Padrino parte II (Il) - Godfather Part II (The )
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Regia: | Coppola Francis Ford |
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Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo di Mario Puzo; sceneggiatura: Francis Ford Coppola, Mario Puzo; fotografia: Gordon Willis; musiche: Nino Rota; montaggio: Barry Malkin, Richard Marks, Peter Zinner; scenografia: Dean Tavoularis, Angelo Graham; arredamento: George Nelson; costumi: Theadora Van Runkle; effetti: Joe Lombardi, A.D. Flowers; interpreti: Al Pacino (Don Michael Corleone), Robert Duvall (Tom Hagen), Diane Keaton (Kay Corleone), Robert De Niro (Vito Corleone), John Cazale (Fredo Corleone), Talia Shire (Connie Corleone), Lee Strasberg (Hyman Roth), Michael Gazzo (Frankie Pentangeli), Gastone Moschin (Don Fanucci), Francesca De Sapio (Mamma Corleone da giovane), Morgana King (Mamma Corleone da anziana), James Caan (Sonny Corleone), James Gounaris (Anthony Corleone), Roger Corman (uno dei senatori ); produzione: Francis Ford Coppola, Gray Frederickson, Fred Roos per Paramount Pictures, The Coppola Company; origine: usa, 1974; durata: 200’. Vietato 14 |
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Trama: | Unico superstite di una famiglia sterminata da Don Ciccio a Corleone, Vito Andolini, ragazzo dalla salute malferma, raggiunge gli Stati Uniti nel 1901 dove, per un errore degli ufficiali del porto, prende il nome di Vito Corleone. Cresciuto nel mezzo delle prepotenze della Mano Nera nella "Little Italy", apprende l'arte del protezionismo e della camorra. Fonda sul crimine, sul controllo delle case da gioco e della prostituzione, un impero che trasmette al figlio Michael. Questi, nel 1958, mentre celebra la festa della comunione del figlio Anthony Vito Corleone, si trova costretto a meditare sul futuro della "famiglia mafiosa". Infatti troppi sono i segni di una disgregazione: il fratello maggiore Fred lo tradisce; alcuni rami dell'organizzazione tentano la via dell'indipendenza; il Senato lo cita davanti a una commissione speciale dalla quale si salva per miracolo; Cuba, mercato lauto di corruzione, passa dalle mani di Batista a quelle di Castro; la moglie volutamente rifiuta un suo ulteriore figlio e viene cacciata. Michael Corleone è rimasto solo nella sua grande reggia. |
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Critica (1): | Dal punto di vista del modo di produzione, Il Padrino, parte II inaugura un altro capitolo della trasformazione del cinema hollywoodiano: la serializzazione del prodotto di successo. Il cinema industriale diventa una sua uscita dalla grande crisi degli anni sessanta puntando sul sicuro, sulla formula già sperimentata. Il déjà vu, che prima funzionava come deterrente, ora diventa motivo di fascino. Hollywood si scopre in salute e non ha intenzione di riammalarsi. Proprio sui successi dei due soci Friedkin e Coppola (Il braccio violento della legge e Il Padrino) prende corpo questa nuova strategia del " consolidamento " della nuova Hollywood. (…)
Il numero 2 di Coppola ammicca a modelli "alti" (dai cicli della letteratura epica, alle saghe nordiche, ai Mabuse); nel firmare personalmente la continuazione del film precedente, il regista sottolinea il suo intervento creativo, la sua autonomia espressiva. Non solo, ma allestisce un prodotto in qualche modo antitetico al primo, con incastri, vuoti temporali, ammiccamenti emotivi e con autocitazioni piuttosto che con riferimenti logici ed espliciti. « D'altra parte – dice lo stesso Coppola (« Positif », 161, '74) – il secondo film è concepito in maniera molto bizzarra: ogni scena è fatta in modo di ricordarne un'altra del primo. È qualcosa della messa in scena, o nel dialogo, o nella atmosfera di ogni scena. È come un'armonia dove una nota ne ricorda un'altra. Insomma, il primo film deve ossessionare l'altro come un fantasma, deve restare nella memoria dello spettatore».
Coppola riesce nell'intento soprattutto nello splendido "film nel film" di cui è protagonista De Niro: qui la fotografia effettata di Gordon Willis, il décor patinato .(come in una lastra d'epoca) di Tavoularis, il ruolo mitico di De Niro – epico senza eccessi di recitazione – sono come una frase musicale. Sono le immagini più vivide del film, quelle che restano nella memoria. I tormenti di Mike, il giallo psicologico, la stessa dirompente irruzione della rivoluzione cubana scompaiono col tempo; restano invece, come sedimento immaginario, il lungo carrello che segue De Niro sui tetti il gesto ampio con cui volteggia il panno che nasconde la pistola, come la cappa di un cavaliere antico.
Il film è pieno, del resto, di "note musicali" che fanno scattare la memoria del primo Padrino: il meeting cubano ricorda l'incontro di pacificazione fra le Famiglie (il carrello scorre nello stesso modo alle spalle dei presenti, usate spesso come "tendine" di un falso piano sequenza);
l'inquadratura iniziale (un primo piano fortemente contrastato di Mike) ricorda l'apertura del Padrino. Così Pentangeli aspetta di essere ricevuto da Mike nella stessa sedia di Luca Brasi, in attesa del vecchio Don. E due montaggi alternati (quello finale tra Mike sul lago Tahoe e le varie «esecuzioni» e quello tra Don Vito giovane e la festa del santo) ricordano il montaggio, famoso, del battesimo nel finale del primo film (mentre il prete chiede simbolicamente al neonato di rinunciare a Satana, Mike sta facendo eliminare tutti i suoi avversari). In tutte e tre le sequenze il leit motiv è il rituale religioso, la magia della parola sacra contrappuntata da una non meno rituale violenza omicida. Una delle sequenze finali fornisce la chiave di questo uso attivo della memoria: con l'aria del remake, la sequenza mostra un episodio della famiglia Corleone alla vigilia della guerra, in un'animata discussione sulla scelta fatta di Mike di arruolarsi. Per questo " frammento " di memoria, estrapolato dal contesto di ambedue le storie e le epoche del film, riemerge (in veste di guest star) James Caan nel ruolo di Santino. Di Don Vito, invece, si avverte solo l'eco (data anche l'indisponibilità di Brando); come di un fantomatico Godot.
Per il resto, però, i due film sono molto diversi. Se il primo è girato con uno stile classico alla Hollywood anni quaranta, il secondo ha un taglio doppio: lo stile "caldo" della storia di De Niro, e quello "freddo" (più vicino alla maniera televisiva) della storia di Al Pacino. Mentre il primo film, poi, si basa sui contrasti forti, tra luce e ombra, tra interni ed esterni, il secondo vive narrativamente in un'espansione e in una frantumazione del continuum spazio-temporale. La vicenda si sposta nevroticamente da Las Vegas a New York, da Cuba a Miami, alla Sicilia, dagli inizi del secolo agli anni cinquanta. In questo caotico ma affascinante materiale, infinite sono le possibilità creative del montaggio, che Coppola esibisce con qualche salto ardito e con qualche accostamento capace di dare nuovo senso ed espressione all'immagine. In modo particolare, un certo tipo di montaggio poetico scatta attorno al rapporto padre-figlio.
Ancora una volta, Coppola ritaglia per il tema che gli sta tanto a cuore uno spazio particolarmente pregnante di significati: in questo caso è il confronto, sul terreno della nostalgia, tra la vecchia famiglia patriarcale e la nuova famiglia, polverizzata e dilaniata da contraddizioni interne. (…)
Nel tempo espanso ed esploso del film, un luogo ricorrente ed ossessivo è quello della Festa, che si allarga a sua volta sino a diventare una metafora volutamente ripetitiva della società dello spettacolo contemporanea. Il tema era già presente nel primo Padrino: l'aria natalizia che fa da sfondo al lungo episodio del ferimento del Don (Kay e Mike che escono dal cinema dove si proietta The Bells of St. Mary di McCarey, le luci natalizie davanti all'ospedale, ecc.) pare continuare per tutto il film, tanto che la New York notturna riproduce le esili luminarie delle feste di paese siciliane; e le due feste di nozze scandiscono il film dandogli un sapore di celebrazione della memoria. Nel Padrino parte II, invece la Festa ha perso la sua aura, si è ingigantita e sclerotizzata: la festa del battesimo di Anthony è coreografata a tavolino, senza le invenzioni spontanee del matrimonio di Connie nel primo film, e Pentangeli suscita ilarità, quando chiede una tarantella. La festa danzante notturna è carica di tensioni nevrotiche (l'ira di Pentangeli, la civetteria della moglie di Fredo, l'impotenza di quest'ultimo). (…)
Il secondo Padrino, dunque, non sarebbe una prosecuzione del primo, ma « un prolungamento di tutte le direzioni », anche quelle più profonde, una riflessione sull'America delle origini e su quella contemporanea; un film-saggio sul Padrino e sulle sue metafore. Questa lettura ideologica del Padrino parte II è possibile. C'è qui, indubbiamente, una quantità di ideologia maggiore. Nel primo film c'erano alcuni accenni espliciti alla metafora Mafia = America (prima dell'incontro di pace tra i boss, la macchina da presa panoramica su una bandiera a stelle e strisce, e durante il meeting si colgono frasi come «dopo tutto non siamo comunisti ... i negri li faremo drogare; tanto sono delle bestie ...»). Ora gli accenti sono più pesanti: «Senatore, siamo due faccie della stessa ipocrisia»,
dice Mike a Geary; poi, colpito da un gesto di eroismo di un guerrigliero di Castro, confessa a Roth: «queste cose fanno riflettere ... i ribelli possono vincere». È, in pratica, la stessa conclusione che fa Kurtz, nel raccontare a Willard un episodio di fanatico coraggio vietcong. I viet non hanno scelta, non possono tornare indietro: o muoiono, o vincono.
Si respira aria di Vietnam, in questa Cuba spartita come la torta del party di Roth. Si intravede già Kurtz in questo Mike tenebroso e riflessivo, che dona la morte o il perdono, che decide del bene e del male. È già Apocalypse Now.
Vito Zagarrio, Francis Ford Coppola, Il Castoro cinema, 9/1980 |
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