Scandalo a Filadelfia - Philadelphia Story (The)
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Regia: | Cukor George |
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Cast e credits: |
Soggetto:Philip Barry; sceneggiatura:Donald Ogden Stewart; fotografia:Joseph Ruttenberg; musiche:Franz Waxman; montaggio:Frank Sullivan; scenografia:Wade B. Rubatton; interpreti:Cary Grant (C.W. Dexter Haven), James Stewart (Macauley Connor), Katharine Hepburn (Tracy Samantha Lord), Lita Chewret (la manicure), Ruth Hussey (Elizabeth Unbrie), Hilda Plowright (la libraia), Roland Young (Zio William), Lionel Pape (Edouard), Mary Nash (Margaret Lord), John Howard (George Hidderidge), Russ Clark (John), Genry Daniell (Sidney Kidd), Rex Evans (Thomas); produzione:Mgm Joseph L. Mankiewick; distribuzione:Lab80; origine:Usa, 1940; durata:112’. |
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Trama: | Tracy, ricchissima ereditiera di Filadelfia, si è divisa dal marito; le cattive abitudini di lui e il carattere altezzoso di lei hanno reso la convivenza impossibile. Dopo qualche tempo Tracy decide di sposare George, un giovane che viene dal popolo e che con il lavoro si è fatto una brillante posizione. E' un uomo semplice, schietto, ingenuo; mentre nella casa di Tracy ci sono tutte le raffinatezze ma anche tutte le miserie che affliggono l'alta società. Nell'imminenza delle nozze il direttore di un giornale scandalistico invia alla villa di Tracy un reporter incaricato di mandare al giornale delle cronache piccanti. Interviene l'ex marito che ama ancora Tracy e vorrebbe impedire le nuove nozze e manovrando tra le quinte favorisce le stravaganze della ragazza. La notte che precede le nozze essa s'ubriaca di champagne e viene riportata a casa in condizioni pietose dal giornalista. Questo scandalo rende impossibile il matrimonio con George ma la cerimonia ha luogo ugualmente perché l'ex marito prende il posto dello sposo numero due. |
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Critica (1): | (…) Questa sí, questa è una vera « commedia sofisticata ». Anzi, celebra e suggella, in senso proprio, la stagione che ha visto il trionfo del genere.
È Scandalo a Filadelfia che conclude la «Hollywood Decade», gli anni Trenta, anche se siamo già nella decade successiva. Gli elementi tipici del genere ci sono tutti : il comportamento eccentrico dei ricchi, il dialogo che rimbalza dall'uno all'altro personaggio, come in una partita di tennis, il via-vai delle relazioni sentimentali, il ritmo veloce, qualche puntata nello slapstick (le intemperanze «corporali», dopo quelle verbali, di Tracy nei confronti del marito ripudiato). E tutti sono come riassunti e riesposti, in una specie di affettuoso commiato. Non si tratta tanto della storia in sé, che è una variazione di canovacci tante volte visitati dal cinema americano, quanto dello stile, in apparenza non avvertibile ma ben presente con una eleganza ed una verve ineguagliabili (…) Cukor punta soprattutto sulla recitazione, va sempre addosso ai personaggi, nei loro complicati mutui rapporti, o ex-rapporti, o rapporti ipotizzati. Valorizza al massimo gli attori, li fa provare e riprovare accanitamente, studiando ogni battuta, ogni inflessione di voce, ogni atteggiamento all'interno di una inquadratura sempre popolata di personaggi, dove anche i colloqui a due o addirittura lo scandaglio di taciti pensieri sui primi piani, sottintendono la presenza degli altri elementi della sofisticata partita a scacchi che si svolge attorno alla capricciosa regina. (…)
Cukor non ha mai voluto fare un discorso sulle classi sociali, pur non risparmiando gli strali contro il mondo altolocato (si può arrivare a segno anche sorridendo) . Qui non conta la vittoria del ricco sul povero, né esiste una affermazione di conformismo o di ripiegamento amaro sulla dura realtà delle cose (come dire: solo nelle favole bontà e fantasia hanno la meglio sul denaro). Cukor si affida, qui come altrove, al suo scetticismo, alla sua disponibilità divertita e alla sua precisa volontà di divertire, sfaccettando – sui suggerimenti del copione, si capisce – i personaggi maschili, che non rappresentano una classe, ma sono elementi chimici della sublimazione di Tracy (per esempio il «ricco» Dexter è un simpaticone, abbastanza «picchiatello» da parte sua; queste doti non sono prerogativa esclusiva del personaggio «povero»). C'è addirittura, a parte le ragioni del cuore, un progressivo incontro fra l'ereditiera, che abbandona i pregiudizi contro la gente «inferiore», e il giornalista proletario, che attenua i suoi preconcetti contro il ceto di cui all'inizio è deciso a mettere in piazza le vergogne. Cukor evita contrapposizioni grossolane, o moralistiche, anche se il quadro che traccia della inaccessibile cittadella puritana della «Main Line», il clan delle grandi famiglie di Filadelfia, è tutto sommato assai critico. (…)
Ermanno Comuzio, George Cuckor, Il Castoro Cinema, 10/1977 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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