Divano a Tunisi (Un) - Divan à Tunis (Un)
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Regia: | Labidi Labbé Manele |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Manele Labidi Labbé; fotografia: Lauren Brunet; musiche: Flemming Nordkrog; montaggio: Yorgos Lamprinos; scenografia: Mila Preli, Raouf Helioui; costumi: Hyat Luszpinski; suono: Olivier Dandré, Jérôme Gonthier, Rym Debbrarh-Mounir, Samuel Aichoun; interpreti: Golshifteh Farahani (Selma), Majd Mastoura (Naim), Aicha Ben Miled (Olfa), Feriel Chamari (Baya), Hichem Yacoubi (Raouf), Najoua Zouhair (Nour), Jamel Sassi (Fares), Ramla Ayari (Amel); produzione: Kazak Productions, Arte France Cinéma con Diaphana, Mk2 Films; distribuzione: Bim; origine: Francia, 2019; durata: 88’. |
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Trama: | A 35 anni Selma Derwish scopre la nostalgia di casa. Cresciuta in Francia, laureata in psicoanalisi, la donna arriva a Tunisi con la fiera determinazione di aprire il suo studio in città, sul tetto della casa di famiglia, in un quartiere periferico. Sull'onda delle primavere arabe si illude di aver a che fare con un contesto moderno e occidentalizzato. Scoprirà ben presto di vivere in un paese schizofrenico, ammalato di pregiudizi, di burocrazia, capace di confondere Freud con la Fratellanza Musulmana. |
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Critica (1): | (…) "L'idea per questo film mi è venuta il giorno in cui ho detto a mia madre che ero in analisi. Ho avuto paura che morisse. Come hai osato? Dopo tutti i sacrifici che ho fatto per te? Come giustifichi di aver scelto di partecipare attivamente alla demolizione della tua cultura, della tua famiglia? Di uccidere tuo padre? Tua madre? Edipo? Ma come, vuoi liberarti del peso di tutta la tua vita raccontandola ad un estraneo? Come caspita potrebbe esserti di qualche aiuto? Quanto costa? In contanti? Preoccupazioni di ordine economico, sentimenti di tradimento, paura, stupore, delusione… Per una donna tunisina, musulmana e tradizionalista come mia madre, era decisamente troppo. Quel giorno ha fatto nascere in me il desiderio di osservare più da vicino la Tunisia, dove vive ancora gran parte della mia famiglia, e di ambientare lì il mio film. La pratica psicoanalitica resta tuttora marginale nel paese, malgrado i tentativi di introdurla risalgano agli anni 1950. Selma decide di esercitare a Tunisi in modo da poter ascoltare gli abitanti della capitale incoraggiandoli a esprimersi liberamente in un periodo in cui l'intero paese sta scoprendo e sperimentando per la prima volta la libertà di pensiero e di parola. Le motivazioni iniziali di Selma sono semplici e razionali: vuole portare la sua professionalità in un paese che ha appena vissuto una rivoluzione e sta iniziando ad aprirsi ma soffre di una carenza di psicoanalisti e psicoterapeuti per le classi operaie".
"Ma Selma - ha proseguito la regista - è tornata nel suo paese anche per fare i conti con il suo passato. Ristabilire il legame con la storia della sua famiglia, per arrivare a confrontarsi con essa, le sarà di aiuto per portare a termine il suo personale percorso terapeutico. Il ritorno alle origini inizia lentamente a scalfire la sua maschera. Scegliendo di esercitare la sua professione nella sua madrepatria, Selma cerca di rimediare alla sofferenza patita in silenzio da sua madre, sofferenza che l'ha portata a togliersi la vita. Ed è un aspetto di cui assumerà consapevolezza quando le sue aspirazioni saranno messe alla prova. Ho circondato Selma di una galleria di personaggi che ho creato con lo scopo di cogliere l'energia pressoché incessante della loro vita quotidiana a casa, in automobile o a tavola in cucina. Un'energia che è stata amplificata dalla rivoluzione che ha scagliato le persone in un territorio incerto e pericoloso con l'ascesa del terrorismo islamico. Ciascuna delle persone con cui Selma entra in contatto ha una sua sofferenza, visibile o nascosta dietro una facciata. Sono personaggi liberamente ispirati alla mia famiglia tunisina borghese che vive nei sobborghi meridionali di Tunisi. Per me Selma è un mezzo per esplorare il rapporto ambiguo che ho con questo paese che penso di conoscere, di cui parlo la lingua e di cui conosco bene le consuetudini, ma con cui spesso non mi sento in sintonia. Rompendo con la tradizione, le mie scelte personali e professionali hanno confermato alla mia famiglia tunisina l'impressione che ha sempre avuto di me: quella di una donna strana e atipica, pazza agli occhi di alcuni, stravagante e scandalosa agli occhi di altri. È questo il motivo per cui racconto questa storia da un punto di vista personale, attraverso la lente di una doppia cultura, francese e tunisina".
(...)"Il mio desiderio era filmare la Tunisia e in particolare la classe media, la fascia di popolazione più lacerata tra modernità e tradizione. La principale preoccupazione delle classi meno abbienti è la sopravvivenza economica e le classi più benestanti sono per lo più occidentalizzate. Il conflitto si concentra sulla borghesia che ha sulle spalle il peso dell'economia nazionale ed è spesso piena di ipocrisie quando si tratta di sessualità e religione. Il tema della religione è trattato in modo implicito. È un elemento importante nella vita dei miei personaggi, ma non è il centro della storia. Era importante per me ambientare il racconto alcuni mesi dopo la caduta di Ben Ali. Quel periodo che è succeduto alla rivoluzione mi ha fatto pensare alla fase iniziale del percorso analitico: ti senti perso, pensi di dover ricostruire, metti in discussione ogni cosa e poi, piano piano, ogni tassello ritrova il suo posto. I dialoghi sono prevalentemente in francese, la lingua che usano i tunisini quando vogliono parlare liberamente di temi delicati, in particolare durante le sedute analitiche. In Tunisia, l'arabo e il francese si fondono allegramente al punto di diventare un dialetto a se stante. Avevo voglia di giocare con la musicalità unica di questa lingua, passando dall'arabo al francese e viceversa all'interno di una stessa conversazione, come aveva fatto Ronit Elkabetz nel suo film Viviane, in cui si mescolano ebraico, francese e arabo. (…) Ho scelto di trattare l'argomento in chiave di commedia. Le situazioni e i contesti sono spesso tragici, ma l'ilarità e il paradosso non sono mai molto lontani. (...) Le commedie italiane degli anni Sessanta e Settanta sono state un riferimento importante per me in quanto trattano tematiche sociali e politiche in chiave umoristica e satirica. Quelle commedie (I soliti ignoti, I mostri, Matrimonio all'italiana, Boccaccio '70, Brutti, sporchi e cattivi) per quanto possano essere sfacciate, volgari ed eccessive, sono sempre venate di poesia e di umanità. (…)
filmtv.it |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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