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Catene


Regia:Matarazzo Raffaello

Cast e credits:
Soggetto: Libero Bovio, Gaspare Di Majo; sceneggiatura: Aldo De Benedetti, Nicola Mannari; fotografia: Mario Montuosi; musiche: Gino Campese; montaggio: Mario Sarandrei; scenografia: Ottavio Scotti; interpreti: Amedeo Nazzari (Guglielmo), Yvonne Sanson (Rosa), Aldo Silvani (l'avvocato), Rosalia Randazzo (Angela), Teresa Franchini (madre di Guglielmo), Nino Marchesini (avvocato dell'accusa), Roberto Murolo (il cantante), Aldo Nicodemi (Emilio), Gianfranco Magalotti (Tonino); produzione: Titanus, Labor Film; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Italia, 1949; durata: 86'.

Trama:A Napoli, Guglielmo è sposato da alcuni anni con Rosa da cui ha avuto due figli. Con loro vive la madre di Guglielmo. Guglielmo ha una piccola officina di meccanico. Un giorno si presenta Emilio per una riparazione, e riconosce in Rosa la sua ex fidanzata. Emilio vorrebbe riallacciare la vecchia relazione, ma Rosa non ne vuole sapere. Emilio, che è coinvolto in un losco giro, deve lasciare la città e vuol portare con sé Rosa. Minacciandola di rivelare tutto a Guglielmo, la convince a venire nel suo albergo. Il figlio Tonino ha intuito quello che sta succedendo, e avverte il padre, che scopre la moglie e durante una colluttazione uccide involontariamente Emilio. Guglielmo è costretto a fuggire ed emigra in America...

Critica (1):Catene è come noto il primo di una trilogia melodrammatica diventata famosa; gli altri titoli sono Tormento (1951) e I figli di nessuno (1951) al quale andrebbe aggiunto Angelo bianco, sua continuazione ma uscito solo nel 1955.
Catene è quello che piace meno alla Censura Ecclesiastica, che lo bolla con un Escluso così motivato: "L'impostazione della vicenda è moralmente errata, giacché, si fa apparire illecita l'iniziativa del difensore che spinge una donna onesta, moglie e madre, ad asserire il falso, dichiarandosi pubblicamente adultera. Si nota ancora nel film, che comprende scene deplorevoli, una certa tendenza al fatalismo. Il lavoro risulta moralmente negativo: la visione è esclusa per tutti". (...)
In altre parole, Catene mostra l'insanabile conflitto fra sentimento (irregolare sempre) e istituzioni (regolari, violente e inamovibili, come il ruolo maschile riconosciuto). Un conflitto che Matarazzo prende dalla tradizione subalterna della sceneggiata e del feuilleton, avendo cura, come vedremo meglio in seguito, di intrecciarlo con altri moduli di rappresentazione. Il suo cinema è sempre inciso da "istituzioni totali" entro cui si materializza il disegno avverso del destino: carceri, tribunali, luoghi di fatica e oppressione autoritaria; ed è spesso venato da un'ambizione pedagogica progressista (...). Catene ha il pregio di mantenere tutto ciò su un piano di proiezione simbolica che mette al primo posto i meccanismi fantastici e inconsci. Ci sono molte sbarre nel film, sbarre autentiche e pesanti che si alternano alle barriere invisibili della tentazione e dell'impotenza o alle porte della casa; sbarre che hanno funzioni premonitrici (la cancellata della scuola, per esempio) o espressive di una prigionia, oltre che sociale, dello spirito e dei sensi (la già ricordata inquadratura di Rosa in sottoveste è segnata dalla spalliera del letto e anche nella stanza dove lei visiterà di nascosto la figlioletta, si ha una impressione di gabbia).
Emblemi di avversità che incidono sullo spazio della donna sventurata, ma che talvolta, come nel caso di Emilio, gettano la loro ombra su altri e sull'ambiente in generale. Insomma, la ricostruzione dai disastri della guerra, si rivela fragile nell'ambito ristretto della famiglia e immutabilmente oppressiva fuori, cioè nella vita pubblica dove a funzionare sono sempre le vecchie regole e dove l'illusorio affetto della casa si trasforma in farsa crudele (il processo), volgarità e linciaggio morale. Quali che siano gli espedienti consolatori ai quali regista e sceneggiatore ricorrono per bilanciare il peso di tanta invivibilità, a essa si sfugge difficilmente, come anche alla constatazione che l'unica fratellanza possibile contro le leggi degli uomini può venire alla sfortunata Rosa solo da un'altra donna; infatti è la suocera che a un certo punto, in nome di un comune ma autenticissimo sentimento materno, decide di rompere il giuramento e di contravvenire alla legge. (...)
Nella sua famosa lettera all'Unità (18.12.1955), Matarazzo dava una sua versione della necessità di arrivare al lieto fine: "...il pubblico, ama solo la rappresentazione delle sciagure? No. Quello che ama di più è vedere come, attraverso l'opera dello stesso fato, per mezzo delle storture raddrizzate, nei limiti resi possibili dalla umanità stessa, infine, grazie alla rassegnazione là dove inutile e vana è la lotta, si possa arrivare a una felice conclusione e una più umana e sopportabile condizione di vita".
Per quel che riguarda il melodramma in specifico, osserveremmo che l'abilità di Matarazzo si distingue nella scelta del contrasto: se è vero che, come vuole la tradizione, la veridicità del dato appare secondaria, perché il genere come tale richiede una struttura chiusa e in un certo senso astratta, ciò non toglie che in Catene (come in altri, del resto, ma forse con maggiore scioltezza espressiva) la scena "realistica" abbia una sua forza di intrigo. In altre parole il film muove dalla "realtà" e ne porta la proiezione simbolica dentro il buio dell'inconscio e del rimosso. Lo scambio è molto pericoloso ma attraverso di esso si può partecipare dell'impotenza, cioè si resta nella zona di passaggio dove la realtà tangibile viene sublimata nel codice e il codice non è ancora risolto nella convenzione pura. Così il conflitto fra razionalità umana e destino, può davvero spostarsi in una visione dell'imprevisto (o del non compreso, dell'oscuro) compatibile, anzi vitalmente intrecciato con la realtà concreta di ogni giorno. Insomma c'è una realtà giudicabile, posseduta, e ce n'è un'altra inafferrabile: il travaso dall'una all'altra non impedisce che siano vere entrambe.
Quanto alle contaminazioni, bisogna dire che Matarazzo dimostra una sensibilità mediologica davvero eccezionale per il suo tempo. Notiamo infatti che la convivenza fra realtà opposte non si applica soltanto alla drammaturgia ma trova riscontro nella forma esteriore; di qui la compresenza di due lingue parlate differenti (l'italiano e il napoletano, anche se quest'ultimo funziona come carattere di sfondo), del realismo con la deformazione della sceneggiata e persino della fiaba (si ricordi quella vecchia che sale guardinga le scale per portare a Rosa il messaggio di Emilio), della "modernità (la ricostruzione) con motivi arcaici e folclorici (pensiamo soltanto al fagotto che Guglielo porta con sé per la fuga) dei caratteri fisici e di abbigliamento tratti da certa tradizione "astorica" con quelli divistici aggiornati (gli abiti della Sanson), di una religiosità devozionale (ma pur sempre terrestre e, in definitiva, paganeggiante) con la ragione umana e il buon senso, della canzone arrangiata in colonna sonora con quella cantata dal vivo.
Tullio Masoni, Cineforum n. 295, 6/1990

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Raffaello Matarazzo
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