Quiet american (The) - Quiet american (The)
| | | | | | |
Regia: | Noyce Phillip |
|
Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo omonimo di Graham Greene; sceneggiatura: Christopher Hampton, Robert Schenkkan; fotografia: Christopher Doyle, Nguyen Huu Tuan, Quang Dat; musica: Craig Armstrong; scenografia: Roger Ford; costumi: Norma Moriceau; montaggio: John Scott; interpreti: Michael Caine (Thomas Fowler), Brendan Fraser (Alden Pyle), Yen Do Thi Hai (Phuong), Rade Serbedzija (Ispettore Vigot), Ma Tzi (Hinh); produzione: Mirage Enterprises / Saga Films / IMF Production; distribuzione: Medusa; origine: Stati Uniti Germania Australia, 2002; durata: 95’. |
|
Trama: | Un giovane americano, Alden Pyle, arriva a Saigon nell'autunno del 1952, al culmine della lotta per l'indipendenza dalla Francia. Vuole conoscere tutti i segreti di un mondo così diverso dal suo e stringe amicizia con il corrispondente del "Times" di Londra, Thomas Fowler e con la giovane vietnamita che vive con il giornalista, Phung. Presto i due giovani diverranno amanti. |
|
Critica (1): | Saigon, 1952. Piazza Garnier. Esterno giorno. Sotto la veranda dell’Hotel Continental un uomo sulla sessantina sta consumando un tranquillo aperitivo pomeridiano. Due donne sedute a un tavolo vicino si affrettano ad andare via. Velocemente quasi senza averne la percezione lo sguardo dell’uomo si volta ad indagare la piazza scorgendo strani movimenti intorno ad una macchina parcheggiata poco distante. La camera si sposta rapida dagli occhi cerulei dell’uomo alla figura di un vietnamita che si allontana di corsa dalla vettura. Improvvisamente un’esplosione rompe quell’attimo sospeso, una seconda ribadisce il gesto terroristico e lascia intorno solo polvere e detriti. Di corsa l’uomo si alza, scavalca quasi indifferente i corpi riversi sulla strada, ed entra in un palazzo vicino alla ricerca di un amico. È frastornato, non sembra capire bene lo spettacolo che si trova di fronte. Esce dallo stabile e l’orrore finalmente si mostra per quello che è: corpi straziati, menomati. Una madre copre per pudore il volto del figlio morente, una moglie chiede aiuto per il marito in fin di vita. Montaggio serrato, ripetitivo, la macchina da presa passa da un corpo all’altro, senza sosta, stringe sulle carni squartate dall’esplosione e non risparmia nulla alla nostra vista.
È la scena più scioccante e cruenta di The Quiet American, l’ultimo lungometraggio di Phillip Noyce e il sessantenne dagli occhi cerulei è Michael Caine in un’ interpretazione magistrale che gli è già valsa la candidatura all’Oscar come miglio attore protagonista.
Tratto da un fortunato best seller di Graham Green (sempre perfetto per gli adattamenti del cinema hollywoodiano), già portato sugli schermi da Joseph L. Mankiewicz nel 1957 che aveva edulcorato il tono di polemica antiamericana, il film di Noyce racconta la presa di coscienza del corrispondente del Times Thomas Fowler (Michael Caine) da anni in Indocina per riferire dell’insurrezione nord vietnamita contro il governo francese. Deciso a mantenere un tono di superiore distacco dai fatti di cui è testimone, Fowler entra in contatto con il giovane idealista Alden Pyle (Brendan Fraser), un cooperante americano di cui diventa ben presto amico. Le cose si complicheranno quando entrambi si innamoreranno di Phuong (Do Thi Hai Yen), concubina di Fowler, che vorrebbe fuggire dal suo paese e sposare un occidentale ma condurrà i due verso un pericoloso triangolo amoroso in cui nessuno si mostrerà per quello che veramente è.
Dotato della magistrale fotografia di Christopher Doyle (Hong Kong Expres, Fallen Angels, In the Mood for Love) che trasforma ogni immagine in un affresco luminoso pieno di ombre, The Quiet American, è un film duro, a tratti scioccante, un film di guerra senza guerra e che utilizza il conflitto come sponda retorica per un indagine approfondita della coscienza americana. Un film sul Vietnam prima dell’arrivo americano, prima che la carneficina di un esercito destinato alla sconfitta si trasformasse in un “sporca guerra”, che mostra il contesto di sensualità e lusso che regolava la vita di un paese attaccato ai propri riti e alle proprie tradizioni. Un film su un amore forse impossibile tra personaggi di culture diverse fagocitati da eventi più grandi di loro.
Noyce non è mai stato un regista dalla forte personalità. I suoi film (Ore 10: calma piatta, Giochi di potere, Il collezionista di ossa) sono sempre stati caratterizzati da una notevole capacità di dominare i mezzi a disposizione e la riprova dell’abilità “artigiana” che Hollywood riesce ancora ad esprimere. Qui, mettendosi a disposizione del romanzo di Greene realizza il suo lavoro più convincente. Non eccede in virtuosismi, raggela i sentimenti e le sensazioni fino al parossismo, dirige gli attori con mano sicura e porta a compimento le intuizioni che lo scrittore inglese aveva solo suggerito.
L’OSS (la CIA di quegli anni) diventa il motore di una sopraffazione militare e culturale; il popolo vietnamita la vittima sacrificale di una vocazione imperialista. Ridotta la voce narrante ad una sorta di commento fuori testo, la Storia diventa cronaca da raccontare filtrata dallo sguardo di un giornalista alieno da tutto. L’occhio di Fowler diventa distante, indifferente. Le stragi, i delitti, la deriva suggerita dei sensi, tutto appare mummificato, come se nulla dovesse realmente accadere. Persino la tenzone amorosa ha i toni dello scontro tra due manichini, come fosse una battaglia elegante e ineluttabile che i due devono obbligatoriamente combattere. La sconfitta fa parte del gioco così come l’insperata vendetta. La Storia è sotto ai nostri occhi ma non ci riguarda fino in fondo. Eppure lentamente il germe di una coscienza critica si insinua nelle pieghe della vicenda. Si fa strada attraverso la reiterazione delle stragi, la scoperta progressiva della verità, l’attentato nella piazza centrale della capitale che obbliga ognuno a prendere posizione.
Il Vietnam appare nella sua travolgente vitalità come un posto contagioso, il luogo delle coscienze torpide, dell’illusione e della speranza. Greene condannava l’imperialismo americano quanto quello francese. Condannava la falsa retorica della propaganda, l’idealismo infantile che muoveva gli eserciti, l’incapacità di capire un popolo che si voleva solo sottomettere. Il melodramma si mescola alla Storia e ne diventa parte inscindibile. I personaggi diventano silhouette dotate di anima.
Il film era stato bloccato negli Stati Uniti dopo la strage delle Twins per paura di ferire l’orgoglio americano. Ora, uscito dalla quarantena, The Quiet American quell’orgoglio rischia di metterlo nuovamente a dura prova, sempre che ce ne sia ancora bisogno. Costringe implacabilmente a prendere posizione e riapre una ferita mai rimarginata nella coscienza dei gendarmi del nuovo ordine mondiale.
Massimo Galimberti, Kwcinema |
|
Critica (2): | |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| Phillip Noyce |
| |
|