American Life - Away We Go
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Regia: | Mendes Sam |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Vendela Vida, Dave Eggers; fotografia: Ellen Kuras; musiche: Alex Murdoch; montaggio: Sarah Flack; scenografia: Jess Gonchor; arredamento: Lydia Marks; costumi: John A. Dunn John Dunn; interpreti: John Krasinski (Burt Farlander), Maya Rudolph (Verona De Tessano), Carmen Ejogo (Grace De tessano), Catherine O'Hara (Gloria Farlander), Jeff Daniels (Jerry Farlander), Allison Janney (Lily), Jim Gaffigan (Lowell), Samantha Pryor (Ashley), Conor Carroll (Taylor), Maggie Gyllenhaal (LN), Josh Hamilton (Roderick), Bailey Harkins (Wolfie), Chris Messina (Tom Garnett), Melanie Lynskey (Munch Garnett), Colton Parsons (James), Brendan Spitz (Baby Neptune), Paul Schneider (Courtney Farlander); produzione Peter Saraf, Edward Saxon e Marc Turtletaub per Big Beach Films-Edward Saxon Productions-Neal Street Productions; origine: Gran Bretagna-Usa, 2009; durata: 98’. |
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Trama: | Burt e Verona vivono in Colorado, stanno insieme da tempo e ora aspettano un bambino. Poiché non potranno contare sull'aiuto dei genitori di Burt, che si stanno trasferendo altrove, i due ragazzi si imbarcheranno in un lungo viaggio per cercare tra i loro parenti e amici - tutti dislocati in diverse città degli Stati Uniti - quali saranno le persone che potranno essergli di sostegno e trasferirsi vicino a loro. Passeranno così attraverso Phoenix, Tucson, il Wisconsin, Montreal e Miami per incontrare ed essere ospitati da sorelle, fratelli, ex compagni di scuola e di università - chi già con figli e chi senza - prima di capire quale sia veramente per loro il posto che potranno chiamare 'casa', dove crescere tranquilli e sereni il loro bambino.
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Critica (1): | Vivono in un prefabbricato, disordine casuale da studenti, e precarietà esistenziale nonostante i trentaquattro anni. (...) Mendes condivide lo stato d'animo dei personaggi, le loro imperfezioni, questo sentirsi spaesati, alla ricerca di un posto che è molto più del luogo fisico in cui vivere e crescere il proprio figlio. E proprio da qui comunque che la ricerca comincia, dal fantasma molteplice di una paternità/maternità rimossa, che comprende la relazione coi propri genitori, e il modo di essere figli (magari anche di non esserlo più). (...) i due (i molto bravi attori Maya Rudolph e John Krasinski) capiscono che il primo posto al mondo riguarda se stessi, senza modelli o teorie «posticce» se non semplicemente vivere. Un concetto semplice, e prezioso, a cui Mendes riesce stavolta a far corrispondere la misura del suo cinema.
Cristina Piccino, il manifesto, 17/12/2010 |
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Critica (2): | American Life riparte dallo spazio domestico di American Beauty e Revolutionary Road. L’inquadratura fissa, prima dei titoli di testa, con la scena di sesso già trasmette un senso di disagio e impedimento. Non è, però, l'immagine di una coppia in crisi. Mendes, già in questo inizio, riesce in maniera esemplare a mostrare proprio alcuni momenti della vita di Burt e Verona come flash istantanei, senza soffermarcisi più del dovuto, ma anche senza oltrepassarli fugacemente. Il film li guida in questo viaggio alla ricerca di se stessi; e, seppur in uno spirito indie, non appare comunque mai pesantemente esistenzialista, ma piuttosto mostra le strade che la coppia percorre alla ricerca della (loro) felicità. «Non siamo un fallimento», dice a un certo punto il ragazzo alla sua compagna. Già qui mettono in luce molto più i dubbi che le certezze, molto più l'immagine piena di sfumatura di una coppia piuttosto che l'analisi di una generazione. Burt eVerona sono una coppia come tante altre, ma sono pure unici, e il loro entusiasmo nella ricerca di una propria strada contagia e porta a essere vicini, anzi accanto a loro. Ci sono esperienze comuni (l'ecografia), momenti apparentemente normali dove invece s'insidia la tensione (Verona che scende dall'auto mentre Burt urla al telefonino), ma anche istanti di complicità assoluta. (…)
È trascinante American Life. L’impianto narrativo del cinema di Mendes si ribalta con dialoghi e situazioni degni di una commedia della Hollywood classica. Ma dietro c'è anche uno stravolgente ritratto di una solitudine. Burt e Verona appaiono isolati da tutto e da tutti. Sono quasi degli estranei rispetto alle situazioni che si trovano a vivere, con l'uomo che mostra i suoi tentativi impossibili di adeguarsi e integrarsi al contesto del momento, dove il disagio è espresso alla perfezione dal volto del protagonista John Krasinski, che ha già lavorato con il regista in Jarhead ed è stato anche diretto da Nancy Meyers in L'amore non va in vacanza ed È complicato. Con la sua partner, interpretata da Maya Rudolph, si avverte spesso una leggera ma comunque evidente distanza, un qualcosa che li pone in uno stato di dislivello. Poi, però, la loro complicità scatta all'improvviso, come nell'irresistibile momento della "ribellione del passeggino" o in quelle vibranti promesse nella notte. Se in Revolutionary Road si assiste al lento deteriorarsi nel rapporto dei due protagonisti, qui invece c'è un progressivo avvicinamento. In ogni caso, Mendes non mostra solo i disagi, i disequilibri della coppia, ma sembra vivere e farci vivere accanto a loro. Si sentono insieme l'entusiasmo e la paura dell'arrivo del bambino. Si è trascinati dentro questo rapporto: del resto il suo cinema ingloba spesso dentro le sue famiglie come era avvenuto anche con Era mio padre. In American Life lo fa con meravigliosa leggerezza, con insolito pudore. Forse è per questo che si sentono ancora di più i brividi addosso.
Burt e Verona forse vengono da un altro pianeta. Oppure sono degli umani che ne esplorano uno sconosciuto. C'è un sensibile scarto tra loro e gli altri personaggi, visti attraverso i loro occhi, però filtrati attraverso lo sguardo di Mendes. Figure che già conoscono (parenti e amici), ma è come se vedessero per la prima volta. Basta vedere la scena a casa dei genitori dell'uomo. Se non si sapesse il legame di parentela che li unisce, potrebbero essere degli estranei. Oppure, peggio, la materializzazione dei loro incubi peggiori. American Life aderisce con sorprendente immediatezza alla vita vissuta, e potrebbe prendere qualunque direzione a ogni tappa del viaggio. Non c'è, però, l'incertezza tipica del road-movie su quale sarà la situazione futura. Stavolta i luoghi sono scelti tutti consapevolmente, ma ognuno, alla fine e per motivi diversi, non è mai accogliente. In American Life le persone condizionano gli spazi attraversati dai due protagonisti. Forse non è il modo come li guardano Burt e Verona che li rendono deformati, ma in ogni caso questi si trasformano in una specie di strani mostri mascherati da umani proprio dopo il loro contatto. Solo verso la fine ci sono tracce sincere di umanità. Come se il film improvvisamente abbia deciso di cambiare improvvisamente strada, senza preavviso, e sterzare da tutt'altra parte. Alla dimensione quasi grottesca si sostituisce una contagiosa tristezza. Il momento in cui l'amico parla a Burt degli aborti spontanei della moglie, mentre lei si sta esibendo sul palco in un night-club, apre quelle crepe che fino a quel momento sono state faticosamente coperte. Si ha la sensazione di precipitare in un vortice, nelle zone tra Exotica di Atom Egoyan e Kiss di Richard LaGravenese. I mostri tornano umani, anzi stavolta si spogliano senza veli. Anche il cinema di Mendes si mette a nudo. Ciò avviene attraverso un progetto apparentemente più piccolo: American Life è per il regista quello che sono, per esempio, Fuori orario e Al di là della vita per Scorsese, che poi risultano due dei suoi film più belli. Lo spostamento diventa un viaggio che è come un sogno. Che mai, come stavolta, vorresti non finisse mai.
Simone Emiliani, Cineforum n. 501, 1-2/2011 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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