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Lola, donna di vita - Lola


Regia:Demy Jacques

Cast e credits:
Soggettoe sceneggiatura: Jacques Demy; fotografia: Raoul Coutard; musiche: Michel Legrand - Settima Sinfonia di Ludwig Van Beethoven; Clavicembalo Ben Temperato di J.S. Bach; scenografia: Bernard Evain; interpreti: Anouk Aimée (Lola), Marc Michel (Roland Cassard), Elina Labourdette (M.Me Desnoyer), Alan Scott (Frankie), Annie Duperoux (Cécile), Jacques Harden (Michel), Margo Lion (Jeanne), Catherine Lutz (Claire), Corinne Marchand (Daisy), Yvette Anziani (M.Me Frederique), Babette Barbin (Minnie), Dorothee Blank (Dolly), Isabelle Lunghini (Nelly), Annik Noel (Ellen), Anne Zamire (Maggie); produzione: Georges De Beauregard, Euro International Film, Rome Paris Film; distribuzione: Lab80; origine: Francia, 1960; durata: 85’.

Trama:Ronald, un giovanotto che l'abulia e la noia, rivestitee di vaghi accenti poetici, spingono senza fortuna da un lavoro all'altro, da un posto all'altro, accettal'incarico di un losco trafficante di diamanti e s'accinge a partire per l'Africa del Sud. Ma a Nantes incontra un'amica della sua fanciullezza ch'egli ha sempre amato in silenzio, e trova finalmente la forza di confessarle il suo affetto. La ragazza, fedele al ricordo del suo primo ed unico amore, fa comprendere a Roland di non poter ricambiare il suo sentimento, pur lasciandogli qualche speranza. La ragazza si chiama Cecilia, ma le circostanze della vita l'hanno trasformata in Lola, una ballerina di "cabaret". Dal suo grande amore, ella ha avuto un figlio che ha ora sette anni. Nonostante il lungo tempo trascorso, Lola è certa che il suo Michel tornerà. E Michel torna, infatti, ricchissimo. A bordo della sua lussuosa automobile porta con sé Lola ed il figlio. Roland, visto svanire definitivamente il proprio sogno d'amore, rimane di nuovo solo con la sua noia e la sua tristezza.

Critica (1):Nantes, il porto. Roland Cassard è un indolente. È licenziato dal suo impiego, ma non se ne preoccupa. Ha venticinque anni e vive. Conosce una madre e sua figlia, in una libreria, ed offre alla giovane Cécile il dizionario di inglese che stava cercando, perché lei gli ricorda un’altra Cécile, di cui è stato a lungo innamorato. Poi il destino ha i suoi piani segreti - si imbatte per strada in una giovane ballerina, di nome Lola, che altri non è se non la Cécile della sua infanzia. Egli si sente pronto ad amarla di nuovo, ma Lola ama un altro, Michel, e lo aspetta da sette anni, dopo averne avuto un bambino, Yvon, Se adesso va a letto con Franckie, un giovane marinaio americano, è perché le ricorda Michel.
Per gli inesplicabili giochi del caso (o del destino, che è lo stesso), Cécile viene a conoscere Frarickie e si innamora di questo militare; la madre, M.me Desnoyres, ama in silenzio Roland. Questi accetta di fare un viaggio con un fine piuttosto losco, e rinuncia all’amore per Lola. Questa, che non lo ama, lo fa soffrire con un altro amore, che non esiste. E alla fine, tutto ritorna sul piano previsto da un ordine superiore. Michel è ritornato (era lui l’ombra bianca dell’inizio), Lola resterà, con lui, ma non prima di aver confessato a Roland la sua bugia, quando aveva detto di amare Franckie. M.me Desnoyers, invecchiata prematuramente e sola, andrà a Cherbourg da suo cognato, parrucchiere, (l’amante da cui ha avuto Cécile), perché Cécile ha preso suo zio come pretesto per rivedere Franckie che deve imbarcarsi per tornare negli USA. Roland se ne andrà, non sa dove QI suo viaggio, infatti, si è scoperto essere un traffico di diamanti, e il suo capo è stato arrestato), ma in ogni caso se ne andrà.
Ch. Ledien, Étude cinématographiques, n. 8-9, 1961

Critica (2):I giochi dell’amore affidati ai meandri del caso nelle strade di Nantes. Quattro personaggi si incrociano e intrecciano le loro nostalgie, la loro difficoltà di esistere: una ragazza, Cécile, diventata entraineuse di un dancing con il nome di Lola; Michel, che l’ha abbandonata con un figlio e di cui ella continua ad aspettare il ritorno; Roland, un amico, che sogna crociere esotiche; e un marinaio americano in licenza, Frankie. C’è anche un’affascinante vedova, Madame Desnoyers, e la figlia Cécile che a sua volta sogna di vivere la propria vita, e il figlio di Lola e di Michel... Verso quale bizzarro destino partiranno tutti? Lola è sorella di Cléo, così come Jacques Demy è compagno di strada - e poi marito - di Agnè s Varda. I due film hanno quasi lo stesso profilo, la stessa disinvoltura falsamente superficiale, la stessa commozione nascosta, e certi attori passano dall’uno all’altro. Inoltre i due cineasti hanno inserito il percorso dei personaggi in un quadro urbano scrupolosamente delimitato – Parigi e la sua fauna, da un lato, un porto dell’Atlantico dall’altro. Dice Demy: «La città di Nantes, con le sue bianche facciate, le strade nuove o tortuose, il barocco di certi luoghi, è un ambiente ideale per le connessioni che vi si possono stabilire e che le conferiscono un aspetto irreale al cui interno tutto può succedere.» Il riferimento agli scrittori surrealisti – Breton, Mandiargues – si impone, con le sequenze della Galleria Pommenaye; ma l’autore dichiara di rifarsi piuttosto a registi come Max Ophuls (al quale dedica il film e ruba qualche battuta musicale), il Luchino Visconti di Le notti bianche, il Cocteau di Orfeo... Una fotografia quasi sovraesposta dà al film il tono di un sogno in bianco. Si vedono qui le differenze con Agnès Varda: al fascino naturale e più aspro di lei, si oppone la grazia eterea, un po’atemporale e che sfiora il gongorismo di Demy. Detto fuor di paradosso, l’una è un po’ mascolina, l’altro no. L’ulteriore evoluzione del secondo accentuerà quest’impressione: da Les parapluies de Cherbourg (1964) a Una camera in città (1982).
Claude Beylie, I capolavori del cinema, Vallardi, Milano, 1990

Critica (3):Per il suo primo lungometraggio, Jacques Demy non si era fissato un compito facile: la sceneggiatura di Lola con i suoi intrecci incrociati era piena di trabocchetti e sollevava delicati problemi di messa in scena. Non è facile raccontare con chiarezza diverse storie parallele che, in un momento preciso, si intersecano, e soltanto un regista consumato (Renoir, per esempio), pareva in grado di condurre in porto questa delicata impresa. Ho visto una prima volta Lola e il risultato mi ha, a tutta prima, sconcertato (ero imbarazzato soprattutto dal dialogo e dal modo di dirigere gli attori). Rivedendo il film a distanza di qualche settimana, tutto ciò che mi aveva disorientato mi è parso filare liscio. Lola è un film stupendo per il fatto di essere prima di tutto il film di un regista, forse il primo, con Godard e Astruc, della Nouvelle Vague. La dedica di Lola a Max Ophuls è perfettamente giustificata. Demy, come il rimpianto Max, è un regista meraviglioso. Sa trasfigurare una sceneggiatura con il solo potere della sua arte. Che décor, che eleganza nell’inquadratura, nella preparazione di un campo lungo, nell’uso della fotografia! Che piacere nello spettacolo che ci viene offerto! L’immagine prolunga, rende esplicito tutto ciò che non viene detto; ci informa sull’atteggiamento del regista nei confronti dei suoi personaggi e sul regista stesso. (…)
Se c’è sentimento autentico e senza sdolcinature in Lola, è proprio grazie al modo in cui viene utilizzato l’ambiente, senza che per questo ci troviamo mai di fronte al film di uno scenografo. Nantes è qui assolutamente viva, proprio come lo era Nevers in Hiroshima. La città non si limita a fare atto di presenza, non è un pretesto al pittoresco, ma spiega la condotta dei personaggi perché essa esiste con tutto un suo passato che pesa più o meno consapevolmente su ciascuno di essi. Essa dà al film il suo tono psicologico originale, come Milano in Rocco o ne La notte. Ma Nantes non è una città di rappresentanza, essa è simile agli eroi che la abitano, non foss’altro perché chiede di non fidarsi delle apparenze. Ci sono a Nantes, come in ogni città di provincia, cinema, boutique, ritrovi, caffè concerto, ma Demy, lungi dall’evitare questi luoghi, vi indugia con una sorta di tenerezza. Ne fa luoghi magici, come la fata che trasformava una zucca in carrozza. Lola è in bianco e nero e lo si direbbe un film a colori, tanta è la precisione con cui utilizza il bianco. Sa trarre vantaggio dalla sovraesposizione e immerge i suoi personaggi in un etere straordinariamente sottile. Il bianco assume qui un valore non solo estetico ma anche morale. Ci troviamo, in un certo modo, in pieno sole, ma non si tratta del sole nero della malinconia.
J. Domarchi, Arts n. 812, 1961)

Critica (4):A rendere importante un film come Lola sono evidentemente la sua sostanziale bellezza, l’eleganza della forma, la fragilità dei particolari contrapposta alla sicurezza e alla forza dell’insieme, la grazia con cui progressivamente si srotola, insomma, i segni di una messa in scena felice e senza incrinature. (…)
Lola è un film perennemente socchiuso, che perciò dovrebbe piacere all’autore de “La Poétique de la Réverie”. E l’occasione è troppo bella per non citare una frase fondamentale di André Bazin: “Poiché il cinema è per sua essenza drammaturgia della natura, non ci può essere cinema senza la costruzione di uno spazio aperto che si sostituisce all’universo invece che includervisi dentro”.
La grazia del film di Demy deriva da questa estrema disponibilità di campo. La fotografia, molto bella, di Coutard sfuma sovente i personaggi o gli angoli della scenografia secondo una scelta stilistica che, ben lontana dall’essere semplice incapacità tecnica (Demy ha fatto lavorare la pellicola in laboratorio), contribuisce consapevolmente a dare al film un tono di confusionaria rilassatezza, quasi la simulazione di una negligenza (dietro alla quale si affannano tanti altri). (…)
Ci auguriamo che la stupidità non si accanisca contro questa opera fragile. Non si rimproveri a Demy di avere dedicato la sua opera a Ophuls: anche in questo egli partecipa a quel movimento moderno che ha spinto Stravinsky a ricostruire Pergolesi, Picasso a rifare Velasquez e, un tempo, Mozart ad attingere da Haendel!
Demy e Cocteau: ritrovo nel diario delle riprese di La belle et la bête delle annotazioni che si addicono a Lola:i personaggi non vivono, vivono una vita raccontata; un’atmosfera che corrisponde più ai sentimenti che ai fatti.
Vorrei altresì far notare l’oggettività di Jacques Demy, la serenità del suo film, quella repulsione verso l’autobiografico che non riesce tuttavia a mascherare interamente una sensibilità che non colpirebbe l’attenzione del critico se non presiedesse all’intera costruzione del film.
Cos’è Lola?
Non esiste un’“ultima parola” quando è di un’opera d’arte che si parla. Lola è un film bello, fittizio, vero, effimero, aggraziato come un’ala di farfalla. Sono contento di aver imparato da Roger Caillois che gli uomini chiamano quell’ala “opera d’arte”.
F. Weyergans, Cahiers du Cinéma n. 117, 1961
Jacques Demy
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