Ward (The) - Il reparto - Ward (The)
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Regia: | Carpenter John |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Michael Rasmussen, Shawn Rasmussen; fotografia: Yaron Orbach; musiche: John Carpenter, Mark Kilian; montaggio: Patrick McMahon; scenografia: Paul Peters; costumi: Lisa Caryl; effetti: Gregory Nicotero, Howard Berger; interpreti: Amber Heard (Kristen), Mamie Gummer (Emily), Danielle Panabaker (Sarah), Laura-Leigh (Zoey), Lyndsy Fonseca (Iris), Mika Boorem (Alice), Jared Harris (Dottor Stringer), Sali Sayler (Tammy), Susanna Burney (Infermiera Lundt), D.R. Anderson (Roy), Sean Cook (Jimmy), Jillian Kramer (Fantasma di Alice), Mark Chamberlin (Sig. Hudson), Andrea L. Petty (sig.ra Hudson); produzione: Echo Lake Productions-A Bigger Boat-North By Northwest Entertainment-Premiere Picture; distribuzione: Bim; origine: Usa, 2010; durata: 88’. |
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Trama: | La giovane Kristen si ritrova rinchiusa in un ospedale psichiatrico e in gravi condizioni fisiche senza saperne il motivo. Ben presto, anche a causa di una serie di misteriose sparizioni, la ragazza si rende conto di essere in un posto tutt'altro che sicuro... |
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Critica (1): | Una storia ambientata quasi tutta dentro un manicomio, luogo assai frequentato dal cinema Usa di questi anni. Un grande regista horror che torna ai fasti di un tempo. Una vera lezione di cinema, retrò per ambientazione (siamo nel 1966) oltre che per taglio narrativo e visivo. È The Ward di John Carpenter, tutto girato nell'Ospedale Psichiatrico Eastern Washington (...) Come in un'ideale risposta low budget a Shutter Island di Scorsese, Carpenter moltiplica vere e false piste. Senza mai barare però, per farci toccare con mano quanto può essere ancora suggestivo «un horror di vecchia scuola fatto da un regista della vecchia guardia». Dunque più attento alla regia e all'affiatamento di un cast quasi tutto femminile che ai trucchi oggi dominanti. L'anti-'Sucker Punch', insomma. Con molte mirabilia tossiche in meno. E moltissima classe in più.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 1/4/2011 |
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Critica (2): | Dopo qualche anno di silenzio (il suo ultimo film visto qui da noi, Il seme del male, è del 2006), sembra tornare a un horror di fattura classica, con tutte le paure in platea difficili da contenersi, ma anche con delle proposte di personaggi da guardare molto più attraverso la loro soggettività che non affidandosi alla realtà in cui sembrano immersi. Dei personaggi che, per essere così costruiti e per funzionare narrativamente come Carpenter voleva, dovevano necessariamente avere fisionomie complesse se non decisamente multiple. (...) Carpenter il mistero lo svela solo all'ultimo anche se, con un ulteriore pugno nello stomaco, ci nega astutamente un vero lieto fine. Arrivandoci comunque con uno stile limpido e quasi ricercato che, pur non lesinando gli allarmi, i terrori e le ansie, regge abilmente le fila di un racconto a più facce che, pur tra notti nere attraversate da continui tuoni e solo illuminate da lampi e fulmini, si snoda quasi per tutto il tempo nell'ambito di scenografie asettiche – le celle, le sale, i corridoi del manicomio – in cui tutto sembrerebbe proclamare una normalità assoluta. Se non fosse... Gli interpreti sono soprattutto facce, fedelmente al servizio degli effetti cui Carpenter voleva indirizzarle. Vincendo sempre la partita.
Gian Luigi Rondi, Il Tempo Roma, 1/4/2011 |
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Critica (3): | Non è soltanto una questione di spazi chiusi nei quali concentrare l'azione, il cinema di John Carpenter. Piuttosto è un problema legato alla percezione dello spazio stesso, quello che permette a un luogo detentivo come il Reparto di quest'ultimo The Ward di snocciolare in continuazione nuovi percorsi, traiettorie, stanze nelle quali le giovani prigioniere agiscono, si muovono, lottano contro le presenze impalpabili che stanno lì come a descrivere ulteriori altrodove legati, per l'appunto, a una percezione che non è fisica quanto emotiva.
Accade così che una storia di fantasmi che sulla carta vorrebbe essere classica, lineare, semplice nel suo effetto "già visto" si riveli invece un ennesimo territorio di sperimentazione per quella tracciabilità della visione che il regista americano sta compiendo da almeno un ventennio: siano gli alieni di Essi vivono o la materialità trasparente dell'Uomo Invisibile o, in modo più pertinente, le visioni apocalittiche del Seme della follia, il cinema di John Carpenter continua a essere collegato al divario fra apparire ed essere, in un gioco di rispecchiamenti spettatore/personaggio che anche qui tiene immancabilmente banco. La dinamica è moltiplicata peraltro dall'andirivieni temporale fra il presente in cui la protagonista Kristen (Amber Heard) è rinchiusa nel reparto psichiatrico per avere inspiegabilmente dato fuoco a una casa, e i ricordi del suo passato, che la vedono prigioniera di uno spazio chiuso e, quello sì, occlusivo, vittima di violenze che sembrano nascondere la matrice del suo trauma.
Passato e presente, dunque, che si articolano nella dinamica prigionia/libertà di questo spazio poroso che è il Reparto, ma è anche la mente della stessa Kristen, la sua consapevolezza rispetto allo spazio circostante, spesso distorta dall'uso dei calmanti e dalle terapie invasive dei medici, che determinano una fugace ma sempre presente febbricitazione dell'immagine. La nostra percezione di spettatori coincide pertanto con quella della ragazza e ci riporta a quel magnifico esempio di rifondazione della consapevolezza del sé che era il "viaggio" psichedelico di Melanie Ballard in Fantasmi da Marte. In fondo è bello pensare di essere ancora lì, in uno spazio alieno che però stavolta è anche quello della memoria. Perchè questo "old school horror movie made by an old school director", come lo stesso Carpenter ha definito il film, è anche un ritorno ai luoghi fondativi dello stesso immaginario carpenteriano. Siamo dunque ancora in un istituto psichiatrico degli anni Sessanta, in quello stesso periodo in cui Michael Myers covava la sua follia sotto lo sguardo tremante e consapevole (lui sì, unico fra tanti) del dottor Loomis. E non a caso, ora come allora, il punto di fuga è costituito da una caduta dalla finestra, come a sancire il ritorno alla concretezza della terra, della realtà, dopo un viaggio allucinato in una follia che, ora come allora, cova nei recessi della mente e nel rapporto con la famiglia.
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Critica (4): | |
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