Varco (Il)
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Regia: | Ferrone Federico, Manzolini Michele |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Federico Ferrone, Michele Manzolini, Wu Ming 2, liberamente ispirata alle vite e ai diari dei soldati Guido Balzani, Remo Canetta, Enrico Chierici, Adolfo Franzini, Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern; fotografia: Andrea Vaccari; musiche: Simonluca Laitempergher; montaggio: Maria Fantastica Valmori; suono: Simonluca Laitempergher; con Emidio Clementi (Narratore); produzione: Claudio Giapponesi per Kiné, in associazione con Istituto Luce Cinecittà, in collaborazione con Home Movies - Archivio Nazionale del Film di Famiglia, Rai Cinema; distribuzione: Istituto Luce Cinecittà; origine: Italia, 2019; durata: 70’. |
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Trama: | Liberamente ispirato alle vite e ai diari dei militari Guido Balzani, Remo Canetta, Enrico Chierici, Adolfo Franzini, Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern, racconta attraverso immagini di repertorio il viaggio di un soldato italiano diretto al fronte sovietico. 1941, l'esercito fascista è alleato di quello nazista, la vittoria appare vicina. Il convoglio procede tra i canti e le speranze. La mente del soldato torna alla malinconia delle favole raccontategli dalla madre russa. A differenza di molti giovani commilitoni, lui ha già conosciuto la guerra, in Africa, e la teme. Il treno attraversa mezza Europa, avventurandosi nello sterminato territorio ucraino. All'arrivo dell'inverno l'entusiasmo cade sotto i colpi dei primi morti, del gelo e della neve. I desideri si fanno semplici: non più la vittoria, ma un letto caldo, del cibo, tornare a casa. L'immensa steppa spazzata dalla tormenta sembra popolata da fantasmi. |
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Critica (1): | Solo video d’archivio compongono una narrazione eterodiretta dalla mano autoriale e registica di Wu Ming 2, del collettivo anonimo (o pseudonimo) di scrittori dietro a romanzi del calibro di Q e Altai, Federico Ferrone e Michele Manzolini.
Un progetto ambizioso solo a considerare la portata del lavoro di documentazione, di ricerca, di mixaggio e montaggio di centinaia di ore di materiale video. Il tutto per raccontare “solo” una storia nuova. La storia di un soldato italiano, nato da madre russa, spedito verso la patria materna anche perché ne parla la lingua.
Ma non appena il treno comincia a muoversi, ce ne scordiamo e il protagonista, una voce narrante mai esattamente associata a una figura (impossibile, se si interpreta il film come una lunga soggettiva dei suoi occhi), diventa un soldato come tanti, anzi, tantissimi.
E ci scordiamo anche del lavoro dietro a Il varco. Siamo stipati dall’altra parte della camera, cullati da un pensiero inquieto, una sensazione di claustrofobica disperazione che, da sottopelle, avanza e riemerge con sempre maggiore allergia.
È un bel racconto, questo film, che fa necessariamente qualche compromesso col ritmo e con la struttura cinematografica. È un ibrido, lontano da entrambi i suoi parenti, cinema e audiolibro, un diario visivo donato al presente, e con riferimenti didascalici al presente (i luoghi della campagna di Russia sono gli stessi dove oggi questa combatte con l’Ucraina), da un passato ordinatamente archiviato eppure, forse, troppo a lungo lasciato lì a impolverarsi.
La parola più giusta per definirlo è: esperimento. Ma non un Frankenstein, un esperimento felice. Con deroghe alla narrazione, e quindi difetti tecnici, de-formazioni, nelle quali possiamo però scoprire nuove forme, preziose e diverse, se non uniche, da tutto ciò cui siamo abituati.
A rifletterci anche solo superficialmente, rendere storia materiale non originariamente pensato per essa può applicarsi a decine di altre situazioni contemporanee (videogiochi, social network, et cetera). Forse non il prossimo passo dell’evoluzione narrativa, ma un sentiero possibile, misterioso e affascinante.
Andrea Giovalé, cinematografo.it, 4/9/2019 |
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Critica (2): | Il film si apre con un cartello che introduce il contesto storico del 1941, quando a giugno la Germania nazista invade l’Unione Sovietica e l’Italia, nel corso del mese successivo, manda i suoi primi soldati al fronte ucraino, il luogo dove oggi si combatte ancora la guerra del Donbass. Dopo alcune suggestive immagini di repertorio che ritraggono un bambino intento a giocare in una foresta innevata, lo spettatore entra in contatto con la voce narrante del film, interpretata dal musicista e scrittore Emidio Clementi. In questo documentario, Clementi compie un ottimo lavoro e restituisce con efficacia e senza orpelli retorici le emozioni, le sensazioni ed i pensieri del soldato protagonista. Le parole del soldato sono pregne di significato e spesso rimandano ad immagini poetiche e suggestioni di un mondo ormai lontano nella memoria, eppure relativamente vicino cronologicamente.
Il materiale d’archivio raccolto dai due registi si interseca magistralmente con la narrazione e con il flusso di coscienza del soldato - quasi sempre, si ha la sensazione di guardare i paesaggi fuori dal finestrino del treno, i volti dei commilitoni e dei popolani o anche un semplice cartello stradale direttamente dal punto di vista soggettivo del protagonista. La colonna sonora di Simonluca Laitempergher, inoltre, contribuisce enormemente a trasportare lo spettatore nelle atmosfere dei luoghi e dell’epoca rappresentati nel film: a titolo d’esempio, si potrebbero citare la scena delle danze gitane nella Notte di Sant’Elia ambientata nel villaggio transilvano di Borșa (dove l’esercito si ferma per un giorno prima di ripartire per il fronte) oppure, a metà del film, quella dei canti corali intonati dai prigionieri dell’Armata Rossa. Lungo tutto il film, tra le altre cose, ci sono alcuni preziosi momenti di sospensione, dove la voce narrante si fa da parte e le sole immagini e colonna sonora invitano lo spettatore a riflettere e, perché no, fantasticare. Nel complesso, l’operazione narrativa de Il varco funziona bene - le immagini del reale, sorrette da un montaggio impeccabile ad opera di Maria Fantastica Valmori, riescono a raccontare una vicenda verosimile con grande rispetto e sensibilità, strizzando l’occhio anche al presente. Di tanto in tanto, infatti, il film mostra alcune inquadrature a colori dell’Ucraina di oggi. Queste transizioni appaiono fluide e pertinenti e non distolgono l’attenzione dello spettatore dalla linea narrativa principale.
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