Amants reguliers (Les) - Amants reguliers (Les)
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Regia: | Garrel Philippe |
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Cast e credits: |
Soggetto: Philippe Garrel; sceneggiatura: Philippe Garrel, Arlette Langmann, Marc Cholodenko; fotografia: William Lubtchansky; musiche: Jean-Claude Vannier; montaggio: Françoise Collin; scenografia: Mathieu Menut; costumi: Cecile Berge, Justine Pearce; effetti: Jacky Dufour, Grégoire Delage, Charles-Axel Vollard; interpreti: Louis Garrel (François), Clotilde Hesme (Lilie), Julien Lucas (Antoine), Mathieu Genet (Nicolas), Francois Toumarkine, Aurelia Alcais, Pierre Belot, Georges Benoit, Pauline Bureau, Nicolas Bridet, Emmanuel Broche, Marc Barbé, Violeta Ferrer, Mai David, Vladislav Galard, Lena Breban, Xavier Boiffier; produzione: Maia Films-Arte France; distribuzione: Istituto Luce; origine: Francia-Italia, 2004; durata: 178'. |
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Trama: | Parigi, 1969. Dopo aver partecipato alle sommosse studentesche dell'anno precedente, un gruppo di amici inizia a fare uso di oppio. Su questo sfondo, un ragazzo e una ragazza, membri del gruppo, si innamorano l'uno dell'altra... |
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Critica (1): | (...) Il rivelatore di un mistero ancora non chiarito, il '68, con la morte di Pinelli, la bomba alla banca dell'agricoltura di Milano, l'arretramento fatale dei partiti revisionisti e dei sindacati "dei padroni", la pulsione di morte che si impadronì a un tratto di una parte del Movimento...Cos'è che rivela i retroscena, la "cicatrice interiore", la bellezza nascosta di un momento storico esplosivo? Come fosse un film del '68 e non sul '68, incapace di staccarsi dall'epoca che lo inchioda ancora alla sua love story con Nico (la sirena dell'insurrezione), il regista francese Philippe Garrel, figlio e padre di attori, torna al bianco e nero delle sue origini cinematografiche (con narcisi primi piani, contrasti totali nero/bianco, e divani e porte bianche perennemente aperte...alla Warhol) e della tv dell'epoca con Gli amanti regolari, in gara. Storia, probabilmente, di un amore nato sulle barricate del quartiere latino e sbocciato appena si disperde l'odore delle molotov, tra due ventenni fou, una futura scultrice (Clotilde Hesme) e un poeta (suo figlio Louis Garrel) che detesta pubblicarsi e difendersi dagli sbirri uccidendoli, scritto assieme a Marc Cholodenko e Arlette Langmann e interpretato da un gruppuscolo di attori di una di quelle tante "comuni mobili" (in genere era la casa del più ricco tra gli amici), in azione a tutto campo: pubblico privato politico istituzionale militare cosmetico familiare professionale notturno ("la mattina è italiana, la notte è tedesca") tossico (dall'hascisc all'oppio) musicale artistico sessuale (poco) e omosessuale alimentare militare (ma una p38 che spunta sul pavè è solo "back to the future").
Tranne il poliziotto infiltrato nel gruppo di amici, c'è davvero ogni microsfumatura gestuale di quegli anni, Garrel è registratore fedele: la fuga dopo la sconfitta, la deriva come strategia, le delizie dell'opportunismo, il "vieni dolce morte visto che non viene mai la dolce rivoluzione". Si parte dal momento in cui finisce il film di Bertolucci The Dreamers (che, ci suggerisce Garrel riconoscente è sempre una elaborazione sul "prima della rivoluzione") e poco prima che inizi La cinese di Godard e lo scontro teorico defatigante, violento e astemio tra maoisti, operaisti, anarchici e trotzkisti ("il sonno dei giusti" viventi). Vent'anni non è l'età più bella della vita, finalmente Garrel ci spiega Nizan, perché si devono decidere situazioni definitive e spesso irreversibili o non ci sarà mai più proroga. Figuriamoci quando tra le scelte da fissare non si trattava solo del colore della giacca di velluto ("nero, per osservare, e colori da pappagallo pazzo per farsi guardare") o del servizio militare da evitare, ma dei destini del mondo, di come dare il "potere ai proletari contro il loro stesso desiderio". Il '68, movimento transculturale e transgenerazionale polimorfo, vortice principale di un uragano allegro e collettivo che sconvolse le classi sociali di mezzo mondo, irreversibile terremoto d'immaginario per uomini e donne d'ogni etnia, che non si sa ancora se sia stato l'ultimo bagliore di un crepuscolo (l'eurocomunismo, il panafricanismo, il panarabismo e le loro utopie) o la distribuzione di carte per la prima partita di un nuovo grande gioco, è una brutta bestia da decifrare, spiegare, iniettare e trasmettere. Il maggio parigino del '68, poi, con i suoi anti slogan dissacranti sui muri, la vita e la liberazione del tempo e non la schiavitù del salario messa al posto di comando, con la prova del nove, visualizzata, delle efferatezze demoniache di com'è una polizia davvero democratica, e della possibilità di metterne in fuga e in panico anche i suoi mandanti, produce ancora incanti metropolitani e suggestioni pericolose, da seppellire sotto anestetici e soporiferi e bugie. E poi bisognerà vendicare pure quei ragazzi e quelle ragazze teenager - direbbe la coreana Lady Vengeance - che furono gettati nella Senna dai Crs=Ss, imitando i metodi spicci utilizzati nel 1871 contro la Comune... I testi, anche filmici, che racchiudono meglio la scultura interiore dell'epoca, sono stati messi nel frattempo tra parentesi, mandati in esilio o schiaffati in galera o su Fuori orario, proprio come molti dei suoi militanti e leader (una parola ridicolizzata poi per fortuna dal '77 e oggi postmodernamente usata). Per i ragazzi di oggi le contro-opere di Alberto Grifi, Emile De Antonio o Dusan Makavejev sono irraggiungibili, perfino su ebay. Il documentario su come i bianchi razzisti americani si sbarazzavano dei neri fastidiosi, in mancanza di Katrina, L'assassinio di Fred Hampton, conta meno di un frammento di Beat Takeshi. Un po' di verità si coglie ancora, dietro le sbarre, negli occhi di Adriano Sofri, che esprimono altro da quello che scandisce la sua bocca, ma non come Bush jr. che sghignazza perennemente sotto i baffi a ogni cosa che gli fanno dire. Da qualche anno però la curiosità su quel che accadde in quel frangente di occidente (medio e estremo oriente) è stata imposta da qualche eccentricità di mercato e festivaliera, come il film terrorista e pacifista (non è affatto una contraddizione la lotta armata senza spargimento di sangue) The Dreamers di Bernardo Bertolucci che il '68 lo visse, generazionalmente, un po' di sbieco (era pci). Garrel è un testimone/protagonista ancor più autorizzato. Troppo, non avrà premi, per questo.
Roberto Silvestri, il manifesto, 4/12/2005 |
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