Che ora è
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Regia: | Scola Ettore |
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Cast e credits: |
Soggetto: Ettore Scola; sceneggiatura: Ettore Scola, Beatrice Ravaglioli, Silvia Scola (collab.); fotografia: Luciano Tovoli; musica: Armando Trovaioli; montaggio: Raimondo Crociani; scenografia: Luciano Ricceri; costumi: Gabriella Pescucci; interpreti: Marcello Mastroianni (Marcello, il padre), Massimo Troisi (Michele, il figlio), Anno Parillaud (Loredana), Renato Moretti (sor Pietro), Lou Castel (il pescatore muso); produzione: Mario e Vittorio Cocchi Gori, per C. G. Group Tiger Cin./ StudioEL/Gaumont; distribuzione: Warner Bros; origine: Italia-Francia,1989; durata: 102'. |
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Trama: | Un facoltoso avvocato romano sèssantènnè passa una giornata a Civitavècchia in compagnia dèl figlio Michèlè chè sta tèrminando il sèrvizio militarè. Il loro è un rapporto difficilè, non si conoscono è faticano a dialogarè |
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Critica (1): | [...] Se fosse necessario definire con un nome l'autore quale genere cinematografico, Scola sarebbe - assieme a Leone, Avanti, Bertolucci, ed altri - un ottimo esempio. Il suo è un cinema professionale, ben fatto, simile a quel cinema "medio" americano molto amato dal pubblico. Scola mette d'accordo quest'ultimo con la critica grazie soprattutto a quell'autorialità che, abbandonati gli abiti stravaganti del genio, gli permette di girare storie "piacevoli". Nessuna rivoluzione, neanche una piccola innovazione, nessun elemento "controcorrente". Non si indaga sul cinema, e nemmeno sui sentimenti si hanno cose nuove da dire, tantomeno sui rapporti. Quel che viene narrato é un deja vu che ci tranquillizza. Così come spesso succede nel cinema americano (ripeto: quello "medio", cioé professionale e ben fatto), gli ambienti (una Civitavecchia grigia e solitaria), i personaggi (il padre é un ricco avvocato, il figlio si é da poco laureato in lettere), la situazione (una giornata trascorsa assieme) sono talmente carichi di eventi potenzialmente esplosivi, che l'ovvio e la prevedibilità continuano, durante tutto il racconto, a mimarne la fruizione. Anche lo scavare nei sentimenti reciproci, il piacere ed il dolore della scoperta (il padre, nel corso della giornata, conoscerà in parte il figlio, in parte se stesso) sono eventi "narrativi" non nuovi. Anni di cultura "autoriale" ci hanno insegnato a rispettare il personaggio, a riconoscerne lo spessore che, questa volta, in Che ora è, viene esibito quasi a ricordarci che, sì, queste immagini rimandano a veri e propri corpi che, da qualche parte, esistono, vivono, agiscono.
Naturalmente non è facile convincerci, anche se Marcello Mastroianni veste bene i panni del padre, ricco avvocato romano, un po' rincoglionito, che vuole per il figlio una tranquilla e preordinata vita borghese. Troisi era stato utilizzato in modo più originale nel precedente film di Scola, in Splendor. Qui sembra ripetere un ruolo - quello del giovane napoletano interpretato in Ricomincio da tre - che ha ornai superato. Ciò nonostante, non dispiace nelle vesti del figlio - Candido, sostenuto nella vita da una filosofia spicciola che verte sull'importanza delle cose semplici, attraverso la quale il padre non può apparirgli che come un cieco legato indissolubilmente alle proprie necessità. Naturalmente, tra le due culture (anche generazionali) non può che esserci scontro, crisi, con il recupero - sul (male - di un mondo perduto (da parte del padre). Vince la semplicità, anche quella del testo. Civitavecchia diviene una città metaforica, "inesistente", "felice". Gli altri (pochi) personaggi che compaiono sembrano essere usciti da un libro di fiabe: é con loro che Michele, il figlio, si trova a suo agio - quella é la sua dimensione.
Siamo spinti a richiederci quale sia la realtà: se quella vissuta ogni giorno, fra le strade e gli uffici della metropoli, dal padre, o quella ovattata, popolata da fate maghi e folletti, vissuta dal figlio. Niente paura. Non siamo ad un bivio: alla fine del film sapremo dare una risposta - i due personaggi si ritrovano attorno ad un oggetto, il vecchio orologio "del nonno": questo basta affinché la ricomposizione avvenga.
Per un attimo, qualcuno potrebbe essere colto da un sospetto, potrebbe essere tentato d'indagare in modo più approfondito sulle conseguenze che può vivere il padre quando decide di conoscere ciò che del figlio non sa. Condotto da una sorta di empatia, lo spettatore rischierebbe di giungere su strade che conducono a baratri che solitamente rifuggiamo; ci terrorizza scoprire l'insolito in ciò che crediamo "intimamente nostro", in ciò che dovrebbe esserci indifferente perché noto, conosciuto, quotidiano. In tal modo emergono altre valenze, non più riconducibili solo a questo film, tipiche del cinema "medio" (che proprio per tali potenzialità rimane sublime): al di là delle reali intenzionalità degli autori,
emergono i mostri che le significazioni del testo - anche involontariamente - rischiano sempre di scatenare. Dando" voce" a ciò che il pubblico dà per scontato, che sente profondamente, si finisce per dar "voce" anche a ciò che é meno visibile, più nascosto: sono le paure, le tensioni, i mutamenti profondi, radicali e diffusi non solo nel nostro immaginario: é la realtà stessa che ci si fa incontro.
Queste cose, noi spettatori, le sappiamo ma, per fortuna, facciamo finta di niente e, di questo territorio, all'uscita dal cinema, dimentichiamo tutto, o quasi.
Demetrio Salvi, Cineforum n. 290, dicembre 1989 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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