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Oltraggio (L') - Outrage (The)


Regia:Ritt Martin

Cast e credits:
Soggetto
: tratto dall’opera teatrale "Rashômon" di Michael e Fay Kanin (ispirato al film omonimo di Akira Kurosawa); sceneggiatura: Michael Kanin; fotografia: James Wong Howe; musiche: Alex North; montaggio: Frank Santillo; scenografia: George W. Davis, Tambi Larsen; arredamento: Henry Grace, Robert R.Bentos; costumi: Don Feld; effetti: Robert R. Hoag, Joseph McMillan Johnson; interpreti: Paul Newman (Juan Carrasco), Laurence Harvey (Colonnello Wakefield), Claire Bloom (Nina Wakefield), Edward G. Robinson (vagabondo), William Shatner (pastore protestante), Howard Da Silva (cercatore), Albert Salmi (sceriffo), Thomas Chalmers (giudice); Felix Fix (indiano); produzione: Mgm-February- Harvest- Khf Productions- Kayos Martin Ritt Productions; distribuzione:Mgm; origine:Usa, 1964; durata:97’. Vietato 14

Trama:Un bandito sequestra una coppia sposata, molesta la donna e assassina l'uomo. Come e perché? Del fatto si danno tre versioni differenti, ma qual è la vera? Forse ne occorre una quarta. Pirandello nel West. Rifacimento di Rashomon (1951) di Kurosawa. Sul tema della natura ambigua della verità è una macchina narrativa che funziona anche qui. Ma gli attori ci danno dentro fin troppo.

Critica (1):... John Sturges, autore di I magnifici sette, il capostipite dei plagi curosaviani, aveva compreso come il western potesse essere il terreno di trasposizione ideale per la fosca materia di Kurosawa: con la sua violenza elementare, con le sue passioni, tutto sommato, primitive con le «convenzioni» dei suoi personaggi. Ma I magnifici sette avevano colto, in Kurosawa, soltanto l'elemento tragicomico, grottesco, accentuandone il carattere di saga, di scherzo giocato sui registri spettacolari del nuovo western, in breve uno Shakespeare trasferito nell'«opera dei pupi». E Per un pugno di dollari, nel fare il verso punto per punto al film di Sturges, si è attenuto alle stesse regole ed è giunto ad analoghi risultati.
Rashomon, con la sua vicenda scheletrica ma inviluppata in un gioco complesso di voci, non ha consentito ali riduttore americano un'operazione del genere. Tanto più che Martin Ritt, regista cinematografico e teatrale di provato mestiere, ha ricalcato la sua versione su un dramma di Michael Kanin, tratto a sua volta dal film di Kurosawa. Precise e semplicissime le varianti: la guerra da poco trascorsa, che ha sconvolto uomini e paesi, è la guerra di secessione; il luogo d'incontro dei tre viandanti (un pastore, sconvolto dallo strano processo, che vuole abbandonare la sua comunità; un imbroglione; un cercatore d'oro) è una smantellata stazione ferroviaria, la maga che testimonia in luogo dell'ucciso è stata sostituita da uno stregone indiano.
Ritt ha mantenuto i tre tempi del racconto: il dialogo fra i tre «viandanti» che rievocano la sconcertante vicenda giudiziaria, le sedute dell'elementare processo, le vicende che emergono dalle varie testimonianze. Non solo ha mantenuto questi tre tempi ma li ha moltiplicati in un gioco raffinato di citazioni, di rimandi, di ricordi, che sconvolge la vecchia tecnica del flashback per collaudare quella di un racconto spezzato e fluido, che accostando momenti e immagini le cuce agilmente tempi diversi.
In definitiva Martin Ritt ha composto un esercizio di stile sulla falsariga del dramma di Kanin (che, ovviamente, moltiplicava le parole del testo originale e talora diluiva in «verbosità» le scabre contrapposizioni di Kurosawa), escogitando moduli narrativi d'indubbia originalità, descrivendo sobriamente le «versioni» dei vari personaggi, versioni che in
L'oltraggio vengono ridotte a «pezze d'appoggio» per una discussione: il tempo fondamentale diventa ora quello dei tre viandanti i quali, anzichè essere personaggi del «coro» come in Kurosawa, diventano essi stessi i veri protagonisti, riducendo gli altri tre (l'uomo, la donna, il brigante) a elementi di discussione.
Costatato il notevole rigore narrativo di Martin Ritt, occorre riconoscere che il film sconcerta non poco: per la sua stringatezza che nulla sembra concedere allo spettacolo, per quel risolvere Il dramma in rarefatta ma visibilissima calligrafia (come nell'ultimo Ritt, si pensi a
Hud il selvaggio), per uno slittamento delle parti grottesche nell'umorismo approssimato (si pensi all'ultima versione del duello).
Nonostante abbia moltiplicato il peso e la portata della discussione fra i tre, il film sembra aver perduto quasi del tutto quel valore e quel significato «emblematico» riscontrabile in Kurosawa, rifiutando peraltro di disporsi nel più facile schema del «western».
Da
“Remake”, a cura di Roberto Nepoti, 1982

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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