saggio: un sorriso statico, senza intenzione né crudeltà, che serra le palpebre oscurando e tagliando la pupilla dell'occhio, e sembra sospendere tempo e coscienza nello slittamento verso un godimento che, malgrado gli orgasmi, non arriva Contrazione di un muscolo quasi atonico, che sa di perdita e davanti al quale il piacere dell'ipotetico spettatore pronto a fruire sequenze cochon si disorganizza. E Kichizo, ancora, canta.
Insieme all'emergenza della donna, è la messa a nudo della femminilità del "padrone" – contraddizione ostinatamente esposta – che disorienta e non può guardarsi a lungo, ma che richiede proprio la complicità di un occhio-servo (e non di un occhio voyeur) pronto a sostenere la scena.
Così gli spettatori in scena, i musici e gli inservienti, richiesti d'assistere al prolungarsi degli amplessi, e che già sì schermano dietro un occhio assente, cominciano a staccar lo sguardo, a volgerlo altrove, si fanno sostituire, si allontanano, si lasciano violentare, infine spariscono (non a caso l'ultimo è una figura materna) lasciando che la coppia, sola con qualche specchio, infine si annienti, quando il pene di Kichizo sarà restituito a Sada.
Comincia a disegnarsi insomma una falla nel disegno della cerimonia con il progressivo slittamento fuori campo degli inservienti, mentre neanche l'occhio della m.d.p. si occupa di coprire il luogo vuoto della complicità, di cercare gli scorci del voyeur, piani ravvicinati e gli angoli della camera dell'hard-core. La m.d.p. di Oshima, sostanzialmente bassa e piazzata sull'asse che attraversa il corpo dei due amanti, su cui si misura solo qualche scolastico controcampo, dichiara in effetti la sua distanza dalla scena che lentamente sta finendo di svolgersi sul palco; quasi «accecata» mentre continua a girar sequenze, come se per essa la scena potrebbe pure essere un'altra. E non a caso, se sta solo consumando l'attesa dell'immagine finale della storia di Sada: l'immagine di una .regina sola, col suo scettro insanguinato, scrittrice criminale di segni di sangue sul corpo castrato.
Michele Mancini, Filmcritica n. 267, 9/1976 |
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Critica (4): | Con il proliferare dei locali dalla "luce rossa", sinonimi di proiezioni all'insegna del vietatissimo ai minori, anche L'impero dei sensi di Nagisa Oshima ha ottenuto il lasciapassare per entrare nelle menti del pubblico medio italiano. E neppure è casuale che dopo due anni di fermo in censura il film venga presentato oggi dalle locandine pubblicitarie come "capolavoro dell'erotismo contemporaneo", definizione a cui si accompagna in bella evidenza la frase "il pubblico italiano è diventato adulto". A parte la retoricità di simili fraseologie, già apparse sulle pagine dei quotidiani per indurre alla "tentazione" gli spettatori in occasione di altri "capolavori erotici", va aperta una parentesi sul grottesco contenuto in detti lanci pubblicitari : parlare di "contemporaneità" dell'erotismo significa poter suddividere temporalmente e storicamente la pulsione erotica, il che è assurdo; il fatto che il pubblico sia divenuto adulto rappresenta l'evidenza dell'azione censoria e dell'emissione dei giudizi di maturità su di uno spettatore medio ipotetico, se all'improvvisa maturazione corrisponde la sola possibilità di assistere a una serie di congiunzioni carnali, struttura e tematica dell'opera di Oshima. Opera che delude, per certi versi, lo spettatore che aveva conosciuto il regista giapponese autore di La cerimonia.
La vicenda di Abé-Sada, la giovane donna che uccide per troppa passione l'amante Kichi-San, già era stata materia di un altro film, quell'Abesada, l'abisso dei sensi del giapponese Tanaka apparso sugli schermi italiani la scorsa stagione e coinvolto in una accusa di plagio. Come ha affermato Oshima, a proposito del rapporto analizzato nel film, "è evidente l'assenza di ogni idea razionale; si tratta di una passione esclusivamente fisica, sensuale" (cfr. Cinema Nuovo n. 257, febb. '79). Ma questo porre in scena rapporti sessuali non mediati dalla ragione fa ripensare a quell'ipotetica età dell'oro sessuale che diviene il simbolo di una regressione a stadi infantili ove – data l'esistenza dell'onnipotenza del pensiero – tutto pare possibile e tutto deve essere soddisfatto. Oshima ha ben presente tale assunto di base in quanto nel film molteplici paiono i rimandi all'universo infantile (non casualmente contrappunto visivo alla passione erotica): i bimbi che in una delle prime sequenze fanno scherzi e motteggiano il vecchio mendicante, i due bambini – maschio e femmina – con cui Sada gioca tra un amplesso e l'altro; la bambina inseguita nel sogno finale della protagonista. Ebbene proprio in questa direzione si frantuma l'intenzione del regista nel voler inscenare la dimensione "unicamente sessuale" dell'erotismo: Sada è evidentemente razionale nel mutilare il corpo dell'amante dopo averlo ucciso, e ciò stigmatizza il possesso totale dell'uomo-maschio attraverso il taglio dei genitali, a conferma dell'impossibilità di vivere solo sensualmente il rapporto instaurato. Lette simbolicamente con l'aiuto di un manuale-prontuario di psicanalisi, le sequenze che strutturano il film si configurano quali richiami costanti all'eterno scontro delle pulsioni di vita e morte (Eros, Thanatos) ove la vittoria della pulsione distruttiva si innesta metaforicamente nel desiderio femminile corrispondente all'assenza del pene (da cui l'atto finale, castrante, di Sada). Trovano posto esibizionismo e voyeurismo nei momenti dell'amplesso di Kichico con l'anziana geisha sotto gli occhi attenti di Sada; come pure complessi edipici irrisolti per entrambi i protagonisti: la riflessione dell'uomo, dopo il tradimento voluto da Sada ("Ho avuto l'impressione di baciare il cadavere di mia madre"); l'incubo di Sada stessa impotente su di una tavola mentre si rivede bimba inseguita dal maschio; e, naturalmente, sadismo e masochismo di cui sono infarciti i giochi d'amore degli amanti. La stessa ambientazione – quasi completamente risolta in interni – rimanda prima che a una descrizione naturalistica del Giappone attraverso "l'esteriore", a quello stagnare delle pulsioni che trovano finalmente libero sfogo emergendo dal magma che costituisce l'inconscio. Il linguaggio espressivo di Oshima è tutto un ricorrere all'uso del primo e primissimo piano, mentre campi lunghi, piani americani e dettagli risolvono la necessità degli intervalli visivi, necessari alla ricezione e all'attenzione del pubblico. La scelta di una unica costante visiva determinata dalla sessualità deriva dalla posizione di Oshima, prima di tutto spettatore della vicenda che non narratore, per cui secondo la percezione dei protagonisti tutto l'esterno si annulla (il Giappone del '36 dove si svolgeva la sanguinosa avventura imperialista della guerra alle frontiere della Manciuria) e solo il corpo ha valore, spezzato così come gli amanti lo vivono, al fine di ricreare in scena la realtà vissuta della passione sensuale. Il tabù del sesso per Sada, Kichico e Oshima viene superato, la realizzazione dell'impero dei sensi, dell'Eden non più minacciato si riproduce al passo con i nostri tempi "cinematografici" all'insegna dell'hardcore. Simulazione o effettiva consumazione dell'atto sessuale dinanzi alla camera hanno significato solo superficiale: l'essenza sta nel gioco di Sada e Kichico, gioco – come si è prima asserito – infantile, composto di alti e bassi affettivi, ove la presenza e l'assenza, la gelosia, il timore di perdere l'oggetto d'amore si ripropongono come nel gioco del rocchetto, del "fort-da" freudiano. Il fattore positivo, nella lettura del film, si può isolare in tale regressione, come interpretazione dell'atto sessuale: Fromm ricorda, a tal proposito, che nell'atto sessuale, più che in qualsiasi altra sfera del comportamento, si rivela più chiaramente il carattere di una persona; precisamente perché è il comportamento meno "acquisito" e meno legato agli schemi in cui si esprimono l'amore, la tenerezza, il sadismo e il masochismo, l'avidità, il narcisismo, le ansietà, ogni tratto del carattere dell'individuo. Ma a parte queste interpretazioni che necessariamente abbisognano di una chiave di decodificazione psicologico-critica, ci si deve domandare quale sia la media degli spettatori che si recano ad assistere all'Impero dei sensi desiderosi di cimentarsi in un lavoro di interpretazione simbolica, un ulteriore gioco da sovrapporre a quello scenico di Oshima. Quanti, invece, si accostano all'opera memori di tutta l'educazione impartita dai pornofilm della "luce rossa". E va anche detto chiaramente che il discorso di Oshima non è privo di valori anche socio-politici, ma in una sfera ricettiva del tutto particolare: quella attinente al paese d'origine del regista, il Giappone e la sua tradizione orientale, ove – come ricorda Fosco Maraini – il nudo è ammesso nella vita ma non nell'arte, ove vigono criteri estetici completamente diversi dall'Occidente, ove la stessa morte colpisce senza terrorizzare (e l'atteggiamento di Sada va collegato a simili impostazioni di pensiero) e conviene ricordare quale esempio la settimana del' o-Bon, il festeggiamento rituale del trapasso, ove la geisha assume significati opposti a quelli normalmente attribuitile in tanta cinematografia orientaleggiante: quello stesso senso che proviene dalla lettura degli ideogrammi gei-sha, ossia persona di cultura. Importante è la posizione di Oshima nei confronti della vicenda rappresentata: giustificazione di un atto violento che si tramuta simbolicamente in violenza a un sistema di pensiero quale quello giapponese: il "seppuku", volgarmente occidentalizzato in "harakiri", il doppio suicidio viene rifiutato da Sada la quale continua a giacere sul "tatani", la stuoia giapponese, sola mentre la guerra non la sfiora neppure.
Cinema Nuovo, giugno 1979 |
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