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Mio XX secolo (Il) - Az en XX szazadom


Regia:Enyedi Ildiko

Cast e credits:
Sceneggiatura: Ildiko Enyedi; fotografia: Tibor Mathe; montaggio: Maria Rigo; musica: Laszlo Vidovszky; interpreti: Dorotha Segada (la madre, Dora, Lili), Oleg Jankowski (Z.), Paulus Manker (Otto Weininger), Peter Andorai (Edison); produzione: Friedlander filmproduktion/Vallalat Filmstudio; origine: Ungheria, 1989. Colore; durata: 102 min..

Trama:
Due gemelle orfane di Budapest, che vendono fiammiferi nella notte di Natale, sono separate dal destino e si ritrovano, ignare, vent'anni dopo sull'Orient Express: l'una fille de joie e avventuriera in prima classe, l'altra anarchica con voglia di attentati in terza classe. Saranno amate dallo stesso uomo, con i buffi equivoci del caso. Intanto, di là dall'Atlantico, Thomas Alva Edison inventa la lampadina elettrica.

Critica (1):Mentre nel New Jersey alla presenza di Thomas Edison si accendono le mille luci della sua nuova invenzione miracolosa (la lampadina), in un buio angolo del vecchio mondo, a Budapest, nascono due gemelline: Dora e Lilli. Su di loro veglieranno le stelle, non ancora esautorate dal nuovo corso tecnologico; che inizierà la sua marcia trionfale di lì a poco, con il ventesimo secolo carico di aspettative e speranze. Ma allora le gemelline saranno state già da tempo separate da un avverso destino (la morte della mamma) e l'adozione da parte di famiglie differenti. I parallelismi proseguono: fra vecchio e nuovo, ratio e sentimento, donna-istinto (Dora) e donna-intelletto (Lilli). In un anfiteatro gremito di suffragette il misogino Otto Weininger, nemico di Freud, tenta la dimostrazione della sua tesi sul materialismo sessuale e l'inferiorità mentale della donna con gli effetti esilaranti che si possono immaginare; ma anche Kropotkin, predicatore della superiorità del mondo animale, non sfugge alla sferzante ironia di questa messa in scena degli opposti, in cui storia e invenzione, bianco e nero, buono e cattivo, si mescolano in un continuo contrappunto a zig-zag (per cui il cane di Pavlov, simbolo dell'istintualità coatta, fugge con gli elettrodi in testa verso la libertà...). Uno zigzagare, quello della giovane regista alle prime armi, ma vincitrice della Camera d'Ora Cannes, attraverso gli aspetti contraddittori e grotteschi del (suo, cioè della regista, cioè personalissimo) ventesimo secolo; in cui può anche capitare che due gemelle salgano sullo stesso treno il (cine-)mitico Orient-Express e lo stesso uomo, caratterizzato da una semplice sigla, Z., (una pura variabile, forse?) incontri ed ami entrambe e con loro due opposti estremismi e alla fine della favola sarà proprio un animale a ricomporre i frantumi dell'originaria unità.

Birgid Raven, Vivi il cinema n. 22-23 aprile-maggio 1990.

Critica (2):Opera prima insignita della "Caméra d'Or", il film racconta, in un fascinoso bianco e nero, la vicenda di due gemelle orfane che, vendendo fiammiferi la notte di Natale come nella fiaba di Andersen, vengono separate dal destino per ritrovarsi ignare, vent'anni dopo, sull'Oriente Express diretto a Budapest. Una si guadagna da vivere come fille de joie e avventuriera da prima classe, l'altra è un'anarchica idealista confusa nel pittoresco caravanserraglio della terza. Entrambe saranno amate dallo stesso uomo, con i divertenti equivoci del caso. Intanto, dall'altra parte dell'oceano, Edison compie i suoi prodigiosi esperimenti... Concepito come un estroso omaggio al cinema muto, Il mio XX secolo è conseguentemente dedicato alla luce, quella artificiale, beninteso, alla quale, per inciso, sono state girate tutte le sequenze, tranne una, ma anche "alla luce divina, dello spirito e dell'amore, che mette l'uomo nella condizione di essere un Prometeo moderno". L'Edison interpretato dal bravissimo Péter Andorai rappresenta in questo senso uno degli ultimi campioni possibili di personalità "totale", destinata a perdersi in un Novecento "informatico" simboleggiato dal cane pavioviano.
La stessa duplice natura delle gemelle (una debole fuori e dura dentro, l'altra viceversa) è esemplificativa della schizofrenia a venire. Costruito in maniera molto libera, tra la favola e il racconto d'avventure intercontinentale modello Jules Verne, la commedia screziata di ironia e l'apologo "al femminile" (la strumentalità del personaggio di Oleg Jankowski, la conferenza - troppo ripetitiva - del sessuologo), il film, che si compiace di funzionali citazioni del melodramma musicale, ha una sua onirica, gradevole originalità, anche se l'accumulo esibito di tanta sapienza compositiva genera più di un sospetto di stucchevolezza. Da segnalare la doppia performance dell'incantevole Dorotha Segda.

Paolo Vecchi, Cineforum n. 285 Giugno 1989.

Critica (3):

Critica (4):
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