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Signore del castello (Il) - Je suis le seigneur du chateau


Regia:Wargnier Règis

Cast e credits:
Soggetto: liberamente tratto da "Fm the king of the castle" di Susan Hill; sceneggiatura: Régis Wargnier e Alain Le Henry; fotografia: François Catonne; costumi: Elizabeth Tavernier; musica: Sergej Prokofiev; montaggio: Genevieve Winding; interpeti: Jean Rochefort (il signore Bréaud), Dominique Blanc (la signora Vernet), Regis Arpin (Thomas Bréaud), David Behar (Charles Vernet); produzione: Yannick Bernard per Odessa Films-Aaa Productions (Francia, 1988); distribuzione: Academy; durata: 88'.

Trama:
Rimasto vedovo con un figlio, assume una governante anch'essa con figlio. Tra i due ragazzi s'instaura un rapporto ostile e crudele.

Critica (1):Il maniero isolato, due bambini, l'istitutrice. Subito pensiamo a Giro di vite di James e al film che ne trasse Clayton (The innocents, 1961). L'attenzione di Wargnier per i valori formali dell'immagine a colori richiama alla mente quella di Clayton per il b/n e le stampe dell'Ottocento inglese cui si ispira. Altre analogie non ci sono: la sceneggiatura di Capote per il film del '61 equilibrava l'innocenza e la perfidia dei bambini, quella di Wargnier spezza l'ossimoro e alla perfidia attribuisce un peso e un'evidenza sempre maggiori. Ricordiamo allo The nightcomers (1971), secondo e più libero adattamento dal romanzo di James (i bambini uccidono il guardiacaccia e l'istitutrice), oppure Our mother's house (1967): qui i bambini praticano lo spiritismo, inclinano ad atteggiamenti sadici, uccidono il padre.
Negli anni Sessanta, il cinema viola l'iconografia hollywoodiana del bambino; strappa la fanciullezza a una dimensione apollinea (edenica), per restituirla alla pienezza della sua identità, anche scomoda, anche contraddittoria, per esplorarne gli egoismi e le isterie, per ritrarne i desideri e le paure, le inquietudini e i gesti talvolta crudeli, il linguaggio talvolta osceno. Wargnier modella il suo film sul cinema di quegli anni e sui titoli citati in particolare. Dà un colpo di spugna sulla mitologia del bambino-eroe degli anni Ottanta (Spielberg), ma evita il canone a rovescio dell'horror anni Settanta (in The exorcist, il turpiloquio si sostituisce alle smancerie, una maschera raccapricciante all'immagine del bambino innocente e pulito).
Vediamo: Thomas e Charles hanno entrambi dieci anni; entrambi sono orfani, Thomas della madre, Charles del padre. Differiscono invece per lo stato sociale: il primo è figlio del padrone, il secondo della governante. Da Charles, Thomas pretende obbedienza; all'arrivo dell'ospite, infrange la finestra della camera. Poichè Charles non si lascia intimidire, Thomas nasconde un corvo sgozzato sotto le coperte. La notte seguente, Charles fugge dal castello, inseguito da Thomas. Adesso i rapporti di forza sono capovolti. Charles emula il padre disperso in Indocina e dimostra di sapersi orientare nella foresta. Fa prigioniero Thomas che, sconfitto, gli impetra la morte. Tornati al maniero, Thomas recupera il sopravvento.
Il signore del castello andrebbe visto solo per questo, perché è un antidoto alle voglie di tenerezza del cinema Usa, all'indigestione di stereotipi pubblicitari, all'overdose di ragazzini scaltri e simpatici. Badiamo però a non equivocare. Wargnier non è interessato a riscattare la psicologia del bambino dalle sue mistificazioni, nè ad agire le fantasie ansiose e violente di Thomas. Del resto, il personaggio di Thomas è improbabile; il bosco, il castello e il senso d'angoscia che emana dall'uno e dall'altro appartengono al regno delle fiabe e alle sue leggi.
No, a Wargnier sta a cuore l'apologo sulla lotta di classe. Thomas rinfaccia a Charles l'inferiorità sociale e accusa M.me Vernet di concedersi per denaro ("Tua madre è una gran puttana"). Sorpresi gli amanti, i bambini mimano con cattiveria la scena d'amore: Thomas nei panni di un vecchio libertino, Charles nei panni di una donna venale. In Lord of the flies (1963), i bambini che alla fine uccidono e, ignudi, si braccano l'un l'altro, al principio sono "dei bravi ragazzi, delle migliori famiglie": giungono sulla spiaggia cantando il Kyrie, a passo di marcia, avvolti nella mantella nera del collegio. Né a Brook né a Wargnier interessa rovesciare la "poesia" dell'infanzia; entrambi riferiscono i ritratti dei bambini ai contenuti dell'apologo. Jack è capo-coro e capo-classe (Lord of the flies), è l'ideologia del potere che, a contatto con la wilderness, getta la maschera della civiltà. Thomas è l'ideologia del potere che di quella maschera ha ancora bisogno per legittimarsi (il censo, il castello, la divisa del collegio).
Una partita a quattro, il titolo di signore del castello come posta in gioco. Ma gli adulti passano rapidamente dal ruolo del giocatore a quello della pedina (Thomas allontana M.me Vernet dal padre; Charles tace alla madre l'ambasciata del signor Bréaud). Il finale è aperto. Forse Charles si è suicidato: si è arreso a Thomas o gli ha opposto l'ultimo rifiuto? Davanti agli abiti abbandonati sulla spiaggia, Thomas piange. Per se stesso? Per Charles? Per l'infanzia perduta? "Ralph piangerà per la fine dell'innocenza,. la durezza del cuore umano", scrive Golding in Lord of the flies. E Goethe in Erlkönig: "Das Kind war tot".
Cinema Nuovo, n. 6 novembre - dicembre 1990

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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