Taxi Teheran - Taxi
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Regia: | Panahi Jafar |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Jafar Panahi; interprete: Jafar Panahi; produzione: Jafar Panahi Film Production; distribuzione: Cinema; origine: Iran, 2015; durata: 82’. |
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Trama: | Un taxi si aggira per le vivaci e colorate strade di Teheran. Diversi passeggeri si alternano a bordo dell'auto e ognuno di loro, intervistato dall'autista che è il regista stesso, esprime candidamente il proprio punto di vista e racconta di sé. La fotocamera fissata sul cruscotto cattura così lo spirito della società iraniana raccontandolo in un viaggio divertente quanto drammatico. |
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Critica (1): | Con una laurea conseguita presso l’Università del cinema e della televisione di Teheran, Jafar Panahi, uno tra i registi iraniani più famosi e apprezzati oltre i confini del suo Paese, ha avuto modo di affiancare il grande Abbas Kiarostami come suo assistente sul set di Sotto gli ulivi nel 1994 per poi esordire come regista de Il palloncino bianco, suo primo lungometraggio uscito l’anno successivo e sceneggiato da Kiarostami stesso. Un’opera che convinse la critica di tutto il mondo, tra cui quella del Festival di Cannes che gli assegnò la Caméra d’or. Una carriera costellata di premi, tra cui un Leone d’oro a Venezia e il Pardo d’oro a Locarno, e allo stesso tempo travagliata per via di un regime, quello iraniano, che lo ha sempre riconosciuto come una minaccia, arrestandolo nel 2010 per aver partecipato ai movimenti di protesta contro l’elezione di Ahmadinejād. Rilasciato su cauzione grazie alla mobilitazione delle organizzazioni a difesa dei diritti umani e di tutto il mondo del cinema a livello internazionale, Panahi si è visto comunque precludere la possibilità di dirigere, scrivere e produrre film, oltre che di viaggiare e rilasciare interviste sia in patria che all’estero per 20 anni.
Un divieto che non gli ha però impedito di realizzare il suo ultimo film, Taxi Teheran, premiato con l’Orso d’oro allo scorso Festival di Berlino, girato in assoluta clandestinità e in uscita in Italia il 27 agosto, grazie alla Cinema, la nuova distribuzione di Valerio De Paolis. Un lungometraggio autoprodotto, girato dallo stesso Panahi, che, montando la telecamera sul cruscotto del suo taxi giallo, ha percorso le animate strade di Teheran, accompagnato dai molteplici passeggeri che susseguendosi e confidandosi con il regista, delineano il ritratto della società iraniana di oggi. Ognuno di loro è un attore, che come Panahi stesso ha rischiato nel prendere parte al film che purtroppo, proprio per questo motivo, è privo di credits. Persone con alle spalle storie tra le più disparate che, tra risate e umorismo, fanno emergere i tratti di un Paese tanto affascinante quanto controverso. “Sono un cineasta, il cinema è il mio modo di esprimermi ed è ciò che dà un senso alla mia vita. Niente può impedirmi di fare film e quando mi ritrovo con le spalle al muro, l’esigenza di creare si manifesta in modo ancora più pressante, devo quindi continuare a filmare, a prescindere dalla circostanze: per rispettare quello in cui credo e per sentirmi vivo”, ha dichiarato Panahi, che per assecondare l’idea di girare un film completamente in esterni, pur dovendo sottostare alle costrizioni imposte dal governo, ha utilizzato delle Black Magic, videocamere ad alta definizione e di ridotte dimensioni che ha potuto nascondere all’interno di diverse scatole di fazzoletti, per non attirare l’attenzione.
Un espediente che gli ha permesso di preservare la dimensione documentaristica dell’azione che si svolgeva al di fuori della vettura, senza mai rivelare le riprese in atto. Viste le ridotte dimensioni del taxi e l’installazione di tre telecamere, il regista ha dovuto dirigere da solo dall’inquadratura al suono, passando per le luci, rese possibili grazie a un grande tetto apribile, fino alla guida stessa del veicolo, oltre alla recitazione degli attori, tutti non professionisti. Il risultato è un film che dimostra tutto l’amore di Panahi per la settima arte, per il suo Paese e per il suo pubblico, che da sempre continua a seguirlo.
Aureliano Verità, ilfattoquotidiano,it |
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Critica (2): | Quello a bordo del Taxi di Jafar Panahi è un viaggio in una Teheran quotidiana piena di incontri, umorismo, poesia, denuncia. Il regista iraniano non può lasciare il suo Paese, gli è vietato rilasciare in interviste e girare film. Ma, spiega nelle note che accompagnano il suo applaudito Taxi, in gara alla Berlinale, «il cinema è il mio mezzo di espressione e il senso della mia vita. Nessuno può impedirmi di continuare, qualunque cosa succeda. Per rispetto a me stesso e per sentirmi vivo». E così ha piazzato una telecamera sul cruscotto di una macchina gialla e se stesso alla guida, filmando i suoi incontri con clienti mettendo in scena situazioni comiche, considerazioni politiche, frammenti del passato e una lettera d’amore al cinema.
C’è l’incontro con uno “spacciatore” di film, da cui Panahi compra i classici per il figlio, ma anche il nuovo Woody Allen. Quello con una nipotina vivacissima che cerca di realizzare un corto per la scuola rispettando gli assurdi canoni del regime che le chiedono di censurare “la sordida realtà”, ovvero nascondere la verità. C’è un’avvocatessa con un mazzo di rose che va dai genitori di una ragazza che fa lo sciopero della fame in prigione e per questo sta per essere radiata. A lei Panahi confessa: «Mi pareva di aver riconosciuto la voce di uno di quelli che mi hanno interrogato», facendo riferimento agli interrogatori bendati, ai giorni trascorsi in carcere.
Il presidente della Celluloid Dreams, Hengameh Panahi (nessun legame di parentela) che si occupa della distribuzione internazionale del film, spiega che il regista «ha bisogno di soldi. È un padre, ha bambini, ma non lavora». Taxi è il terzo film che Panahi realizza di nascosto, dopo This Is Not a Film e Close Curtain.
Arianna Finos, repubblica.it, 07.02.2015 |
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