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Uomini semplici - Simple men


Regia:Hartley Hal

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Hal Hartley: fotografia: Michael Spiller; musica: Ned Rifle; montaggio: Steve Hamilton; scenografia: Don Oullette; costumi: Alexandra Welker; suono: Jeff Pullman; interpreti: Robert Burke (Bill McCabe), William Sage (Dennis McCabe) Karen Sillas (Kate), Elina Lowensohn (Elina), Martin Donovan (Martin), Mark Chandler Bailey (Mike); produzione: Ted Hope e Hai Hartley per Zenith & American Playhouse Theatrical Films/Fine Line Featuresl Film Four IntI./Bim Distr./True Fiction prod.; distribuzione: BIM; origine: USA, 1992; durata: 106'.

Trama:Due fratelli americani - un rapinatore fallito e uno studente di filosofia - si ritrovano dopo anni di lontananza per andare insieme alla ricerca del padre, ex campione di baseball e militante anarchico evaso dal car
cere in cui era rinchiuso dal 1968 con l'accusa di aver compiuto un attentato terroristico. Durante il breve tragitto che li porta da Manhattan a Long Island i due fratelli incontrano una bizzarra galleria di personaggi dell'America marginale. Infine ritrovano il padre che si accinge a fuggire a bordo di una barca.

Critica (1):Un film erratico. Un film nomade e randagio. Un film in perenne movimento, agitato al suo interno da una continua vocazione a sbandare, a uscire di pista, a insinuarsi in varchi e in deviazioni laterali. Se c'è una cifra stilistica che caratterizza in maniera specifica il cinema di Hal Hartley è davvero l'erranza. Di ritmo, di stile, di sensibilità. Perchè Harley racconta le sue microstorie (le sue "schegge"?) basandosi su un "principio di incertezza" che ha la capacità di destabilizzare con incessante eleganza ogni strategia previsionale di spettatore. Nel cinema di Hartley non si trova mai quel che ci si aspetta, si ritrova piuttosto il gusto di scoprire ogni volta, ad ogni sequenza, una soluzione nuova o uno sviluppo inatteso. Personaggi che entrano ed escono dalla storia come per caso, apparentemente senza motivo. Indizi che si perdono. Discorsi che si interrompono. Sentimenti che si squagliano. Dominato da una estrema libertà inventiva e da una straordinaria disponibilità ad accogliere tutti i materiali per via logica o analogica finiscono per intrecciarsi con la quête dei protagonisti, Uomini semplici è un film fatto di ripetizioni, microsorprese e discontinuità. Ripetizioni: personaggi che ripetono brandelli di frasi, situazioni che reduplicano altre situazioni già viste o vissute in precedenza, coppie maschili che si rispecchiano in coppie femminili. Microsorprese: nel fuoricampo c'è sempre in agguato qualcosa che può irrompere da un momento all'altro nella storia, spingendola verso altre direzioni. Discontinuità: niente a che vedere con la struttura classico-progressiva del cinema hollywoodiano, basato sullo sviluppo canonico di un intreccio che tende a un punto di climax e al successivo scioglimento. II pregio di Hartley è quello di essere "marginale" non per caso. Di fare scelte espressive e narrative che sono tutte esplicitamente e consapevolmente contro l'estetica dominante nella Hollywood degli anni Novanta. L'anarchia del vecchio padre fuggiasco (che per inciso legge ai figli una pagina del libertario italiano Enrico Malatesta) diventa per Hartley quasi un programma estetico: perchè in Uomini semplici non ci sono gerarchie di senso, istituzioni sintattiche o poteri drammaturgici centralizzati. C'è al contrario, una libera giocosa e liberatoria dispersività. Assieme al gusto - sempre sussurrato e mai esibito - della marginalità. E non solo perchè Hartley racconta storie di drop out (sceriffi che regalano medagliette della Madonna al rapinatore colto con le mani nel sacco, benzinai che si rivolgono ai clienti parlando in francese, fanciulle fragili, esili e complesse), ma perchè filma la vita e l'America con occhio volutamente periferico. Perchè è attento alla superficie delle cose piuttosto che al loro centro. Perchè ama i suoi personaggi ossessionati e smarriti. E perchè riesce, dietro un apparente minimalismo descrittivo ad impartire lezioni di vita. "Non saranno mica soldi sporchi?", chiede la madre sospettosa al figlio rapinatore. E lui candido: "Perchè esistono anche soldi puliti?". La battuta- ci si passi l'accostamento ardito - evoca la radicalità di L' argent di Bresson, ma è calatain un humus stilistico che richiama piuttosto un ibrido fra Godard, Kaurismäki e Almodovar. Freddo, provocatorio, limitare. Sottilmente ironico. E deliziosamente capace di rovesciare i paradigmi mentali e visivi dominanti. Immagini nitide, scrittura limpida, dialoghi brillanti: forse la semplicità evocata dal titolo sta proprio qui, nello stile. ma è davvero una "semplicità che è difficile a farsi". E che richiede una totale disponibilità a lasciarsi andare alla deriva. Forse, proprio in questa "figura" (la deriva) Hartley ha trovato l'ultima forma possibile di road movie: quella di un percorso labirintico e browniano dentro il cinema, le sue fughe i suoi desideri e i suoi infiniti guai. Il cinema: nel finale del film, quando il vecchio padre anarchico e malatestiano si accinge a fuggire dal mondo (da questo mondo) a bordo di un battello, viene evocato non a caso il mito di "Tara" e, quindi, il ricordo di Via col vento. Forse proprio dalla partenza di quella barca, dal suo (falso?) movimento, sta nascendo una piccola, possibile e orgogliosamente indipendente nouvelle vague americana.
Gianni Canova, Segno cinema n. 59 gen-feb. 1993

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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