Segreti della mente (I) - Chatroom
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Regia: | Nakata Hideo |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Enda Walsh, dall’omonima pièce teatrale; fotografia: Benoît Delhomme; musiche: Kenji Kawai; montaggio: Masahiro Hirakubo; scenografia: Jon Henson; arredamento: Robert Wischhusen-Hayes; effetti: Neal Champion, Simon Carr; interpreti: Aaron Johnson (William), Imogen Poots (Eva), Matthew Beard (Jim), Hannah Murray (Emily), Daniel Kaluuya (Mo), Megan Dodds (Grace), Michelle Fairley (Rosie), Nicholas Gleaves (Paul), Jacob Anderson (Si), Tuppence Middleton (Candy), Ophelia Lovibond (Charlotte), Richard Madden (Ripley), Elarica Gallacher (Ushi), Rebecca Mclintock (Keisha), Scarlett Sabet (Betsy), Emily Spires (Laura), Gerald Home (Tony Layton); produzione: Ruby Films Production-Film4-Uk Film Council and Westend Films-Molinare (London) and Universum; distribuzione: Bim; origine: Gran Bretagna, 2010; durata: 97’. |
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Trama: | Cinque teenagers si incontrano in chat e diventano amici. Improvvisamente un componente disadattato del gruppo inizia a manipolare il più vulnerabile della chat, portandolo sulla via del non ritorno. Un elegante thriller psicologico tra mondo reale e virtuale, che espone la raccapricciante situazione di ciò che accade quando i confini tra realtà e cyberspazio si confondono. |
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Critica (1): | «Quando ho diretto Ringu, nel 1998, tutti i giovani possedevano un videoregistratore. All’epoca, lo schermo televisivo e il videoregistratore erano i mezzi privilegiati attraverso i quali i ragazzi guardavano il mondo. Anche con I segreti della mente entriamo nel mondo dei giovani, ma questa volta attraverso Internet, che è il mezzo più usato oggi.
I segreti della mente rispecchia questa realtà che tutti conosciamo e condividiamo. I due giovani protagonisti, William e Jim, soffrono per i traumi della loro vita reale e sono affascinati dall’idea della morte. Devo confessare che io ero un po’ come loro, da ragazzo: anche ora, sento il loro dolore come se fosse il mio.
Sono sicuro che questo film non piacerà solo agli adolescenti in crisi che passano le loro giornate chattando al computer, ma anche a quelli che, nonostante i loro problemi, cercano di vivere un’esistenza migliore e più significativa nel mondo reale.
Dal punto di vista registico, è stato stimolante e impegnativo cercare un modo efficace di visualizzare le sedute di chat. Via via che i giovani cominciano a sentirsi sempre più a loro agio nel mondo virtuale e a disagio in quello reale, le sedute di chat ne I segreti della mente sono dense di colori vivaci mentre i personaggi del mondo reale appaiono sempre più scialbi e sbiaditi». (dichiarazione del regista, in sentieriselvaggi.it)
«Sono partito dall’immagine di una madre che guarda la porta chiusa della camera del figlio e pensa: “Non ho la minima idea di cosa stia facendo lì dentro…”
È una storia di manipolazione vecchia come il mondo. Ricorda un po’ Il signore delle mosche, come atmosfere. C’è un ragazzo molto intelligente che ne prende di mira uno più fragile e decide di rendergli la vita un inferno». (Enda Walsh – sceneggiatore, in sentieriselvaggi.it) |
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Critica (2): | Proviamo a pensare una storia che parli di Facebook e dei moltissimi social network che sono parte della nostra realtà, dove si inventano personalità, nomignoli, età e ruoli, una cosa da adolescenti, che anche molti over 50 non disdegnano. E pure di tutti quegli altri luoghi non sempre 'innocenti' che si possono trovare in rete, i siti violenti di bullismo fino alla pedofilia. A questo punto: se la storia dovesse diventare un film quali sarebbero le sue immagini? È qui che comincia Chatroom, da questa voglia di 'mettere' la rete nel cinema, processo inverso ai film scaricati. Del resto l'idea della 'rete' in forma di relazioni multiple e immateriali appartiene al cinema di Hideo Nakata dai tempi di The Ring, film 'culto' per la generazione post-cinefila (...). I fan del regista saranno probabilmente delusi. L'inquietudine che dieci anni fa pervadeva le immagini di The Ring sembra infatti essere sfumata, quasi come se tra i 'fantasmi' della rete si fossero perduti ambiguità e senso del 'doppio'. C'è qualcosa di meccanico nel film, a cominciare dalle immagini usate per mostrare l'alternanza di realtà e rete in cui Nakata non inietta l'ambiguità crudele necessaria al racconto della seduzione, del dolore, del rimpianto. Tutto è molto scritto e spiegato, quasi rispondendo a una paura del vuoto. E anche l'uso del suicidio, così radicato nell'immaginario giapponese, come incubo reso desiderio collettivo risulta un tantino posticcio – penso a Gushing Prayer di Masao Adachi (...) e alla violenza dell'elenco di sucidi giovani recitata dalla voce femminile fuoricampo.
Cristina Piccino, Il Manifesto, 15/5/2010 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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