Enrico V - Henry V
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Regia: | Branagh Kenneth |
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Cast e credits: |
Adattamento: Kenneth Branagh da "Henry V" di William Shakespeare; fotografia: Kenneth McMillan; scenografia: Tim Harvey, John King; costumi: Phyllis Dalton; interpreti: Kenneth Branagh (Enrico V), Paul Scofield (Re di Francia), Brian Blessed (Exeter), Alec McCowen (Ely), Richard Bries (Bardolph), Charles Kay (Canterbury), Ian Holm (Fluellen), Geoffrey Hutchings (Nym), Judi Dench (Madama Quikly), Ronald Pickup (Pistol), Emma Thompson (Principessa), Christian Bale (Ragazzo), Geraldine McEwan. (Alice), Michael Williams (Williams), Derek Jakobi (Coro); produzione: Majestic Film International; distribuzione: Life International; origine: Gran Bretagna, 1989; durata: 138'. |
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Trama: | Salito sul trono d'Inghilterra nel 1413, abbandonata una giovinezza scapestrata, Enrico V si dimostra subito un re saggio, deciso e moralmente rigoroso. Nel 1415, seguendo anche il consiglio della Chiesa, dichiara guerra al re Carlo VI di Francia, per rivendicare i propri diritti ereditari su quel regno non riconosciuti dai francesi a causa della legge salica. |
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Critica (1): | Olivier fece nel '44 Enrico V, per superare al cinema il momento più cupo e disfattista della guerra, portando un esercito rozzo a sconfiggere in suolo francese un'armata attrezzata. Il film fu incoraggiato e promosso dal governo britannico, nonostante i costi, alti per il tempo di guerra (400.000 sterline, procurate da Rank e da Filippo Del Giudice che, con la sua Two Cities Films, aveva già prodotto In Which We Serve di Coward e Lean). Gli esterni furono girati nell'Eire, nella tenuta di Powerscourt, libera da pali telegrafici e altri segni di industrializzazione; il governo irlandese mise a disposizione 500 uomini della Guardia Civile e un veterinario del posto trovò 200 cavalli e cavalieri, che impersonarono la cavalleria francese. Il lavoro di Robert Krasker sul Technicolor fu laborioso, ma sortì risultati di brillante suggestione cromatica, come quello di Roger Furse sui costumi, ispirati, come le scenografie, a miniature e calendari dell'epoca. Le fonti di ispirazione per il climax del film, la battaglia di Agincourt, erano invece, esplicitamente, la «Battaglia di San Romano» di Paolo Uccello e la battaglia dell'Aleksandr Nevskij di Eisenstein. Quanto alle celeberrime frecce, non furono mai fotografate in volo, ma disegnate e rielaborate otticamente da Day Pop, uno dei geni degli effetti speciali della scuderia di Korda.
Ma il lavoro più ostico (e pericoloso) era quello della sceneggiatura, adattata dallo stesso Olivier insieme al critico Alan Dent, riducendo a 1500 le 3000 righe del testo originale, fino a ottenere un film che, senza tradire «hollywoodianarnente» Shakespeare, ne rispettasse anche la popolarità originaria. (...) Il risultato di "miniatura vivente" è ancora oggi quasi unico, e il film si colloca (senza avere nulla del teatro fotografato) su una sottile linea di confine tra cinema e teatro: certo, non ha l'istintivo movimento cinematografico delle riduzioni shakespeariane dì Orson Welles, ma un'abilità profonda a seguire il flusso e le rotture narrative di Shakespeare in quel tanto che esse già contengono di profondamente cinematografico.
(...) 45 anni dopo, questo attore tozzo di origine irlandese, giovanissimo (è nato nel 1960), semisconosciuto in Italia, decide che è arrivato il momento di debuttare nella regia cinernatografica e a questo scopo sceglie di adattare, dirigere e interpretare proprio l'Enrico V. La sfida al mito è aperta e svaniscono gli ultimi dubbi sul fatto che Branagh si proponga come il nuovo Olivier. In realtà, Kenneth Branagh in patria è molto famoso, uno dei più intraprendenti, decisi e interessati giovani interpreti teatrali dell'ultimo decennio, determinato a rinverdire la figura dell'attore‑manager, con completa responsabilità finanziaria e artistica della propria compagnia. (...)
«Ci sono due scuole di pensiero su come vincere la battaglia di Agincourt», dice Anthony Lane su "The Independent". «Se siete Laurence Olivier, attendete un bel tempo primaverile. I vostri compagni saranno vigorosi, le vostre armature immacolate, i vostri massacri un lavoretto pulito. Se siete Kenneth Branagh, invece, entrate nella mischia con uno spirito di cupa rassegnazione. La battaglia è amara e appesantita dì elementi con i quali bisogna fare i conti: alberi spogli e sgocciolanti, il fango fino agli stinchi, cieli bianchi. È così che gli inglesi giocano il loro football; per cui sembra anche lo stile più naturale per intraprendere le loro guerre». Le analogie calcistiche (le due che ho citato non solo le sole) sembrano irrefrenabili davanti al film di Branagh, probabilmente proprio a causa della sua struttura fisica e di tutto quel fango e di quelle rovinose cadute che costellano le azioni all'aperto del film. Enrico V quarantacinque anni dopo è un gioco di massacro e fatica. Il re non ha perduto l'ostinata volontà di vittoria e la capacità di trascinarsi dietro i propri uomini, ma ha riacquistato i tratti di ferocia (o di ragion di stato) che erano stati elisi nella versione del 1944. Qui, l'ammazzare non è una faccenda di pura cavalleria, e le necessità del ruolo regale possono condurre anche a far giustiziare i vecchi compagni di baldoria (l'impiccagione di Bardolfo). I colori tendono tutti al bruno, allo sporco, e i costumi alla rozzezza popolana più che agli splendori cromatici delle stampe dell'epoca. In battaglia, non si muore più in campo lungo, ma in primissimo piano e male, in una carneficina violenta dove si perdono di vista gli eroi principali. Il Coro è Derek Jacobi, che apre il film in abiti moderni in uno studio televisivo e poi si aggira in spolverino, sciarpa e maglione sui luoghi dell'azione. Alla fine il film, che dura 137 minuti (ed è, curiosamente, la durata esatta dell'altro Enrico V), risulta godibile, non noioso né pretenzioso, un vero spettacolone popolare da Shakespeare, saldamente ancorato alla sua tradizione e alla sua lingua e, contemporaneamente, capace di agganciare l'attenzione del pubblico con spirito e sussulti moderni. (...)
Emanuela Martini, Cineforum n. 296, 7/8/1990 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Kenneth Branagh |
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