Duello a Berlino - Life and Death of Colonel Blimp (The)
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Regia: | Powell Michael, Pressburger Emeric |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Michael Powell, Emeric Pressburger; fotografia (colore): Georges Périnal; operatori: Jack Cardiff, Geoffrey Unsworth; musica: Allan Gray; suono: C.C. Stevens; montaggio: John Seabourne; consulente militare: generale Douglas Brownrigg; interpreti: Anton Walbrook (Theo Kretschmar-Schuldorff), Roger Livesey (Clive Candy), Deborah Kerr (Edith/Barbara/Angela), Roland Culver (colonnello Betteridge), James McKechnie (Spud Wilson), Albert Lieven (von Ritter), Arthur Wontner (consigliere), David Hutcheson (Hoppy), Ursula Jeans (Frau Kalteneck), John Laurie (Murdoch), Harry Welchman (maggiore Davis), Reginald Tate (Van Zijl), A.E. Matthews (il presidente), Carl tasse (von Reumann), Valentine Dyall (von Schonbron), Muriel Aked (zia Margaret), Felix Aylmer (il vescovo), Frith Banbury (Babyface Fitzroy), Neville Mapp (Graves), Vincent Holman (il portiere del club nel 1942), Dennis Arundell (il direttore d’orchestra), James Knight (il portiere del club nel 1902), David Ward (Kaunitz), Eric Maturin (colonnello Goodhead), Robert Harris (il segretario d’ambasciata), Count Zichy (colopnello Berg), Jane Millican (l’infermiera), Phyllis Morris (Pebble), Diana Marshall (Sybil); produzione: Michael Powell, Emeric Pressburger, per The Archers; origine: Gran Bretagna, 1943; durata: 163’. |
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Trama: | Tra Clive Candy, un giovane ufficiale inglese e Theo Kretschmar-Schuldorff, tenente del 2° Ulani nasce una forte amicizia che durerà tutta la vita passando indenne tra le due guerre e l’amore per la stessa donna. |
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Critica (1): | Tre guerre e tre donne: un solo codice morale, una sola amicizia e un solo volto – quello di Deborah Kerr – che interpreta per tre volte gli amori perduti di Clive-Blimp. Ma questa perdita esplicita è anche l’immagine di un’altra rinuncia, che si inscrive per noi in una tradizione di racconti della perdita (o dell’elegia) dei valori ritenuti inglesi, ma che sono probabilmente universali.
Duello a Berlino (The Life and Death of Colonel Blimp) è senza dubbio il film più importante di Powell, anche se lui preferiva Scala al Paradiso (A Matter of Life and Death, 1946) e se in Francia L’occhio che uccide (Peeping Tom) è molto più conosciuto. Alla sua uscita, Andrew Sarris paragonava il film a Quarto potere (Citizen Kane, 1941 di Orson Welles), mentre oggi noi pensiamo piuttosto a Quel che resta del giorno (The Remains of the Day, 1993 di James Ivory), con il quale ha in comune la costruzione a flashback, la commistione di rifiuto e simpatia, la chiarificazione del presente attraverso il passato e un piacere evidente nel mostrare la bellezza degli esseri e delle cose. In particolare, i due film raccontano, sognano e meditano il doppio scacco amoroso di un uomo che si è avvicinato al potere e lo spettatore si chiede se bisogna sorridere, condannare o ammirare queste vite esemplari, nel doppio senso del termine. In entrambi i casi, si tratta di interrogare una certa idea dello spirito inglese (Englishness), e, oltre a questo, tutta una serie di valori messi in crisi. Al contrario Ishiguro, Ivory, Merchant, Prawer Jhabvala (nell’ordine: autore del romanzo da cui è tratto il racconto, regista, produttore e sceneggiatore di Quel che resta del giorno, n.d.r.) sono più precisamente non inglesi. E mirano a una forma di universalità: come precisa Ishiguro, “noi siamo tutti maggiordomi”. Al contrario, niente di più autenticamente inglese di Michael Powell, anche se bisogna guardarsi dal prendere Duello a Berlino per un film storico e datato.
Per capirlo, conviene ritornare alla sceneggiatura e alla sua genesi. Nel 1942, il disegnatore David Low aveva inventato il colonnello Blimp, un vecchio imbecille che serviva a mettere in ridicolo l’inefficienza e le titubanze dei militari di alto rango: «I pungenti attacchi di Low contro Chamberlain e la sua banda di pacifisti non aveva eguali se non nel suo modo di trattare Hitler e la sua banda di gangsters e di assassini» (Powell, A Life in Movies, Heinemann, Londra, 1986, p. 398). Il secondo spunto originario del film è una scena di Volo senza ritorno (One of Our Aircraft is Missing, 1942) nel quale un maturo pilota ricorda al suo allievo che anche lui è stato un soldato giovane e pieno di vita… In breve, si trattava di ricostruire l’itinerario del vecchio Blimp nell’arco di quarant’anni, vale a dire tre guerre, tre donne e una lunga amicizia. Tutto comincia con un’immagine familiare per i lettori dell’epoca: Blimp sonnecchia ai bagni turchi in attesa che cominci un’esercitazione in programma per la mezzanotte. Ma, invece di dirigere le operazioni, viene messo agli arresti da un giovane soldato ambizioso che «utilizza la strategia di Hitler attaccando prima che la guerra sia stata ufficialmente dichiarata». Per combattere la barbarie nazista, bisogna dunque comportarsi come dei nazisti? Il film sembra rispondere di sì, allo stesso modo, ma ci fa comprendere e amare chi fatica a prendere questa decisione. Come in Quel che resta del giorno questa posta in gioco politica e morale è intrecciata in una rete affettiva e sentimentale. Powell vi vede «un film molto personale» e in effetti il racconto deve molto all’amicizia tra il regista e il suo sceneggiatore ungherese Emeric Pressburger (essi avrebbero potuto combattere in due campi opposti), mentre le riprese erano influenzate del rapporto amoroso tra Powell e Deborah Kerr. Senza dubbio il film coinvolge anche oggi, perché dice più cose contraddittorie allo stesso tempo; è «un omaggio a tutto ciò che gli inglesi hanno di paradossale», Blimp è un personaggio grottesco che organizza battaglie a tavolino e decide le regole senza preoccuparsi della realtà dei combattimenti. Sono quelli come lui che hanno perduto le prime battaglie contro il nazismo, ovunque in Europa. La loro casta decaduta ha permesso ciò che è successo a Monaco e ha portato all’umiliazione di Dunkerque. Sono ancora fermi a una concezione della guerra in abiti cangianti e, per loro, la guerra è “il re degli sport”. Rispettano i loro nemici, sono dei perdenti eccellenti e sono convinti che right is might (il diritto è potere): quelli che sono dalla parte della ragione non possono perdere (piuttosto si dovrebbe dire might is right: è la forza che fa il diritto). Il loro modello è la guerra perduta ma gloriosa (guerra di gentlemen con la sua messe di decorazioni al valore) condotta contro i Boeri.
Ma le guerre del XX secolo, dal 1914, sono diverse. Si è passati dalla guerra di gentlemen alla guerra totale, alla “guerra di popolo” che uccide i civili e i bambini sullo stesso territorio inglese. Si fronteggia un nemico che non rispetta più alcuna regola, e il film dà presto degli esempi di questi cambiamenti nell’episodio che Powell e Pressburger chiamano gli “anni kaki”, gli anni 1914-1918, dove tutti i colori della vita sembrano essere scomparsi nella melma e nel sangue. Da qualche parte nelle Fiandre, Blimp raggiunge l’“Estaminet du pont” trasformato in quartier generale dove il sudafricano Van Zijl sta per interrogare undici soldati tedeschi con metodi diversi da quelli di Blimp, come egli dichiara in un dialogo tagliato su richiesta del ministero dell’Informazione: “So come trattare l’immondizia della vostra specie. Io non sono un gentleman comune, sono un sudafricano comune…”
Van Zjil fa fucilare degli ostaggi presi a caso, e, certamente, i prigionieri parlano. Il messaggio è chiaro: è necessario sporcarsi le mani. Più avanti, in un altro passaggio tagliato, Clive apprende con rabbia ciò che è accaduto e va in collera: “Questa informazione è stata ottenuta con l’intimidazione! La tortura mentale! Il plotone d’esecuzione! Se noi combattiamo contro dei gangsters, non è una buona ragione per comportarci anche noi come gangsters” (dalla sceneggiatura, Faber&Faber, Londra, 1994, p. 209). È lo stesso linguaggio che Angela userà contro Spud, il giovane soldato del 1942.
Spud: «Andiamo a catturarlo. La guerra comincia a mezzanotte! Andremo a beccarlo qualche ora prima! Sistemi nazisti, come vedi».
Angela: «Ma tu non sei un nazista».
Spud: «Non ci stiamo esercitando per combattere contro degli Inglesi».
Ha ragione, ma Angela rifiuta di mettere in ridicolo il vecchio e ricade, a sua volta, in un genere d’ironia caratteristico di tutto il racconto, infrangere le regole del gioco sminuendo colui che ama. Allora, chi ha ragione tra Spud e Angela? Di sicuro entrambi, ed è ciò che rende il film così sconcertante. Ian Christie precisa: «Secondo Powell e Pressburger sembrava evidente che il Blimpismo non era per niente negativo. Di fatto avevano innestato altri valori sull’immagine fortemente satirica disegnata da Low: la costanza, la lealtà, il coraggio, il senso dell’onore e dell’ospitalità».
Già nel 1942, Powell e Pressburger affermavano: «Crediamo che siano delle virtù magnifiche: così magnifiche che per difenderle meritano che le si metta da parte finché non abbiamo vinto questa guerra». Vale a dire che Blimp il soldato non è sufficiente a condannare Clive Candy, l’uomo.
Ma il cuore del film (soprattutto dopo The Remains) mostra che Blimp (come Steve con miss Kenton) a forza di avere i buoni riflessi di “cultura, cortesia e buona creanza”, dimentica di vivere per se stesso. È la sua vita, sono le sue emozioni che diventano eufemismi di vita e di emozioni. Blimp manca il presente e non può che rimpiangere il passato perduto, o sognare un ipotetico avvenire; per tre volte ha lasciato fuggire la felicità che si presentava sotto i tratti dei tre volti di Debora Kerr: non ammettendo di amare Edith Hunter, perdendo sua moglie e scegliendo troppo tardi la bella Angela. Quello che gli resta è una specie di dignità ridicola e superba che finisce con un abbozzo di risata: come Stevens (nell’opera di Ishiguro) si ripromette di imparare a scherzare (“bantering”!), Blimp riconosce con una piccola risata che la sua umiliazione è semplicemente comica. Ci lascia il ricordo caldo della sua cultura e una piccola musica interrogativa che dice che anche noi, forse, non abbiamo saputo amare.
Dominique Sipière, Positif n. 532, 6/2005 (traduzione Angela Cervi) |
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| Michael Powell Emeric Pressburger |
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