Piccola Vera (La) - Malen'kaja Vera
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Regia: | Picul Vasilij |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Marija Chmelik, Vasilij Picul; fotografia: Efim Reznikov; musica: Vladimir Mateckij; montaggio: Elena Zabolockaja; scenografia: Vladimir Pasternak; suono: P. Drosvev; interpreti: Natalija Negoda (Vera), Andrej Sokolov (Sergej), Jurij Nazarov (il padre), Ljudmila Zajceva (la madre), Aleksandr Alekseev Negred (Viktor), Aleksandra Tabakova (Chistiukova), Andrej Fomin (Andrej), Aleksandr Mironov (Tolik); produzione: Gor'kij Film; distribuzione: INDIP.REG.; durata: 128; origine: URSS; anno: 1988. |
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Trama: | Vera, una giovane un pó ribelle, vive combattuta tra un padre piegato dalla fatica e dall'eccesso di vodka, una madre divisa tra la preparazione di conserve e il suo Lavoro in fabbrica, un fratello moralista. La situazione degenera con l'arrivo di Sergej, il futuro marito di Vera. Durante una lite il Padre ferisce Sergej. Vera, sentendosi abbandonata tenta il suicidio, ma viene salvata dal fratello, morirà invece il padre, solo, in un angolo della cucina, senza far tanto rumore. Sergej, troppo spaventato, torna a casa, anche Vera forse imparerà a fare le conserve. |
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Critica (1): | Il film, presentato due anni fa con un notevole successo alla Settimana della Critica del festival di Venezia, ha suscitato in patria un vero vespaio di polemiche e di scandali, per aver dato un ritratto amaro e triste della vita quotidiana in una città ucraina. Una città, più volte osservata, quasi ad interrompere il flusso narrativo (spezzato da attacchi bruschi ed ellittici), fatta di grigi casermoni e di alte ciminiere che ammorbano l'aria, di treni che passano tra i prati e le altalene, di rottami metallici colpiti dalle onde del mare scuro, abbandonati sulle spiagge come inquietanti presenze. Questo è il mondo in cui vive Vera e non le si può dar torto se cerca di opporsi allo squallore e alla monotonia rassegnata con la pienezza della sua gioventù, con l'ansia di esistere gioiosamente. Vera, moderna "figlia del Capitano" viene colta dall'amore, quasi nell'illusione di trovare la libertà e di fuggire dalla realtà gretta ed opprimente dei suoi genitori, timorosamente rivolti al passato, ottusi e infelici.
"Portava il candore negli occhi e la sofferenza nel cuore", così recita Vera, che inconsapevolmente delinea il proprio ritratto, e piano piano la sofferenza, il dolore, il senso di abbandono si accumulano, scanditi da pranzi e riunioni familiari attorno ad una tavola dove predominano le trasparenze della vodka e il rosso dei pomodori,
Vera, fragile ed indifesa, senza uno scopo (troppo ironica è la sua affermazione sul comunismo come scopo del vivere), assume su di sé lo sbandamento della gioventù sovietica, osservata da vicino con instabili movimenti di macchina a mano, schiacciata dal malessere di esistere, spinta dal desiderio cieco di uscire da un conformismo che oscura l'orizzonte. L'ultima immagine, come la prima, ci riporta alla città industriale a contrassegnare una chiusura che è continuità, scandita dal regolato cadenzare delle onde del mare che si è sentito all'inizio. La piccola ribellione di Vera, una ribellione degli affetti e del quotidiano, non è servita. Tutto continua come prima e l'ultima inquadratura, premonitrice di apocalissi, è anche affermazione di qualcosa che non cambia al di là degli esiti individuali.
Mariolina Diana, Segno Cinema, n. 44 luglio 1990. |
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