Mamma non vuole - Momma don’t’ allow
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Regia: | Reisz Karel, Richardson Tony |
Cast e credits: |
Soggetto: Karel Reisz e Tony Richardson; fotografia: Walter Lassally; montaggio e suono: John Fletcher; musica: The Chris Barber Band; interpreti: i frequentatori del Jazz Club di Wood Green; produzione: British Institute; origine: Gran Bretagna, 1956; durata: 22’. |
Critica (1): | Negli anni Cinquanta si affaccia sulla scena politica britannica la prima «New Left». Le critiche sono rivolte alle gestioni conservatrici del Welfare State edificato dal governo laburista del dopoguerra; il tema culturale si abbrevia nella formula out of apathy (che è anche il titolo di una raccolta di saggi di vari esponenti del gruppo): cioè, nel rifiuto del pessimismo dei delusi del decennio precedente (per far nomi, l’Orwell di Inside the Whale e l’Aude di September 1, 1939) e nella polemica, a sinistra, con il «nichilismo morale dell’ideologia staliniana», e a destra con «la rivoluzione del consumatore deproletarizzato». Il respiro democratico di questo populismo si rafforza con l’ondata emotiva conseguente allo smacco di Suez e alla rivolta di Budapest. In un clima di crisi e di ripresa di radicalismo politico, di riproposta dell’ «umanesimo socialista» fortemente radicato nella tradizione inglese, maturano le commedie di Osborne, di Wesker e della Delaney, i romanzi del nord di Sillitoe, di Barstow, di Storey e di Braine; in ultimo il Free Cinema che si proietta nelle sedi della «New Left».
L’origine del Free Cinema come movimento (la sigla se la contendono Lindsay Anderson e il critico Alan Cooke) è del tutto casuale. Reisz e Richardson hanno girato con l’aiuto del British Film Momma Don’t Allow e Anderson O Dreamland, due quadretti di corto respiro sui frequentatori di un Jazz Club e di un Luna Park, mentre Lorenza Mazzetti ha realizzato Together, un lirico e commovente racconto di due sordomuti nell’abbandono dell’East End. Ma non sanno come mostrarli al pubblico. Anderson ha l’idea di suscitare un po’ di curiosità sui giornali e in televisione. L’idea funziona, il 5 febbraio 1956 i loro cortometraggi sono proiettati al National Film Theatre. Film-makers critica e pubblico rispondono a un manifesto che si articola in brevi note programmatiche: la definizione dell’arte come espressione personale, e perciò l’esigenza che il regista possa seguire tutte le fasi della lavorazione del film e ricorrere a tecniche poetiche fuori dei clichés abituali; la definizione del regista come commentatore della società contemporanea, e perciò la necessità di un comune impegno politico dell’autore come della critica.
Poco tempo dopo, Reisz comincia a lavorare per la Ford. Dirige short pubblicitari, e ottiene di poter produrre una serie di documentari che chiama Look at Britain (il primo, Every Day Except, sul mercato del Covent Garden, lo dirige Anderson; il secondo, We Are the Lambeth Boys, sui giovani di un quartiere popolare, lo stesso Reisz). Intanto i programmi del Free Cinema s’infittiscono anche di firme straniere: Rogosin, Truffaut, Chabrol, Tanner, Goretta, Polanski. Nei termini della sua proposta, il bilancio del Free Cinema è positivo. Nato sì come «una lotta organizzativa e finanziaria» (Fink), ma per affermare una libertà poetica, esso alleva una nuova generazione di documentaristi e una rinnovata sensibilità sociale (sul modello del mitico Humphrey Jennings), incoraggia i giovani registi a uscire dagli schemi tradizionali della Lion e della Rank Production (Lovell). È da qui che si sviluppa il miglior cinema britannico degli anni Sessanta: quello degli Anderson, Davis, Donner, Forbes, Francis, Richardson e soprattutto Reisz e Schlesinger.
Così, Reisz, per il quale «il Free Cinema è un modo dii pensare che porta a ritrarre gli uomini in funzione del loro lavoro, del loro ambiente, delle loro abitudini», ha l’opportunità di manifestare un’identità britannica. «I nostri mezzi espressivi li trovavamo nelle città, nelle costruzioni, negli oggetti, nell’occhio sullo schermo». Una realtà sociale, perciò, un condizionamento materiale e anche il destino che vi è inscritto con toni particolarmente cupi e gravi. Momma Don’t Allow colloca in una sala da ballo un’effimera illusione di libertà, di contro agli atti alienanti del lavoro. In We Are the Lambeth Boys con maggior forza ritorna il segno della notte che spegne l’allegria festiva e con essa la speranza di un domani migliore.
Alberto Cattini, Reisz, Il Castoro cinema |
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| Tony Richardson |
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