Viaggio di Capitan Fracassa (Il)
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Regia: | Scola Ettore |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Ettore Scola, Furio Scarpelli; fotografia: Luciano Tovoli; scenografia: Luciano Ricceri, Paolo Biagetti; musica: Armando Trovajoli; interpreti: Massimo Troisi (Pulcinella), Ornella Muti (Serafine), Vincent Perez (il Barone di Sigognac ), Emanuelle Béart (Isabella), Ciccio Ingrassia (Pietro), Jean-François Perrier (il Capitan Matamoro), Tosca d'Aquino (Zerbina), Lauretta Masiero (Lady Leonarde), Toni Ucci (il Tiranno), Massimo Wertmuller (Leandro); produzione: F. Committeri per Mas Film, L. Ricceri per Studio E L, Cecchi Gori Group Tiger e Gaumont; distribuzione: Penta; durata: 130; origine: Italia, 1990. |
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Trama: | Francia, XVII secolo: una carovana di guitti alla quale si aggrega il giovane e squattrinato barone di Sigognac, tra duelli, agguati, illusioni e amori, viaggia verso Parigi per incontrare re Luigi XIII. |
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Critica (1): | Di film in film, Ettore Scola dimostra di essere uno dei pochi registi "notevoli" e cinematografici del cinema italiano. E questo non è cosa da poco. Le storie che racconta possono non piacere e finanche irritare, rimane intatta, però, la sua capacità narrativa, l'abilità, da vero professionista, nel manipolare e far cantare le storie. Con lui non si grida al miracolo, eppure forse si dovrebbe, visti i colleghi con i quali ha a che fare.
Per descrivere certe sue caratteristiche, partiamo dalla storia: questa, come molte altre, è ben calibrata, non banale. Senza seguire gli schematismi americani, li supera: crea, lentamente, le situazioni per i suoi personaggi, dà il tempo di riflettere e pur di creare un mondo a tutto tondo, "rischia" di annoiare per poi esplodere, a metà film. La storia prende spunto dal Capitan Fracassa di Théophile Gautier (1811 - 1872), inserendoci nel bel mezzo - quale licenza poetica - la figura narrante di Pulcinella (e chi, se non Troisi, poteva ricoprire tale ruolo?).
Il barone di Sigognac abbandona il suo fatiscente castello per seguire il carro dei comici che, dai Pirenei, va verso Parigi: a spingerlo verso tale scelta è forse l'amore per Isabella (Emmanuelle Bèart), per Serafine (Ornella Muti) o per il teatro. Fa da sfondo una finta e teatrale Francia del '600, con mastodontici alberi costruiti a Cinecittà e con nebbie da Val Padana. Le vicissitudini del gruppo, gli incontri e gli amori non sono interessanti quanto la cura con la quale Scola e Scarpelli hanno costruito i personaggi: perfetti, complessi, ricchi di sfaccettature, di umori. Vivi. Ma non solo i protagonisti, anche i comprimari e, verrebbe da dire, tutti fino alle comparse. C'è da imparare. Soprattutto da parte del nuovo cinema italiano, così privo di personaggi intermedi: sembra quasi che, i nuovi autori, non sappiano scrivere che di protagonisti, di gente che domina la scena dall'inizio alla fine. Dove sono finiti tutti quei volti, quelle facce, i caratteristi che hanno fatto la forza trainante del nostro cinema migliore (almeno fino agli anni '60)? Oggi, quando ci ricapita di vedere vecchi film in bianco e nero, magari con De Sica e tutto il suo gruppo, rimaniamo incantati da qualcosa: non è solo la memoria che ci rende questi film più belli di quanto non siano (storia semplici, sentimenti a volte minimi, situazioni banali più che quotidiane). E lo spessore donatoci da quei personaggi che non erano protagonisti, erano le spalle che aiutavano i nostri sogni, uomini e donne che rendevano tutto più vero e convincente. Bastava una battuta, un tic, un modo di camminare, un gesto e tutto acquistava profondità, ci si incideva dentro.
È questo, l'incapacità a praticare queste cose, che ci rende scettici su certo nostro "nuovo cinema". Per fortuna, c'è qualcuno che ancora lo sa fare. Istintivamente, artigianalmente. Gli americani imparano spesso da noi (basta seguire i corsi di sceneggiatura tenuti a Roma da Robert McKee, per sentirselo dire), inventano regole e fanno film che funzionano. Questione, forse, di scuole. Per reimmergerci in storie "dense" dobbiamo "sperare".
Allora ci perdiamo dietro agli amori di Sigognac che, dopo aver provato sentimenti forti per le due belle della compagnia, capisce che l'unico vero amore lo prova per il teatro e per quel gruppo di cui diverrà capocomico. Ma questa storia sarebbe fin troppo monotona se non fosse rafforzata dalla presenza "realistica", vivace e spontanea d'uno spirito puro qual è Troisi. Al terzo film (dopo Splendor e Che ora è) l'affiatamento con Scola sembra perfetto. Certe sue uscite sono talmente spontanee che ci sembra di sentirle inventate là per là, giusto per noi. In tal modo il teatro che fa da sfondo diventa reale. E quando il sipario si chiude ci vien voglia, lo confessiamo di applaudire.
Demetrio Salvi, Cineforum n. 300, dicembre 1990 |
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