Rifugio (Il) - Refuge (Le)
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Regia: | Ozon François |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: François Ozon, Mathieu Hippeau; fotografia: Mathias Raaflaub; musiche: Louis-Ronan Choisy; montaggio: Muriel Breton; scenografia: Katia Wyszkop; costumi: Pascaline Chavanne; interpreti: Isabelle Carré (Mousse), Louis-Ronan Choisy (Paul), Pierre Louis-Calixte (Serge), Melvil Poupaud (Louis), Claire Vernet (la madre ), Jean-Pierre Andréani (il padre), Jérôme Kircher (il medico), Nicolas Moreau (il seduttore), Marie Rivière (la donna sulla spiaggia), Emile Berling (lo spacciatore), Maurice Antoni (il prete); produzione: Chris Bolzli, Claudie Ossard, Vieri Razzini e Cesare Petrillo per Eurowide Film Production-Teodora Film-Foz, in associazione con Coficup - Backup Films-France 2 Cinéma; distribuzione: Teodora Film; origine: Francia, 2009; durata: 90’. |
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Trama: | Mousse vive con il suo compagno Louis in un piccolo appartamento a Parigi. Nonostante siano molto innamorati, i due conducono un'esistenza sregolata segnata dall'abuso di alcool e droghe. Una mattina, mentre Mousse è ancora incosciente, Louis muore a causa di un'overdose. Al suo risveglio, lei si trova sola e, quando qualche tempo dopo capisce di essere incinta, decide di tenere il bambino, ultimo legame con l'amore della sua vita. Mousse però ha bisogno di cambiare vita e per questo si trasferisce in una casa in riva al mare dove potrà rimanere sola con il nascituro. Il suo isolamento viene rotto dall'arrivo di Paul, il fratello di Louis. Sarà lui a farle capire che non è ancora pronta a diventare mamma e di avere bisogno di qualcuno al suo fianco. |
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Critica (1): | (...) Stretto in pochissimi set, interpretato da un pugno di attori concentrati e privi di qualunque manierismo teatrale, Il rifugio mette in scena la storia di Mousse (Isabelle Carré), una ragazza tossicodipendente che dopo la morte del suo compagno Louis (il sempre eccellente e ruiziano Melvil Poupaud) scopre di essere incinta, e decide di portare a termine la gravidanza contro il desiderio della suocera.
Se in Italia la sinistra ufficiale ha preferito cedere alla destra e al Vaticano sulle questioni relative alla maternità e famiglia, adottandone di fatto pregiudizi e miopie, un film come Il rifugio dimostra con una semplicità sconcertante che almeno in certi ambiti del cinema francese è possibile pensare su queste problematiche in forme autonome e libere da qualsivoglia preconcetto ideologico.
Sorto dal desiderio di Ozon di lavorare con un’attrice incinta, Il rifugio è una sorta di parabola bressoniana al contrario. Mousse, un nome che evoca sapori bressoniani, vive la sua trasformazione fisica oscillando fra il desiderio di scoprire una nuova possibilità della sua sessualità e il sortilegio di riportare in vita l’amato Louis in un altro corpo.
Ozon è estremamente attento e partecipe nel costruire le scene intorno al corpo di Isabelle Carré. Con una limpidezza di sguardo esemplare, il regista compone le inquadrature con una semplicità classica, ponendo grande attenzione a non escludere nessun elemento dal perimetro delle reazioni della protagonista. Il corpo di Mousse diventa in questo modo, letteralmente, il catalizzatore di altre vite. Piuttosto che isolarla, stando ai dettami di un’ideologia banalmente nucleare, Ozon apre letteralmente il corpo di Mousse sul mondo. Per cui il miracolo non occorre al termine della gravidanza con il parto, strategicamente lasciato fuori campo, ma durante la gestazione di una nuova vita.
Il rifugio è la storia della scoperta di una dialettica nuova; fra un corpo che ne fa sorgere un altro e che nel processo scopre, esponenzialmente, la propria alterità.
Ozon, filmando corpo a cuore, mette in campo anche la problematica della genitorialità gay attraverso la figura di Paul (Louis-Ronan Choisy), fratello adottivo di Louis che, pur non rinunciando alla propria sessualità, non può evitare di provare attrazione nei confronti del corpo mutante di Mousse. E anche in questo caso, l’approccio è altamente anticonvenzionale e schietto.
Il rifugio, dunque, pur partendo da premesse di fondo che parrebbero bressoniane, sembra più prossimo a un certo Ferreri, quello femminista e cantore della fine della (in)civiltà maschile. Come le eroine di Ferreri, Mousse è imprendibile (letteralmente) e le sue scelte non sono riconducibili ad alcuno scacchiere ideologico.
Scevro da tentazioni spiritualiste, o peggio confessionali, Il rifugio è un film altamente spirituale. Un film che fonda la propria spiritualità nella inestinguibile materialità dei corpi, celebrandone l’intima anarchia e libertà.
Giona A. Nazzaro, Micromega, 25/7/2010 |
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Critica (2): | Il rifugio del titolo può essere una casa al mare, ma anche una gravidanza. Una ragazza che ha visto morire l'innamorato per overdose si isola dal mondo, si concentra sulla nascita del figlio che aspetta: sono modi diversi per tentare di superare il dolore della perdita. Poi il fratello del morto la raggiunge, tra i due si forma un legame di grande intensità. Nascendo, la piccola conoscerà una madre meno infelice. Bel film, ricco di sensibilità, delicatezza e intelligenza, "Il rifugio" di François Ozon appartiene a una nuovissima tendenza del cinema europeo. Sino a ieri, i registi anche più giovani si sono esercitati soprattutto nel cinema di denuncia sociopolitica. Adesso, dopo aver constatato che al cinema la denuncia risulta davvero poco utile (oppure esige film belli come Gomorra), hanno cambiato atteggiamento: come i fratelli Dardenne, provano a occuparsi di quelle persone che, pur in condizioni pessime, riescono a sopravvivere, a sperimentare un poco di bontà e di felicità. Delle persone, insomma, come tutte, vittime del sadismo sociale ma resistenti. In questo senso la protagonista de Il rifugio (che sarà nei cinema italiani il 27 agosto), è esemplare: fragile però forte, complessa, decisa, sottile, e con la bellissima faccia dai lineamenti minuti di Isabelle Carré. Il regista ha raccontato che la sua intenzione era d'avere un'attrice davvero incinta, perché la sovrapposizione anche fisica di personaggio e interprete fosse perfetta e di avere scelto la bellezza dolce di Isabelle Carré tra le quattro attrici incinte che c'erano un quel momento a Parigi e con la necessità di lavorare in fretta, a una velocità maggiore di quella della gravidanza. La riuscita è piena e molto commovente. L'uso di una macchina da presa particolare approfondisce i piani, precisa e insieme confonde i primi piani, colma di luce le inquadrature: tecnica e sentimento si armonizzano come meglio non si potrebbe.
Lietta Tornabuoni, L’Espresso |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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