Partigiano Johnny (Il)
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Regia: | Chiesa Guido |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Guido Chiesa, Antonio Leotti; scenografia: Davide Bassan; fotografia: Gherardo Gossi; montaggio: Luca Gasparini; musiche:Alexander Balanescu; costumi: Marina Roberti; suono: Fabio Felici; interpreti: Stefano Dionisi (Johnny), Fabrizio Gifuni (Ettore), Claudio Amendola (Nord), Felice Andreasi (Mugnaio), Umberto Orsini (Pinin), Chiara Muti (Elda), Giuseppe Cederna (Nemega), Barbara Lerici, Andrea Prodan; produzione: Fandango; distribuzione:Fandango; origine:Italia, 2000; durata:135’. |
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Trama: | Dopo l'8 settembre Johnny, studente universitario di letteratura, rientra in divisa nella natia Alba (CN). Deciso a combattere contro il nazifascismo, si avvia solitario nelle Langhe dove si unisce prima ad una banda di “garibaldini” (comunisti), poi ad una formazione di “azzurri” (monarchici), ed è disilluso da entrambi. Si ritrova a passare da solo il duro inverno del '44, ma scopre la vera ragione d'essere partigiano... |
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Critica (1): | A mio modesto parere, trovo che Il partigiano Johnny sia il massimo capolavoro della letteratura italiana del ‘900, per l’intensità del racconto, la ricerca linguistica del testo e la grande forza dell’uomo Fenoglio che traspare in ogni riga di questo meraviglioso romanzo. La resistenza è stata una pagina triste e importante della nostra storia patria e in pochi (penso a Calvino e al suo “Il sentiero dei nidi di Ragno”, ad esempio) sono riusciti a descriverne la durezza e allo stesso tempo la poesia. Nel corso degli anni, poi, revisionismi politici e culturali hanno fatto della storia partigiana un argomento da affrontare sempre con le molle e spesso chi lo ha fatto ha rischiato di andare incontro a grosse critiche, soprattutto in ambito cinematografico. Negli ultimi anni basti ricordare proprio qui a Venezia le severe accoglienze riservate a Porzus e I piccoli maestri, al di là del risultato artistico dell’opera. Guido Chiesa sapeva benissimo, quindi, a cosa andava incontro nel momento in cui ha deciso di confrontarsi con un testo e una Storia del genere, dimostrando ancora una volta che il coraggio a lui non è davvero mai mancato, dai suoi primi cortometraggi, passando ai lavori in video, al suo difficile e interessantissimo Babylon, lungometraggio invisibile per il pubblico italiano, fino ai Materiali resistenti realizzati con Davide Ferrario, documento importante proprio sulla nostra guerra civile.
Il partigiano Johnny di Chiesa va visto quindi nell’economia di un nostro autore, sommerso come tanti altri, che ha portato sullo schermo una storia senza la paura di essere giudicato, lavorando con la sua idea di cinema e facendo un film vero, raccontando i dubbi, le speranze, le paure di ragazzi alle prese con qualcosa di enormemente grande, ma di cui dovevano far parte, per dimostrare a se stessi che c’era bisogno anche di loro in un momento di tragica confusione. Ragazzi coraggiosi, come è stato una volta di più Guido Chiesa, autore di un film denso di materia, in cui le sensazioni passano attraverso lo schermo, in cui si sente il freddo dell’inverno e ci si bea nel vedere l’orizzonte alla fine delle Langhe, in cui la morte arriva insieme a uno sparo improvviso e la vita dev’essere presa in un momento di dolcissima debolezza. Tutto questo narrato con i tempi forse giusti, questo lo sa solo chi quei giorni li ha vissuti sul serio e si era ormai abituato alle lunghe attese e a improvvisi incontri di cui ognuno poteva essere l’ultimo. Posso solo dire che mi sono sentito vicino a Johnny ancora una volta. Ed è stato di nuovo un compagno insostituibile.
Alessandro De Simone, Rivista del cinematografo.it |
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Critica (2): | Le Langhe sono una zona piuttosto strana e difficile da penetrare, sia in senso geografico sia per quanto riguarda la mentalità della gente. Che sia difficile da conquistare militarmente, ai tedeschi ormai è chiaro: durante l’ultima guerra hanno patito i sorci verdi e adesso si stanno prendendo una rivincita postuma comprando uno dopo l’altro casali, cascine, castelli, vigneti e imponendo che anche la più sperduta delle trattorie esibisca il proprio menu in italiano e in tedesco. Per quanto riguarda la gente, il tratto più comune è una diffusa riluttanza a dare confidenza, una tendenza atavica a risolvere i problemi senza chiedere niente a nessuno. Se non si hanno presenti questi due capisaldi, non si può capire perché Fenoglio sia uno degli scrittori più importanti del secolo: o. meglio, non si capisce bene quale sia stato il suo retroterra culturale. Individualista, pessimista, il suo partigiano Johnny anticipa i “ribelli senza causa” che il cinema americano renderà poi famosi con i volti di James Dean e dei suoi coetanei.(…)
Fare i conti con Fenoglio non è certo impresa facile, e infatti fino ad oggi non si era cimentato quasi nessuno. Guido Chiesa mette in scena il suo romanzo preferito agendo per sottrazione: lo stile di ambientazione non si rifà al neorealismo (e questo è un bene) ma direi piuttosto ai combat film, la fredda ostilità della collina in inverno è resa con grande efficacia, la secca brutalità dei combattimenti metabolizza al meglio la lezione dell’ultimo cinema di guerra che viene dagli Stati Uniti. Non ho molto amato il cartello rosselliniano sul quale finisce il film (“Due mesi dopo la guerra era finita”, una frase simile a quella che conclude Paisà), non per lesa maestà ma perché Rossellini non c’entra per niente. Ho trovato notevoli le ambientazioni contadine e meno riusciti gli ambienti borghesi, ma forse dovevano risultare sgradevoli (e comunque ci sono riusciti). Mi è piaciuta l’idea di agire per sottrazione, di rendere il più l’idea del “mondo dei vinti” (titolo di un altro libro che racconta le stesse terre). Nella Martini Mauri (la brigata azzurra cui aderisce Johnny) c’era anche un attore, Folco Lulli, che fu partigiano combattente e che dopo la guerra interpreterà prevalentemente ruoli di gerarca fascista. Anche in questa metafora cinematografica si legge la difficoltà di fare un film da quel soggetto: onore a Guido Chiesa per averci provato.
Stefano della Casa, Kataweb cinema |
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