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Guardie e ladri


Regia:Monicelli Mario, Steno

Cast e credits:
Soggetto: Piero Tellini; sceneggiatura: Steno, Mario Monicelli, Ruggero Maccari, Ennio Flaiano, Aldo Fabrizi, Vitaliano Brancati; fotografia: Mario Bava; musiche: Alessandro Cicognini; montaggio: Adriana Novelli; scenografia: Flavio Mogherini; interpreti: Pina Piovani (Donata), Pietro Carloni (Commissario), Mario Castellani (Amilcare), Carlo Delle Piane (Libero Esposito), Aldo Fabrizi (Brigadiere Bottoni), Aldo Giuffré (socio di Esposito), Ave Ninchi (Giovanna), Giulio Calì, Rossana Podestà (figlia di Bottoni), Gino Scotti, Totò (Ferdinando Esposito); produzione: Carlo Ponti e Dino De Laurentiis per Golden Film; distribuzione: Cineteca Nazionale; origine: Italia,1951; durata: 109'.

Trama:Esposito e Amilcare imbrogliano un turista americano con la solita patacca e vengono inutilmente inseguiti dal gabbato. I due partecipano in seguito ad una distribuzione di pacchi-dono americani, accompagnati da ragazzi che spacciano per loro figli, e vengono riconosciuti dal presidente del comitato di beneficenza americano, che è appunto il turista gabbato. Esposito scappa, ma viene arrestato dopo un lungo inseguimento dal sergente Bottoni, al quale fugge poi di mano, con uno stratagemma. In seguito alle proteste ufficiali dell'autorevole americano, Bottoni è sospeso dal servizio e perderà il posto se entro tre mesi non rintraccerà il truffatore. Il povero Bottoni nasconde l'accaduto alla propria famiglia, si mette in borghese e comincia la caccia. Scopre la casa di Esposito, ne avvicina la famiglia, fa in modo che suo figlio faccia amicizia col figlio del ladro. Finalmente Bottoni ha l'occasione di arrestare Esposito ma entrambi sono d'accordo nel nascondere la cosa alle rispettive famiglie. Esposito finge di partire per un viaggio, il sergente è riammesso in servizio e si occuperà della famiglia di Esposito, fino al giorno in cui questo potrà tornare dal suo viaggio.

Critica (1):Guardie e ladri, una delle due regie, ottiene il primo riconoscimento ufficiale, il premio per la migliore sceneggiatura (da dividere ovviamente con Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Ruggero Maccari e Aldo Fabrizi), mentre Totò riceve il Nastro d'Argento come migliore attore protagonista. Ancora una volta, uno degli artefici del film è stato Carlo Ponti, che voleva riunire Fabrizi e Totò all'apogeo della loro fama.
Ferdinando Esposito vive di piccole truffe, tra le quali la preferita, oltre che la più semplice, è quella di truffare i turisti americani. Uno di questi però incontra nuovamente Esposito: è infatti il presidente di un comitato previsto dal Piano Marshall per l'assistenza ai bambini poveri, ed Esposito si è presentato con una torma di ragazzini facendo credere che sono tutti suoi figli. Ferdinando viene allora arrestato dal sergente Bottoni, ma riesce a fuggire.
L'americano fa intervenire il consolato e Bottoni, se entro tre mesi non riacciufferà il ladro, sarà sospeso dal servizio. Bottoni non dice niente in famiglia e si mette sulla pista di Esposito: riesce a sapere l'indirizzo del ladro e fa sì che le famiglie diventino amiche. Quando però lo deve arrestare, vede le ristrettezze economiche in cui la famiglia Esposito vive, e la coscienza lo frena. Sarebbe perfino disposto a rilasciare il ladro, ma Esposito si rende conto che a quel punto sarebbe il questurino a finire nei guai: è lui stesso che si fa arrestare, dopo essersi messo d'accordo con Bottoni (le famiglie non sapranno niente e Bottoni accudirà ai parenti di Esposito).
L'incontro con Fabrizi è decisivo per la definitiva trasformazione del personaggio di Totò e il suo ingresso nella schiera di attori che, attraverso film di ispirazione neorealista, portano sullo schermo le difficoltà e le speranze del secondo dopoguerra. Fabrizi, del resto, aveva avuto un ruolo determinante nella scrittura e nella realizzazione di Roma città aperta, mentre Brancati si era rivelato uno degli sceneggiatori più abili, come dimostra la sua collaborazione con Zampa. Del personaggio marionettistico dei primi tempi. Totò non conserva pressoché nulla: è un Pulcinella emigrato a Roma, che ha messo su famiglia e con l'esperienza precedente conserva solo il legame dell'essere perseguitato dal destino e di avere Mario Castellani come complice. Questo riconosce anche la critica dell'epoca. Lamberto Sechi, in "La settimana Incom illustrata" (23/12/1951) afferma: "Ora, in Guardie e ladri, Totò, come Pinocchio al termine delle sue avventure, lascia in un canto il suo corpo di legno, la sua mimica abituale, le espressioni ormai famose, non è più Totò soltanto, ma quel personaggio - un povero ladruncolo - interpretato dall'attore Antonio de Curtis". Un passaggio si è definitivamente compiuto, dopo Totò cerca casa e Napoli milionaria. Ma Monicelli, forse il maggiore artefice di questa trasformazione, non sembra convinto della correttezza dell'operazione: "Io ho favorito il passaggio di Totò al neorealismo, limitando le sue caratteristiche di comicità surreale che lo avevano caratterizzato in precedenza. Sarà poi Pasolini ad orientarlo più sul misterioso o sul magico, forse lo ha capito meglio di me. Ho un gran rimpianto per aver abbandonato subito la farsa, perché Guardie e ladri è già commedia all'italiana; il ritmo della farsa è una cosa che tutti dovrebbero avere presente".
Totò continuerà la sua carriera con opere disuguali, alternando neorealismo e farsa. Guardie e ladri rappresenta il momento più importante della nuova fase. Lo capì anche Rossellini, che proprio sulla scorta di questo film, ebbe l'idea di dirigere Totò in Dov'è la libertà, strana fusione tra la maschera del principe De Curtis e la ricerca espressiva rosselliniana: una sorta di seguito di Guardie e ladri, e non solo perché le avventure di Totò avvengono in prigione. Fabrizi invece restò ancorato al suo personaggio dialettale che porterà sullo schermo nella fortunata serie della Famiglia Passaguai, diretta da lui stesso con la collaborazione di quel Mario Bava che aveva conosciuto proprio girando Guardie e ladri.
La morale del film, giudicata da alcuni consolatoria (secondo Fofi, il populismo di Steno e Monicelli consiste nell'attribuire al popolo i buoni sentimenti della piccola borghesia) è invece quella tipica del neorealismo, che teorizza la piccola solidarietà della piccola gente come antidoto al male cosmico e alle disgrazie che esso produce. Proprio per questo Guardie e ladri è uno dei film che ebbero subito un buon successo all'estero, non solo nei mercati tradizionali (Lizzani racconta nella sua Storia del cinema italiano di aver assistito ad un'affollata proiezione del film, doppiato in cinese, a Pechino nel 1957).
Stefano Della Casa, Mario Monicelli, Il Castoro Cinema, 7-8/1986

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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