Soldatesse (Le)
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Regia: | Zurlini Valerio |
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Cast e credits: |
Riduzione cinematografica: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi dal romanzo omonimo di Ugo Pireo (Bompiani); sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, con la collaborazione di Valerio Zurlini; fotografia (b/n): Tonino Delli Colli; scenografia: Sergio Canevari; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Franco Arcalli; interpreti: Anna Karina (Elenitza), Marie Laforét (Eftichia), Lea Massari (Totula), Rossana Di Rocco (Panaiota), Valeria Moricone (Ebe), Milena Dravic (Aspasia), Tomas Milian (ten. Gaetano Martino) Mario Adorf (Castagnoli), Guido Alberti (Gambardella), Aca Gavric (Alessi); direttore di produzione: Roberto Infascelli; produzione: Morris Ergas per la Zebra film - Debora Film (Roma)/ Francia-London Film (Paris)/ Avalla Film (Belgrado)/ Omnia Deutsch Film; distribuzione: Cineriz; origine: Italia, Francia, Jugoslavia, Germania Federale, 1965; durata: 120'. |
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Trama: | Grecia, 1942. Un tenente italiano riceve a malincuore l'incarico di accompagnare un gruppo di prostitute, destinate ai soldati. Durante il viaggio impara a conoscerle. |
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Critica (1): | "Probabilmente è stato un esperimento sbagliato. Siccome i miei film erano sempre rimasti fino ad allora in un'atmosfera molto privata, intimista, e a detta di alcuni anche leggermente altera, Le soldatesse mi ha dato la possibilità di fare un racconto di natura popolare. O che non ci sia portato a questo tipo di racconto, o che il discorso fosse troppo violentemente popolare, il film non è andato bene. Rivedendolo oggi ci si accorge però di due cose di cui sono molto fiero. È un film su quindici prostitute che può essere visto anche da un bambino. In secondo luogo Le soldatesse è uno dei pochissimifilm autenticamente antifascisti che siano stati fatti. Invece di ripetere che la colpa è sempre esclusivamente dei tedeschi, il film dice chiaramente le nostre responsabilità nella guerra: l'abbiamo fatta, abbiamo le nostre responsabilità nelle repressioni, nei massacri, nelle fucilazioni, nei saccheggi, nella sopraffazione sull'uomo. Il film era un mea culpa, il primo e unico che il cinema italiano - pur così coraggioso nella critica - abbia mai osato fare. Non potevo pretendere che la gente accettasse di vedere un massacro ordinato dalle brigate nere. Era uno scavare dentro qualcosa che la loro coscienza aveva messo da parte, dimenticato".
(Valerio Zurlini) |
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Critica (2): | "Non ho cambiato un aspetto della sceneggiatura di Benvenuti e De Bernardi, che non mi piaceva e che, in fondo, riprendeva certi modelli della commedia all'italiana per spiegare i personaggi e per renderli più simpatici e più vicini alla sensibilità popolare. Era qualcosa in cui non mi ritrovavo per niente perché in generale i miei film sono molto chiusi in rapporto alla sensibilità degli spettatori: sono essi che devono andare verso il film e non il film che va a loro. Se ho accettato questo aspetto della sceneggiatura - questa impronta un po' ridanciana di cui si vede chiaramente la traccia in qualche scena del film - è perché pensavo che il messaggio sgradevole del film, questo appello alla corresponsabilità, sarebbe passato meglio con un linguaggio popolare e che il film sarebbe stato più seguito e apprezzato dal pubblico. Naturalmente fu un errore: si deve sempre seguire la propria natura e non concedere mai nulla a quella degli altri."
(Valerio Zurlini) |
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Critica (3): | [...] Le soldatesse di Valerio Zurlini, che mi pare non sia stato accolto con il dovuto rispetto, è un film da considerare con molta attenzione. Intanto Zurlini è uno dei pochissimi registi italiani che sappiano girare dei film d'azione, con una tenacia degna dei migliori professionisti americani. E poi il nostro amico Valerio sta agli anni della guerra come Scott Fitzgerald stava all'età del jazz: vi è immerso fino al collo, ne sa rendere le vibrazioni segrete, sa farci rivivere i giorni tempestosi della nostra formazione come individui e come Paese. A parte qualche battuta fuori tono, qualche riga di dialogo troppo scopertamente letteraria, Le soldatesse è uno sguardo fermo sui peggiori anni della nostra vita [...] Ci vuole coraggio a riconoscere i propri errori, anche se la storia ha giudicato da un pezzo l'inutilità dell'aggressione mussoliniana: ci sembra che il film colga nel segno soprattutto quando mette l'accento sulla diffusa stupidità dell'ambiente, sul torpore un po' sinistro determinato dalla cattiva coscienza. Ed è meno convincente, forse, quando ai personaggi saltano i nervi, nelle scene in cui l'ufficiale della milizia rischia di diventare un "cattivo" di tipo tradizionale. Zurlini ha rischiato l'impopolarità dando al film un tono violento, torvo, disperato: e facendo intravedere, negli occhi stupendi di Marte Laforé, la lama di un disprezzo irriducibile contro gli occupatori, un sentimento che ci ferisce giustamente ancora oggi. Non ci sembra di trovare in questo film gli eccessi polemici di altre recenti pellicole, solo il coraggio di chi è deciso a chiamare gli eventi della storia con il loro nome. [...]
T. Kezich |
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Critica (4): | [...] Il film è pieno di delicatezza e di pudore nella rappresentazione di situazioni che potevano offrire spunti per un quadro pittoresco, molto italiano, e per qualche tocco di erotismo. Zurlini ha evitato le soluzioni facili, utilizzate in genere per allentare la tensione e il suo film conserva un equilibrio e un rigore pienamente classici. All'inizio e alla fine, la voce off di Martino indica che si tratta di ricordi, cosa che giustifica il ritmo lento e malinconico. Nel corso di questa riflessione amara, ma ormai pacata, le scene di violenza (l'incidente del camion e la terribile notte nella capanna) esplodono con una forza accresciuta dalla tetra monotonia di questa vita sempre sul punto di precipitare verso la morte. Se si trova la straordinaria capacità di dirigere gli attori, che costituiva gran parte dell'interesse di Cronaca familiare, l'aspetto pittorico è invece scomparso a favore di una scelta estetica più adatta al grigiore del soggetto. Zurlini rinuncia al lato spettacolare e filma solo gli orrori della guerra, realizzando qua e là alcune virulente sequenze contro le azioni dei fascisti. Quando all'ultima immagine - Eftichia che, in uniforme da partigiana, abbandona la sicurezza della sottomissione per il pericolo affrontato nella libertà - essa rappresenta l'alba delle speranze per tutti gli oppressi, narrata nello stile semplice e diretto di un cineasta lucido.
R. Prédal |
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