Louisiana - Louisiana
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Regia: | Minervini Roberto |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Roberto Minervini, Denise Ping Lee; fotografia: Diego Romero Suarez-Llanos (Diego Romero); montaggio: Marie-Hélène Dozo; operatori Valerio Azzali, Diego Romero Suarez-Llanos; organizzazione: Linda Trichell; suono: Bernat Fortiana Chico; montaggio del suono: Ingrid Simon; mix: Thomas Gauderi; interpreti: Mark Kelly, Lisa Allen, James Lee Miller; prodotto da: Muriel Meynard, Paolo Benzi, Dario Zonta; produzione: Agat Films & Cie, Okta Film in coproduzione con ARTE France Cinéma con Rai Cinema con la partecipazione di MYmovies.it; origine: Francia / Italia, 2015; durata: 92' |
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Trama: | In un territorio invisibile, ai margini della società, sul confine tra illegalità e anarchia, vive una comunità dolente che tenta di reagire a una minaccia: essere dimenticati dalle istituzioni e vedere calpestati i propri diritti di cittadini. Veterani in disarmo, adolescenti taciturni, drogati che cercano nell'amore una via d'uscita dalla dipendenza, ex combattenti delle forze speciali ancora in guerra con il mondo, giovani donne e future mamme allo sbando, vecchi che non hanno perso la voglia di vivere. In questa umanità nascosta si aprono gli abissi dell'America di oggi. |
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Critica (1): | L’America in corto circuito, paranoica, disorientata dalla paura di non essere ascoltata e protetta, ossessionata dalla minaccia di un fantomatico attacco militare del governo stesso, disposta a cercare rifugio e sollievo tra droga e armi. L’America più fragile e sconcertante, che nessuno racconta e nessuno vuol vedere, ma che Roberto Minervini, marchigiano di origine ma di casa in Texas, quarto italiano sulla Croisette, ha il coraggio di fotografare, raccontare, capire, mai giudicare, con un atteggiamento di grande empatia con i personaggi che accettano di concedersi all’obiettivo. Vicino al cinema di Gianfranco Rosi, lontanissimo da quello di Michael Moore perché a Minervini gli slogan politici non interessano.
Louisiana, che il direttore del Festival di Cannes, Thierry Fremaux ha selezionato per Un certain regard (dove il presidente di giuria è Isabella Rossellini, un’altra italiana che vive negli Usa) perché è anche un dovere morale testimoniare il lato oscuro di un paese ansioso di tramandarci un’immagine di sé forte e rassicurante, è un vero pugno nello stomaco.
Tre quarti del film, distribuito nelle sale da Lucky Red il 28 maggio, sono dedicati infatti a una coppia di tossicodipendenti che si amano si iniettano droga, piangono, ridono, parlano delle proprie paure. «Mark e Lisa – racconta Minervini – si sono completamente abbandonati a me nei momenti belli e in quelli difficili. C’è stato un dialogo continuo tra noi, il mio obiettivo era quello di mostrare la loro purezza d’animo, la loro paura e a tale scopo ogni giorno decidevamo cosa fare insieme. Dirigere un documentario come se fosse un film di finzione, con lo stesso lavoro di costruzione, nulla toglie alla verità di ciò che viene mostrato. Io trascorro molto tempo a osservare, ho girato 150 ore in cinque mesi. Poi in fase di montaggio cerco di capire che storia posso raccontare con il materiale che ho a disposizione». Ma alcuni momenti sono davvero scioccanti, come quello della donna incinta che si droga e si esibisce in una lap dance o quello delle iniezioni sul seno. Immagini che non mettono in discussione la purezza dello sguardo del regista, ma che costringono lo spettatore a distogliere il proprio e a chiedersi se sia davvero necessario mostrare da vicino tanto squallore. Minervini spiega così la loro necessità: «Il mio sogno era diventare un reporter di guerra, testimone di quello che non si vede nella foto. Essere parte di qualcosa di molto più grande e sentirmi piccolo. A quel sogno ho rinunciato per mia moglie e i miei figli. Il cinema, che invece spinge a sentirsi troppo grandi, e quindi soli, è stata per me una seconda scelta, più facile. Ma le immagini che ho mostrato in Louisiana sono proprio come le foto scioccanti dei reporter di guerra, quelle che mostrano la punta dell’iceberg, rimandano a qualcosa di molto più grande e profondo, hanno il compito di scuotere lo spettatore, sollecitare il dibattito. Spero di essere riuscito a raccontare delle storie che vanno al di là dello shock delle immagini».
L’ultima mezz’ora del film è dedicato invece ai sempre più numerosi gruppi paramilitari che in America si preparano a fronteggiare una possibile legge marziale imposta dal governo per controllare le continue rivolte popolari contro l’amministrazione Obama. «Le nuove generazioni hanno l’impressione che gli Stati Uniti non abbiano mai smesso di fare la guerra. Negli ultimi anni i media hanno regalato un’immagine glamour dell’esercito, ormai esistono centri di reclutamento vicino ai supermercati e al parco giochi dei bambini. E se i veterani del Vietnam sono vittime della politica guerrafondaia americana, i reduci di oggi sono ventenni spesso disabili e tossicodipendenti, ragazzini che ossessionato dalla teoria del complotto trascorrono la loro giovinezza preparandosi alla battaglia. Per loro provo una profonda tristezza ed empatia».[...]
Alessandro De Luca, Avvenire, 22 maggio 2015 |
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