Piacere è tutto mio (Il) - Skin Deep
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Regia: | Edwards Blake |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Blake Edwards; fotografia: Isidore Mankofsky; musica: Ivan Neville, Don Grafi ; montaggio: Robert Pergament; scenografia: Rodger Maus; costumi: Nolan Miller; suono: Milton C. Burrow; interpreti: John Ritter (Zach), Vincent Gardenia (Barney), Alyson Reed (Alex), Joel Brooks (Jake Fedderman), Julianne Phillips (Molly), Raye Hollit (Lonnie), Michael Kidd (dr. Westford), Chelsea Field (Amy), Peter Donat (Leon), Don Gordon (Curt); produzione: Tony Adams, per Morgan Creek Prods; distribuzione: TITANUS; durata: 101; origine: U.S.A.; anno: 1989. |
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Trama: | L'educazione sentimentale di Zach, abbandonato dalla moglie, dopo un infuocato litigio (a causa del quale la sua casa è data alle fiamme) e catapultato in una serie di avventure amorose con giovani culturiste e fidanzate di teppisti heavy metal. Assistito dal proprio agente, dal suo avvocato e da uno psicanalista, egli riesce infine a ritrovare un precario equilibrio affettivo.
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Critica (1): | Tutto il cinema di Blake Edwards potrebbe essere riassunto nell'immagine prescelta per la pubblicità americana a Skin Deep: un corpo femminile in bella evidenza, un articolo di lingerie sul quale si tiene in equilibrio il protagonista del film, un altro "uomo che amava le donne", privato questa volta anche della nobiltà del riferimento a Truffaut (I miei problemi con le donne è una fra le opere più sottovalutate di Edwards, la
prima in un elenco che si va facendo ormai pericolosamente sostanzioso: dagli ultimi due episodi della serie sulla Pantera Rosa - quelli senza Sellers, o con il suo fantasma - al recente Sunset). La frase adottata per la fallimentare campagna promozionale di Skin Deep è anch'essa, in un certo senso, un acronimo - intraducibile in italiano - di trentacinque anni trascorsi nella paziente collezione di una galleria di figure muliebri che sta alla pari con quella raccolta a suo tempo da George Cukor: tutti i personaggi di Edwards si sono trovati, almeno una volta, in bilico tra il "falling in love", l'innamorarsi, e il "falling on his face" senz'ombra di pentimento né di falsi pudori.
Zach (John Ritter) è uguale agli altri: suona il pianoforte mentre la moglie dà fuoco alla casa (il montaggio della scena è di quelli del "grande" Edwards, anch'esso uno straordinario riassunto del suo stile), non si scompone di fronte alla culturista che si offre a lui per una seduta di body building, affronta i corteggiatori rivali con l'emozione di chi è alle prese con un impegnativo cruciverba. Nulla di nuovo sotto il sole: a parte il colpo di genio dei preservativi fluorescenti, Skin Deep potrebbe essere stato un Edwards "incompiuto", ripescato dai depositi della Blake Edwards Entertainment, e pochi si accorgerebbero della differenza. Per questo, nonostante la rutilante ricchezza d'invenzione, il film ha incassato così poco; le cose sono andate meglio con i noleggi della versione video, ma provate un pò a vedere sul piccolo schermo la sequenza del confronto fallico in camera da letto. Nella sostanza, nulla è in effetti cambiato: c'è la stessa coralità di S.O.B., c'è l'identico ritmo, addormentato ma inarrestabile, di Hollywood Party; c'è, soprattutto, il gusto per l'intreccio stringente e al tempo stesso distratto che segnava le pagine migliori della catastrofica epopea interpretata da Peter Sellers. Si ripropone così un interrogativo che emerge all'uscita di ogni nuovo, film di Edwards: i tempi cambiano, lui no. E' giusto chiedergli di cambiare? La domanda è evidentemente oziosa, perchè tanto lui non cambierà lo stesso. L'inattualità è da tempo la sua riserva di caccia; ogni volta che c'è di mezzo un seduttore suo malgrado, ogni volta che un personaggio trova miracolosamente scampo da una tragedia esistenziale ormai data per scontata e anzi accolta come una necessaria, benefica lezione di vita, il racconto si rimette in moto intorno a lui, lo travolge, gli chiede uno sforzo ulteriore nell'inane lotta contro la dittatura delle circostanze. La celebrazione dei poteri del caso è, in Skin Deep, clamorosa: nella sequenza finale del cocktail tutti incontrano tutti, tutti si riconciliano con tutti: c'è Zach, c'è la sua pericolosa consorte, c'è lo psicanalistia, c'è il pompiere gentiluomo; ognuno trova spazio nella caotica galassia edwardiana, dove l'unico ordine possibile è l'imprevisto. Come sempre, il protagonista si ritrova a contemplare la perfetta armonia di frammenti poco prima osservati in perenne collisione. Come sempre, il romanzo ha la meglio sulle leggi della probabilità.
La seconda ipoteosi della finzione trionfante sul mondo sensibile ha luogo in un altro luogo edwardiano per eccellenza, lo studio dello psicanalista. Dal momento in cui Zach si siede sul lettino, l'attesa del cliché, della parodia, è inevitabile: ecco l'ulteriore gag sul maschio in crisi, ecco il vetriolo in faccia allo strizzacervelli. Invece no; fra una boutade verbale e una dichiarazione di guerra a Freud e Jung, la figura del consente psichiatrico si ritrova elevata dal rango di presenza complementare alla statura di testimone dalla saggezza omerica (o esopica), con tratti di nobiltà di spirito che nessun personaggio di Billy Wilder (tanto per citare un altro autore che con la psicanalisi ha sempre avuto il conto in sospeso) ha mai saputo emanare sulle personalità mentalmente instabili a lui adiacenti. La storia del rospo e dello scorpione e tutt'altro che nuova al cinema; altri ci avevano pensato prima di Edwards, soprattutto Orson Welles (Touch of Evil). Ma chi altri avrebbe saputo traformare una parabola sull'istinto e la predestinazione in una lezione sulla legittimità dell'esistenza degli psicanalisti, dei loro pazienti, della pretesa indifferenza degli uni e del risentimento degli altri? Dopo aver introdotto la figura dell'analista prestandosi alle comodità del luogo comune, lo spirito narrante di Skin Deep lascia che essa cresca da sola, si costruisca uno spazio fra seduttrici in vigile attesa e seduttori in crisi d'identità, fino a enunciare in forma di apologo la morale conclusiva del film.
Quel che conforta in Skin Deep (e che cancella d'un colpo le poche cadute di tono, prima fra tutte l'improbabile onda che travolge il protagonista nella sua villa al mare), è che lo stesso Edwards è la dimostrazione vivente della parabola, e non mostra segni di nostalgia né tardivi sensi di colpa. Il suo stile non può conoscere evoluzione, nonostante gli insuccessi commerciali e i buoni propositi di aggiornamento al cinismo per immagini ormai connaturale al cinema americano degli anni Ottanta. Lui ci prova, ad essere cinico, ma non ci riesce; e affonda con i propri film. Perchè anche Blake Edwards è uno scorpione.
Paolo Cherchi Usai, Segno Cinema n. 40 novembre 1989 |
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