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Nostri sogni (I)


Regia:Cottafavi Vittorio

Cast e credits:
Soggetto
: dalla commedia omonima di Ugo Betti; sceneggiatura: Vittorio Cottafavi, Cesare Zavattini, Adolfo Franci, Margherita Maglione, Vittorio De Sica, Paolo Salviucci; scenografia: Ottavio Scotti; fotografia: Carlo Nebiolo; montaggio: Mario Serandrei; musica: Raffaele Gervasio - canzone di Raffaele Gervasio su parole di Michele Galdieri; interpreti: Vittorio De Sica (Leo), Maria Mercader (Titi), Paolo Stoppa (Oreste), Guglielmo Barnabò (Posci), Luigi Almirante, Vittorina Benvenuti, Nerio Bernardi, Dina Romano, Aldo De Franchi, Leone Papa, Mario Siletti, Francesco Grani; produzione: Iris Film; distribuzione: Cineteca Nazionale; origine: Italia, 1943; durata: 85'.

Trama:Un giovanotto cerca di sbarcare il lunario vivendo di espedienti e sfruttando la sua sveglia intelligenza senza però ricavarne alcun risultato. Per una fortuita circostanza, viene incaricato dal direttore di una grande ditta di accompagnare a teatro la figlia di un contabile dell’azienda. Il giovanotto che si spaccia per il figlio del ricchissimo proprietario mette in subbuglio la borghese famigliola. Preso ormai dal gioco iniziato egli conduce la gentile e ingenua fanciulla nei locali più lussuosi dove con la sua fervida fantasia crea un’atmosfera di sogno. Ma il gioco ha termine ed egli ritorna alla sua vita errabonda, soddisfatto tuttavia di aver sognato e fatto sognare almeno per un breve periodo di felicità.

Critica (1):Siamo così giunti all’esordio nella regia di Vittorio Cottafavi, dopo lunghi anni di apprendistato. Lasciamo ancora una volta la parola allo stesso Cottafavi: «Il produttore era amico di Gherardo Gherardi. Gherardi sostenne che io ero un bravo regista e bisognava darmi un’occasione. E, come sempre avviene, invece di un’opera di Gherardi ne scelsi una di Ugo Betti. E di questo sento un certo rimorso. Però allora mi interessava molto il mondo di Betti, che conoscevo bene perché ero stato suo auditore (...) E per me I nostri sogni era un’opera felice, anche se è considerata tra le minori di Betti. Felice perché, usufruendo degli schemi della commedia ungherese, suggeriva tutta una problematica: la felicità, la ricchezza. C’era anche questo magnifico personaggio dell’amico Louis, ché deve arrangiarsi. Insomma un clima, un mondo che a me interessavano molto. E poi era talmente bravo De Sica ed era una tale garanzia, perché fare un film avendo come interprete un grosso attore che è anche regista, ti dà la sicurezza che non avrai sorprese Purtroppo girai in un momento già complicato e difficile, l’inverno del ’42-43 e quindi il film uscì in un periodo disgraziatissimo. Della mia prima esperienza come regista quello che posso dire è che, con mia grande sorpresa, mi accorsi di utilizzare la macchina da presa come potevo utilizzare la penna quando volevo fare lo scrittore. E cioè, formulavo, strutturavo il fraseggio dell’azione scenica e il modo d’inquadrarla, come se già la vedessi sullo schermo. Dunque avevo una certa capacità di visualizzare il risultato già prima che si concretizzasse».
Dei Nostri sogni Cottafavi è tuttora soddisfatto, a distanza di quasi quarant’anni. Fu un’esperienza indubbiamente importante e non soltanto perché segnava il definitivo affrancamento dalla condizione inferiore di aiutoregista e sceneggiatore, ma anche perché gli consentiva quel diretto rapporto con un testo, da sviscerare, interpretare e rappresentare in un’altra forma che diverrà abituale, molti anni dopo, per il Cottafavi televisivo. Era al tempo stesso il superamento di un vero e proprio esame di regia – e regista Cottafavi si considerò sempre e ancora adesso si considera., nel senso di “facitore di spettacoli”, di realizzatore della rappresentazione di un testo, non importa se proprio o altrui, se scritto appositamente per lo schermo oppure se preesistente come romanzo o lavoro teatrale: regista e non “autore”, dato il carattere ambiguo e pretenzioso del termine, forse inappropriato se applicato al campo della regìa teatrale, cinematografica o televisiva – e la conferma di un preciso indirizzo artistico, in cui soluzioni spettacolari ardite e inconsuete e impegno morale serio e conseguente tendono a fondersi in un’opera che deve coinvolgere lo spettatore e farlo pensare, allettarlo e inquietarlo.
Già si è detto dell’amore di Cottafavi per il cinema di Camerini, ma soprattutto per i problemi tecnico-espressivi affrontati e risolti da quel regista, tra i migliori del cinema italiano degli anni del fascismo. Nei Nostri sogni è riscontrabile un certo camerinismo, per talune affinità tematiche, di storia e di personaggi: il mondo piccolo borghese visto e rappresentato nei suoi caratteri discreti e mediocri. Ma di Camerini e della dimensione dolce-amara della sua poetica c’è un chiaro tentativo di superamento, che fu rilevato anche dalla critica, quando ne sottolineò la «pateticità acre, tanto più azzeccata quanto più irritante»; e che lo stesso Cottafavi volle mettere in luce molti anni dopo domandandosi: «In I nostri sogni la differenza dal mondo cameriniano qual è? È che i moduli del racconto appartengono ancora al mondo di Camerini, ma le conclusioni no, sono completamente diverse. E queste conclusioni sono date a barlumi. Non è solo la scena finale, piena d’amarezza, ma è anche l’incontro col miliardario. Il miliardario, il grande proprietario, è un esserino minuscolo, una creaturina, un vecchietto centenario: la decadenza fisica più completa. Il potere economico, cioè, è rappresentato da un essere impotente».
Il film, se non rivelò un nuovo regista, nel senso d’un autore che avesse un proprio mondo poetico, un discorso autonomo e personale da sviluppare, e se fu ancora, per ammissione dello stesso Cottafavi, un po’ troppo teatrale, passivamente fedele al testo di Betti, fu comunque una prova matura, che confermò la padronanza dei mezzi tecnici e una certa abilità nel confezionare il prodotto cinematografico, che Cottafavi aveva ormai acquisito. Purtroppo uscì nell’autunno del 1943, sotto l’occupazione tedesca di Roma, quando l’Italia era già tagliata in due e nel nord era iniziata la lotta partigiana. Se ne parlò e se ne scrisse poco, come d’altronde di molti altri film prodotti in quei mesi e usciti sugli schermi di un paese travagliato dalla guerra, dai bombardamenti, dalla miseria e dai lutti. Ma nel panorama del cinema italiano di quegli anni, nell’ambito di una produzione decorosa e non priva di elementi originali, sulla scia non tanto forse del primo Camerini quanto del De Sica d’allora, crepuscolare e critico al tempo stesso (si pensi ai Bambini ci guardano), I nostri sogni può avere un posto non trascurabile: testimone lucido e distaccato di una situazione culturale e morale d’insofferenza e di disagio, che in quel medesimo periodo, tra i primi grandi bombardamenti, le prime gravi sconfitte militari e il crollo del fascismo, è riscontrabile a diversi livelli in altri film italiani, a cominciare naturalmente da Ossessione di Visconti (il più lucido e profondo) e poi da Quattro passi fra le nuvole di Blasetti, dal citato I bambini ci guardano di De Sica, da Scalo merci di Rossellini (interrotto per gli eventi bellici e uscito dopo la guerra, rimaneggiato da Marcello Pagliero, col titolo Desiderio).
Gianni Rondolino,
Vittorio Cottafavi - Cinema e televisione, Cappelli Editore, 1980

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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