Legge del desiderio (La) - Ley del deseo (La)
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Regia: | Almodóvar Pedro |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Pedro Almodóvar, fotografia: Angel Louis Fernandez; musica: Igor Stravinskij Dmitrij Shostakovich, e canzoni varie; montaggio: Josè Salcedo; scenografia: Javier Fernandez; costumi: Josè Maria Cossio; interpreti: Eusebio Poncela (Pablo Quintero), Carmen Maura (Tina Quintero), Antonio Banderas (Antonio Benitez); Miguel Molina (Juan Bermudez), Manuela Velasco (Ada piccola), Bibi Andersen (Ada madre), Fernando Guillen (l'ispettore), Nacho Martinez (dr. Martin), Helga Liné (madre di Antonio; produzione: Ester Garcia; distribuzione: BIM; origine: Spagna, 1987; durata: 101'. |
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Trama: | Pablo, regista di successo, ama Juan (che non ricambia come richiestoli) ed ha una sorella che era un fratello (inalo), traumatizzata dagli uomini da quando perse il padre che era anche il suo amante. Pablo è amato perdutamente da Antonio che arriva persino ad uccidere, in nome della passione. |
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Critica (1): | "...Non è un film sull'omosessualità... Romeo e Giulietta - di Zeffirell i - è un film sull'omosessualità... Genet non è mai omosessuale... Non è perché ci sono due uomini, al posto di un uomo e una donna, che si amano, che un film si può definire omosessuale...".
Ogniqualvolta esce o viene presentato a un festival un film di Pedro Almodóvar - 36enne, nativo della Mancha, naturalizzato madrileno - le frasi ad hoc, gli aforismi, i paradossi, le furbe e surrealistiche boutades si sprecano. Vuoi per il personaggio di "ribelle", vuoi per i temi "scabrosi" delle sue opere, vuoi per l'esigenza dell'autore spagnolo di voler rappresentare una specie di nuovo maudit del Cinema Europeo, erede (ma non tropo), del compiantissimo Rainer Werner, cui ci sembra lontano, almeno un palmo.
Se il papà di Fassbinder era Sirk, per lo "scapigliato" Pedro siamo dalle parti di Billy Wilder (e non a caso, il film di cui sta approntando l'edizione definitiva, Donne al limite dell'esaurimento nervoso, è una commedia di sentimenti tutta "giocata" sul ritmo, sulla scorta delle visioni del cuore del discepolo: leggi, per tutte, A qualcuno piace caldo). La pelicula n. 6 di Almodóvar, La legge del desiderio (La ley del deseo, 1987), presentata a sorpresa (e con conseguente ottimo riscontro critico) al Festival di Berlino dello scorso febbraio, non sfugge alla regola di melodramma "a tinte forti". In fondo, niente di sconvolgente: l'operazione ha il suo fascino, nel processo di normalizzazione di una materia altrove "manipolata" con più morbosità e compiacimento.
E così, ecco che in un'atmosfera di "scontata" accettazione, (ri)troviamo quei personaggi cari al cinema di Almodóvar, cioè uomini e donne che possono essere ora scrittori, ora suore, ora matador ma che vivono sempre in situazioni esasperate ed eccessive, provocatoriamente, e in perenne lotta contro il sistema. Piccole rivoluzioni, intendiamoci, mirate essenzialmente a modificare i rapporti porti tradizionali, canonici, in una socie che (e questo é il caso di ammetterlo) di passi in avanti, negli ultimi vent'anni, ne ha compiuti parecchi. La legge del desiderio risulta essere un film felice non solo per il discorso accennato, quello della normalità che fa da sfondo ad una situazione abbastanza sui generis. La felicità deriva, in special modo, da mille trovate, quasi fossero piccoli elementi di un gioco che a volte sfora nei meandri eccitanti della pericolosità, del simbolismo di bunueliana memoria, dell'eccentricità figlia di una cultura dai caratteri "forti" e, per motivazioni storiche note, metaforico-dipendente. Due sono le scene che si ricordano, in questo film dall'accumulazione non retorica, affastellato e affastellante: la prima, dove un giovane, bello e nudo, su un letto, si appresta a seguire scrupolosamente le direttive di una voce fuori-campo che lo invita a toccarsi, a godere; sembra di trovarsi catapultati nel variegato mondo del pomo ma una sala di doppiaggio, immediatamente dopo, ci invita a soffermarci su due uomini sudaticci e attempati che nel buio (quel buio "affaticante' che molti attori conoscono) cercano di rendere credibile la scena (il cinema). È l'ultimo lavoro di Pabli Quintero, professione: regista. E il finale, con un rapimento come estremo e disperato tentativo di gridare il proprio amore, quello di Antonio per Pablo: asserragliati in casa e, sotto, la polizia... impotente (e Buñuel a sovrintendere i "lavori"). Il fatidico giudizio di ogni spettatore, all'uscita dal cinema - "mi é piaciuto... non mi é piaciuto..." - dipende, si sa, da innumerevoli fattori, molto soggettivi, che spaziano dai gusti personali alla gastrite di una sera, dal mal di testa del sabato alla predilezione di un genere. Nel corso delle pellicole di Almodóvar, questa specificità del cinema e/o di qualsiasi altro spettacolo "fuori casa", assume ancor più rilevanza: non perla tanto annunciata "scabrosità" ma per l'assolutezza delle situazioni, dei personaggi, dei cori interni del film. In sostanza, oltre a arselo piacere", Almodóvar "imbroglia" un po le cose perché ti chiede complicità.
Non vorremmo - perché, lo confessiamo, ci annoia - a questo punto, cadere nel frequentato discorso della censura di mercato, eccetera, eccetera. Non vorremmo, ma siamo "costretti", un'altra volta, a rammaricarci della mancata distribuzione delle precedenti "cinque fatiche" di Pedro Almodóvar. Matador (1986), Che cosa ho fatto per meritarmi questo? (1984), Tra le tenebre (del 1983, presentato alla Mostra di Venezia e uscito, questo sì, ma con il fuorviante titolo Il fascino indiscreto del peccato e solo in due o tre città e, naturalmente, in piena estate), Labirinto di passioni (1912) e Pepi, Luci, Bom e altri ragazzi dei Monton (1980) non potranno essere (ri)sco erti se non, oramai, in qualche "persona" di cui si cibano i programmi degli assessorati. E dispiace, finanche, non dare la possibilità al pubblico italiano di svelare volti e voci come quelli di Eusebio Poncela (Pablo) - il Werther di Pilar Mirò, già in Matador e Ogro di Pontecorvo -; di Carmen Maura (una sensualissima Tina inebriante presenza avviata ad una fertile collaborazione con Almodóvar; di Antonio Banderas e Miguel Molina (fratello vero di Angela) e del transessuale Bibi Andersen (ovviamente omonimo/a) Se qualcuno, con una battuta, volesse sapere, che cos'é La ley del deseo, gli diremmo che non è Maurice. Semmai, Buddy Buddy in versione ispano- barbarica, ascendente Luis.
Aldo Fittante, Segno Cinema, n. 31 gennaio 1988 |
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