Viaggio all'inferno - Hearts of darkness: a filmmaker's apocalypse
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Regia: | Bahr Fax, Hickenlooper George |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Fax Bah, George Hìckenlooper, regia document.: Eleonor Coppola; musica: Todd Boekelheide, Carmine Coppola e Francis Coppola peri brani da Apocalipse Now; montaggio: Michael Greer, Jay Miracle; interpreti: Francis Coppola, Eleanor Coppola, John Milius, George Lucas, Tom Stenberg, Dean Tavoularis, Martin Sheen, Vittorio Storaro, Rober Duvall, Larry Fishburne, Sani Bottoms, Frederic Forrest, Albert Hall, Monty Cox, Fred Roos, Doug Claybourne, Dennis Hopper; produzione: George Zaloom e Les Mayfield, per Showtime/ ZM prod./Zeotrope Studios; distribuzione: LIFE International; durata: 95'; origine: U.S.A.; anno: 1992. |
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Trama: | Le riprese di Eleanor Coppola sul set di Apocalypse Now alternate a interviste ai protagonisti dopo dodici anni. La storia del progetto di trarre un fil da Cuore di tenebra di Conrad, da Orson Welles a John Milius. Il progressivo sprofondare di attori e regista in una dimensione allucinatoria prossima a quella della finzione. |
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Critica (1): | I documentari sui film, in genere, si limitano a introdurre lo spettatore nella finzione rendendogliela familiare e a portata di mano: la perdita di aura - inevitabile se si mostrano le quinte, i trucchi, ì piccoli incidenti - é compensata da un senso di prossimità. Allo spettatore che non ha ancora visto non resta che consumare uno spettacolo dì cui conosce le regole, ma verso il quale si sente, per così dire, in debito di godimento. Lo spettatore che invece ha già visto può prolungare il suo piacere, rassicurato che vale la pena spendere i soldi del biglietto e viene inoltre chiamato a garante delle meraviglie che non possono essere mostrate. Special televisivi come quelli su Chi ha incastrato Roger Rabbit, o compilazioni per l'home video come Il mondo di Dario Argento (1 e 2) funzionano in questo modo. Le infrazioni di Viaggio all' inferno (titolo molto più banale di quello originale) a questa logica sono molte. Dato macroscopico, si tratta di un film per le sale a proposito di un film del 1979, e non di un accessorio video che supporti l'uscita di un prodotto nuovo. Il film di Bahr e Hickenlooper, anche se resta un metafilm (nel senso più banale del termine, e non di quello decostruzionistico ben noto ai lettori di questa rivista), ha poi un grado di narratività molto più alto di qualunque altro documentario analogo: questo certo perchè la storia della lavorazione di Apocalypse Now sembra essa stessa un film (più simile a Professione pericolo di Richard Rush che a Effetto notte di Truffaut; ma Viaggio all'inferno non intende mostrare le quinte e smascherare la finzione (come fanno puntualmente sia i vari making per il video che registi come Rush e Truffaut): virtualmente non c'é la differenza, infatti, tra quanto accade davanti e dietro la macchina da presa. Come poetica, siamo più dalle parti di Attenti alla puttana Santa di Fassbinder e, ovviamente, di Herzog: registi che darebbero (o hanno dato) la vita pur di filmare. In un breve documentario girato da Wenders quando lavorava all' Hammet prodotto da Coppola - Reverse Angle: NYC March 1982 - l'intellettuale europeo si lamentava col suo esigente mecenate che certe volte il cinema é più importante del cibo (al che l'americano pragmatico replicava il contrario). Wenders (che occhieggiava in un party in Viaggio all'inferno) ignorava evidentemente la storia demiurgo che rischia tutto per la sua creazione, arrivando a identificarsi con essa. Mentre i protagonisti di Apocalypse Now si muovono nello spazio, calando in una dimensione sempre più irreale che li metta di fronte al loro lato più oscuro, lo sprofondamento di Coppola e dei suoi attori avviene nel tempo: una lavorazione che si trascina per quasi tre anni, in una terra di nessuno lontano da casa. Dapprima domina l'ebrezza del demiurgo: il set viene creato dal nulla, si costituiscono templi cambogiani con metodi da piramidi egizie. Ma più passa il tempo, più difficile diventa creare finzione, perché la realtà diventa sempre più irreale, più simile alla storia da rappresentare. Coppola che si lamenta perché gli elicotteri forniti dall'esercito filippino sono dovuti andare via a combattere i ribelli é lo specchio di Kilgore (Duvall) che pratica il surf tra i proiettili che fischiano. Coppola che dichiara che, se anche Sheen si é beccato un infarto e muore; é lui a deciderlo e a renderlo pubblico, é ormai in stadio avanzato di identificazione con Kurtz. Particolari come quelli di Sheen che si taglia rompendo lo specchio, dell'uso delle droghe e dei buoi macellati, in apparenza banali o folkloristici, sono indizi dell'attitudine a mescolare le carte tra recita e presa
diretta della realtà ad approfittare di quello che offre la location per inglobarlo subito nel film. E a un certo punto l'accumulo di questi indizi (compreso Dennis Hopper identico al suo personaggio farneticante) fa scattare la vertigine: la realtà diventa bigger than life, il film (che bigger than life lo era già) si ingrandisce ancora di più nel ricordo. L'autocrate Coppola conclude il film con una profezia sul cinema che, grazie alle videocamere, sarà fatto - surrealisticamente - da tutti. E magari la "ragazzina grassottella dell'Ohio" girerà un capolavoro, decretando la fine del sistema dei grandi autori. Vezzo di chi si é spinto dove nessuno ha osato, e ormai non può ambire più a nulla? Piuttosto si tratta del motivo della vanitas inserito in un angolo del quadro, come facevano i pittori antichi rappresentando, per esempio, un topo che rode il libro, un frutto bacato, un teschio. In margine, una doppia nota di rammarico. Prima, l'idea di doppiare un film del genere é stata assolutamente cretina, anche se rende immediatamente riconoscibile le sequenze inedite (piuttosto consistenti). Secondo, la questione dei forali multipli viene saltata a piè pari. Altra parte delle zone d'ombra devono rimanere. Lo si è visto, questo non é un documentario.
Alberto Pezzotta, Segno Cinema n. 57 Sett./Ott. 1992 |
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