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Uccelli (Gli) - Birds (The)


Regia:Hitchcock Alfred

Cast e credits:
Soggetto: dall’omonimo racconto di Daphne du Maurier; sceneggiatura: Evan Hunter; fotografia: Robert Burks; montaggio: George Tomasini; scenografia: Robert Boyle; interpreti: Rod Taylor (Mitch Brenner), Tippi Hedren (Melanie Daniels), Jessica Tandy (signora Brenner), Suzanne Pleshette (Annie Hayworth), Veronica Cartwright (Cathy Brenner), Ethel Griffies (signora Bundy), Charles McGraw (Sebastian Sholes), Ruth McDevitt (signor aMacGruder), Joe Mantell (il commesso viaggiatore), Malcolm Atterbury (Sceriffo Al Malone), Elizabeth Ylson (Helen Carter); produzione: Alfred Hitchcock per Alfred J. Hitchcock Productions, Inc; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Usa, 1963; durata: 120'.

Trama:Melanie arriva a Bodega Bay con una coppia di pappagallini detti "inseparabili" da regalare a Mitch, giovane avvocato che abita con la madre e la sorellina Cathy. Durante la traversata della baia viene ferita da un gabbiano. Sembra un incidente, ma la realtà si rivela ben diversa: uccelli di ogni tipo si coalizzano in un'inspiegabile minaccia.

Critica (1):All’interno dell’intervista concessa a Truffaut nel 1962, Hitchcock racconta al collega una scena che desidererebbe girare: due uomini parlano, mentre alle loro spalle viene assemblata un’automobile. Quando la macchina è completa, uno dei due apre una portiera e osserva, stupito, un cadavere che rotola fuori dal nulla.
Nonostante il maestro del brivido non abbia mai girato la scena sopra citata, possiamo considerare Gli uccelli come l’opera più vicina ad una simile scelta tematica: l’assalto dei volatili che graffiano la pellicola a forza di strida, becchi e voli in picchiata resta un avvenimento impermeabile alla ragione, esattamente come la presenza di un cadavere in un’automobile appena costruita. La furia dei pennuti si sottrae cocciutamente ad ogni eziologia possibile, dalle parole incredule degli ornitologi alle visioni apocalittiche dei dunkhards, abbandonando lo spettatore alla mercé di un avvenimento terribile nella sua incomprensibilità. È proprio all’interno del reame dell’assurdo, sospeso tra il miracoloso e il diabolico, che la suspence si muta in angoscia, e il thriller in vero e proprio horror.
Gabbiani, passeri e corvi, rappresentati mediante effetti speciali non sempre invecchiati alla perfezione, costituiscono una minaccia capillare e organizzata, capaci di disporsi in schiere e raccogliersi pazientemente prima di investire, in una frenesia di piume, gli ignari esseri umani. Anche la grammatica del racconto si modifica in accordo col cambio di tono, e alcuni momenti del film vengono a fondare, inconsciamente, cliché futuri: la scena dell’assalto finale, con i protagonisti intenti a sbarrare porte e finestre del loro rifugio con assi di legno, anticipa di cinque anni le barricate di Romero in L’alba dei morti viventi, creando il blueprint per i climax di un intero sottogenere.
Sotto la patina di assurdo adagiata sulla narrazione si nascondono però, intatti, i più classici meccanismi hitchcockiani: al centro dell’intreccio troviamo una storia d’amore borghese dagli echi freudiani, con la donna sdoppiata tra il ruolo di amante imprevedibile e madre possessiva. Forse è proprio qui lo scollamento che rende la pellicola capace di ritagliarsi un posto nei ricordi dello spettatore: la storia d’amore di una coppia americana stereotipica, costretta a fronteggiare una piaga d’Egitto postmoderna.
Gregorio Zanacchi Nuti, Cineteca di Bologna, cinefiliaritrovata.it

Critica (2):Cinquantesimo titolo di Hitchcock, lavoro sottile e complesso che fa seguito al più grande successo del regista, Psyco, The Birds è un film molto diverso, e non solo perché questa fantasia apocalittica è la sua opera più astratta, come ha notato Dave Kehr, ma anche perché il passaggio dal bianco e nero al colore e al formato widescreen va di pari passo con l’astrazione. La stessa astrazione si estende a cosmici campi lunghi degni di un Kiarostami che sembrano posti più come questioni filosofiche che come risposte retoriche. E non appena ci accorgiamo che i capelli biondi e il tailleur verde dell’insolente eroina, Melanie Daniels (Tippi Hedren), sono coordinati alla coppia di pappagalli inseparabili che la giovane porta a Bodega Bay per proseguire l’elaborato duello di sarcasmo e seduzione avviato con l’indisponente estraneo Mitch Brenner (Rod Taylor), è già chiaro che Hitchcock ha in mente qualcosa di metafisico, oltre che fisico.
Ciò che mantiene il suo spaventoso spettacolo così imprevedibile è che la spiegazione del comportamento aggressivo degli uccelli non arriva mai. (Nelle interviste Hitchcock disse che The Birds era un film sull’“autocompiacimento”, senza specificare se si riferisse ai personaggi, al pubblico, o a entrambi). Quello che invece arriva, in un possibile parallelismo con Psyco, è l’arbitraria premessa drammatica della violenza assassina. L’improvvisa fuga dalla città di un’eroina bionda diventa un’immersione nella natura selvaggia, un viaggio verso l’inspiegabile e irrazionale furia della giustizia divina, in qualche modo associata agli uccelli impagliati nell’ufficio di Norman Bates.
Quando ci viene detto che gli uccelli hanno colpito anche Santa Rosa, cogliamo un riferimento di Hitchcock a L’ombra del dubbio, suo precedente studio a doppio taglio su una famiglia disfunzionale in una cittadina della California. Richiamando le rime interne di quel film tra una nipote e uno zio entrambi chiamati Charlie (Teresa Wright e Joseph Cotten), The Birds giustappone personaggi resi più forti (come Melanie) e/o più deboli (come la madre di Mitch, Jessica Tandy) da una crisi morale condivisa e circondati da vicini eccentrici dai diversi temperamenti.
Jonathan Rosenbaum, ilcinemaritrovato.it

Critica (3):Se si hanno occhi per vedere, orecchie per ascoltare e un cuore per sentire, Gli uccelli è un film magnifico. Di una bellezza ammaliante che, secondo il procedimento caro a Hitchcock da La finestra sul cortile e messo a punto con Vertigo, ci trascina lentamente, dolcemente, ma irresistibilmente, dalla dimensione del quotidiano verso i territori lontani del fantastico. È un film musicale. Inizia con un andante piacevole, grazioso, seducente, che con una minima modulazione, diventa poco a poco grave, strano, angosciante. Poi improvvisamente esplode un allegro vivace, vorace, rapace, che a sua volta si appesantisce, assumendo risonanze terrificanti. Infine, si conclude con una corona tra le più minacciose che si possano immaginare. (...) Questo film – il più compiuto, il più meditato, il più profondo di Hitchcock, insieme a Psycho – è l’austera riflessione di un uomo che si interroga sui rapporti tra l’umanità e il mondo. Rapporti considerati da tutte le possibili angolazioni, tanto quella metafisica, occulta, filosofica, scientifica, psicanalitica (in questo film la psicanalisi è fondamentale) quanto semplicemente quella naturale. Riflessione pessimista, apocalittica. È la più grave accusa contro la nostra società materialista, alla quale non accorda che poche speranze prima della catastrofe.
Jean Douchet, ilcinemaritrovato.it

Critica (4):
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