Riusciranno i nostri eroi a ritrovare
l'amico misteriosamente scomparso in Africa?
| | | | | | |
Regia: | Scola Ettore |
|
Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Age, Furio Scarpelli, Ettore Scola; fotografia: Claudio Cirillo; scenografia: Gianni Polidori; costumi: Bruna Parmesan; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Franco (Kim) Arcalli; interpreti: Alberto Sordi (Fausto Di Salvio), Bernard Blier (rag. Ubaldo Palmarini), Nino Manfredi (Oreste Sabatini), Franca Bettoja (Rita Di Salvio), Giuliana Lojodice (Marisa Sabatini), Manuel Zarzo (Pedro Torneo), José Maria Mendoza (il Leopardo), Erika Blanc (madame Etchendief, la matta), Victor André (padre Francesco), Ramiro Duogo (il meccanico), Clara Montero (Maria Carmen), Domingo Figueras (Durabal), Roberto De Simone (padre Cerioni), Alfredo Marchetti (colonnello Zappavigna), Manuel Marquas (lo "speaker"), Ivo Sebastianelli (Benedetto Campi, il camionista), Edgar Monteiro (il colono Fernando), Claude De Solms (Florinda, moglie di Fernando); produzione: Gianni Hecht Lucari e Fausto Saraceni per la Documento Film (Roma); origine: Italia,1968; durata: 129'. |
|
Trama: | Fausto Di Salvio, editore, parte per l'Angola in compagnia del fedele collaboratore, il ragionier Ubaldo Palmarini, allo scopo di ritrovare il cognato Titino Sabatini del quale - andato in Africa anni addietro lasciando la moglie Marisa -manca da mesi qualsiasi notizia. Seguendo le tracce che questi si è lasciato alle spalle, i due scoprono che Titino è stato di volta in volta camionista, mercenario, missionario, ingegnere. Le ricerche conducono i due a uno strano tipo di donna che, dopo aver rivelato di essere stata amata da Titino, mostra loro la sua tomba. Ritenendo terminato il loro compito, Fausto e Ubaldo si accingono a ripartire per l'Italia, ma un portoghese, Pedro, li convince che Sabatini è ancora vivo e che al suo posto è stato seppellito un violino. |
|
Critica (1): | [...] Nel 1968 Scola va in Angola, a girare Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?, che con la rivolta di Berkeley, il maggio francese e Valle Giulia ha apparentemente ben poco a che vedere. [...] Ogni viaggio porta con sé l'idea della fuga, piccola o grande che sia. Nel caso di Riusciranno i nostri eroi... la fuga cela una sparizione, quella di Titino (Nino Manfredi), e il viaggio, intrapreso dall'affermato editore romano (Alberto Sordi), suona sintomatico del desiderio di evadere da una certa realtà. Più che per accontentare la sorella, o per ritrovare il cognato, di cui, francamente, non gli importa nulla, Fausto Di Salvio si muove alla volta dell'Africa in cerca di avventura, lasciando a Roma gli affari e gli affanni: una vacanza da vivere con entusiasmo, magari moderato dalla presenza del ragionier Palmarini (Bernard Blier), prova vivente - con il suo carattere di eterno sottomesso - del sistema di valori a cui l'editore crede e appartiene.
A parole illuminato e progressista, questo Di Salvio è un campione di contraddizioni, figura tipica di quel capitalismo paternalista e sostanzialmente reazionario che, nell'Italia del boom, oltreché i soldi, ha trovato una improbabile, e comunque mal assorbita, cultura liberale. Così, andare in Africa significa scoparsi le negrette bestemmiando contro il razzismo (che, notoriamente, da noi non esiste, non è mai esistito neanche quando c'era Lui...). Una volta a destinazione, le certezze cominciano a vacillare. Intanto, c'è la storia dello scomparso, che bisogna pur risolvere e che non si presenta per niente facile. Poi, la "ventiquattrore", i paroloni, il "lei non sa chi sono io", le frasi fatte di chi leggiucchia i settimanali d'orientamento progressista, tutto lascia il tempo che trova. Persino il ragionier Palmarini, così docile e remissivo, sembra un altro e non basta più rimproverarlo con la solita solfa del piccolo-borghese-miope-e-conservatore, perché, se così stanno le cose, lui, l'editore di sinistra è, in realtà, un opportunista reazionario.
L'Africa rimescola le carte e a Di Salvio capitano le peggiori, in un susseguirsi di disavventure il cui effetto è di mandare in tilt il sistema di valori dell'italiano in vacanza. È a questo punto che lo scomparso può tranquillamente riapparire, in cima a una montagnola di pietre, magliaro della pioggia, con almeno il coraggio di aver rotto i ponti una volta per tutte con quel sistema di valori (magari mutandone certi aspetti, visto il pedigree di truffe che si ritrova, ma abbandonando per strada il perbenismo e le giustificazioni con cui quelle stesse truffe avrebbero trovato il modo di ammantarsi di rispettabilità in Italia). II piccolo burocrate, ora stregone amato e rispettato dagli indigeni, il salto nel buio l'ha fatto per davvero. Per il cognato editore, invece, è solo immaginazione, ricordo di mirabolanti avventure vissute sui libri di Salgari e Verne.
A quei romanzi occhieggia, sin troppo esplicitamente, il titolo del film, la cui sceneggiatura - per la prima volta senza Maccari - porta la firma di Age, Scarpelli e naturalmente dello stesso Scola. Sarà un titolo, come spesso succede per i film sceneggiati o diretti da Scola, destinato a far fortuna nel linguaggio corrente, entrando a designare le missioni "impossibili", un tantino retoriche e ridicole. Consueto successo di pubblico (ma in quello stesso anno Sordi si supera abbondantemente con Il medico della mutua e Celentano fa il pieno con Serafino) e abituali riserve nelle note dei recensori, che, pur riconoscendo al regista "un paio di volte, la grinta dell'antirazzismo" (Fernaldo Di Giammatteo, in Bianco e nero, n. 1-2, 1969) e l'assenza di volgarità (ancora!), trovano in genere che i limiti siano superiori ai pregi. Curiosa, piuttosto, la difesa che ne fa Ennio Flaiano sul Corriere della Sera del 1 marzo 1969: "L'italiano, nella sua qualità di personaggio comico, è un tentativo della natura di smitizzare se stessa. Prendete il Polo Nord: è abbastanza serio in sé. Un italiano al Polo Nord vi aggiunge subito qualcosa di comico, che prima non ci aveva colpito. Il Polo Nord non è più serio. La vastità della superficie ghiacciata è eccessiva. A che serve? Perché? Non si può far niente per rimediare? pensa il personaggio comico italiano". L'arte di arrangiarsi come categoria del comico, e il comico come categoria dell'italiano, o addirittura dell'italianità.
Ma torniamo al '68, che Scola non ha fatto perché stava in Africa. Col senno di poi: "...pur tra istanze e illusioni cadute, ha fatto giustizia di molte soggezioni, specialmente giovanili, e ha affermato diritti con i quali le mentalità pubbliche e private hanno dovuto fare i conti più di quanto manifestamente appaia nei risultati. Per limitarci a un discorso settoriale, i giovani che oggi aspirano ad esprimersi per immagini (una volta si diceva "a entrare nel cinema") non accetterebbero in alcun modo l'istituto del negro: e infatti, se Dio vuole, è definitivamente e fortunatamente scomparso. Il giovane di trent'anni fa sperava di riuscire per via di imitazioni, cercava cioè di fare quello che altri stavano facendo, di inventare qualcosa che potesse sembrare inventato dai "maestri". Oggi, se Dio vuole, non ci sono né alunni né maestri" (da Qualche parentesi sul disporre in scena, in Pubblico 1981, a cura di Vittorio Spinazzola, Milano, 1981).
Col senno di allora: un film come Riusciranno i nostri eroi..., pur senza affrontare il "tema del giorno", acutizza la rappresentazione di una società in crisi che vedendo sgonfiarsi i miti in cui è cresciuta, cerca soluzioni altrove, in qualche rasserenante vacanza (o impossibile fuga). La comicità del film nasce dal senso di crescente disagio che attanaglia Sordi-Di Salvio, emblematico rappresentante di un modus vivendi prossimo, si immaginava allora, alla resa dei conti, più pericoloso del nemico frontale perché subdolamente riformista, da centro-sinistra, soffocante con i suoi ammiccamenti. [...] si può concludere che con Riusciranno i nostri eroi..., la commedia, e il cinema di Scola in particolare, se non il vigore misteriosamente scomparso, comincia a ritrovare una ragion d'essere rispetto alla realtà nella quale si colloca (la qual cosa non si può dire a proposito de L'Arcidiavolo, o - per restare ad un'altra commedia, non solo di Scola, di quello stesso anno - de Il medico della mutua dove, nonostante Zampa, ha la meglio il Sordi già propenso al moralismo di certe sue successive regie).[...]
Roberto Ellero, Ettore Scola, L'Unità/Il Castoro, 1995 |
|
Critica (2): | Ogni viaggio porta con sé l'idea della fuga, piccola o grande che sia. Nel caso di Riusciranno i nostri eroi... la fuga cela una sparizione, quella di Titino (Nino Manfredi), e il viaggio, intrapreso dall'affermato editore romano (Alberto Sordi), suona sintomatico del desiderio di evadere da una certa realtà. Più che per accontentare la sorella, o per ritrovare il cognato, di cui, francamente, non gli importa nulla, Fausto Di Salvio si muove alla volta dell'Africa in cerca di avventura, lasciando a Roma gli affari e gli affanni: una vacanza da vivere con entusiasmo, magari moderato dalla presenza del ragionier Palmarini (Bernard Blier), prova vivente - con il suo carattere di eterno sottomesso - del sistema di valori a cui l'editore crede e appartiene. A parole illuminato e progressista, questo Di Salvio è un campione di contraddizioni, figura tipica di quel capitalismo paternalista e sostanzialmente reazionario che, nell'Italia del boom, oltreché i soldi, ha trovato una improbabile, e comunque mal assorbita, cultura liberale. Così, andare in Africa significa scoparsi le negrette bestemmiando contro il razzismo (che, notoriamente, da noi non esiste, non è mai esistito neanche quando c'era Lui...). Una volta a destinazione, le certezze cominciano a vacillare. Intanto, c'è la storia dello scomparso, che bisogna pur risolvere e che non si presenta per niente facile. Poi, la "ventiquattrore", i paroloni, il "lei non sa chi sono io", le frasi fatte di chi leggiucchia i settimanali d'orientamento progressista, tutto lascia il tempo che trova. Persino il ragionier Palmarmi, così docile e remissivo, sembra un altro e non basta più rimproverarlo con la solita solfa del piccolo-borghese-miope-e- conservatore, perché, se così stanno le cose, lui, l'editore di sinistra, è in realtà, un opportunista reazionario. L'Africa rimescola le carte e a Di Salvio capitano le peggiori, in un susseguirsi di disavventure il cui effetto è di mandare in tilt il sistema di valori dell'italiano in vacanza. È a questo punto che lo scomparso può tranquillamente riapparire, in cuna a una montagnola di pietre, magliaro della pioggia, con almeno il coraggio di aver rotto i ponti una volta per tutte con quel sistema di valori (magari mutandone certi aspetti, visto il pedigree di truffe che si ritrova, ma abbandonando per strada il perbenismo e le giustificazioni con cui quelle stesse truffe avrebbero trovato il modo di ammantarsi di rispettabilità in Italia). Il piccolo burocrate, ora stregone amato e rispettato dagli indigeni, il salto nel buio l'ha fatto per davvero. Per il cognato editore, invece, è solo immaginazione, ricordo di mirabolanti avventure vissute sui libri di Salgari e Verne.
A quei romanzi occhieggia, sin troppo esplicitamente il titolo del film, la cui sceneggiatura - per la prima volta senza Maccari - porta la firma di Age, Scarpelli e naturalmente lo stesso Scola. Sarà un titolo, come spesso succede per i film sceneggiati o diretti da Scola, destinato a far fortuna nel linguaggio corrente, entrando a designare le missioni "impossibili", un tantino retoriche e ridicole. Consueto successo di pubblico (ma in quello stesso anno Sordi si supera abbondantemente con Il medico della mutua e Celentano fa il pieno con Serafino) e abituali riserve nelle note dei recensori, che, pur riconoscendo al regista "un paio di volte, la grinta dell'antirazzismo". (Fernaldo Di Giaammatteo, in "Bianco e nero", n. 1-2,1969) e l'assenza di volgarità (ancora!), trovano in genere che i limiti siano superiori ai pregi. Curiosa, piuttosto, la difesa che ne fa Ennio Flaiano sul "Corriere della Sera" del 19 marzo 1969: "L'italiano, nella sua qualità di personaggio comico, è un tentativo della natura di smitizzare se stessa. Prendete il Polo Nord: è abbastanza serio in sé. Un italiano al Polo Nord vi aggiunge subito qualcosa di comico, che prima non ci aveva colpito. Il Polo Nord non è più serio. La vastità della superficie ghiacciata è eccessiva. A che serve? Perché? Non si può far niente per rimediare? Pensa il personaggio comico italiano". L'arte di arrangiarsi come categoria del comico, e il comico come categoria dell'italiano, o addirittura dell'italianità.
Ma torniamo al '68, che Scola non ha fatto perché stava in Africa. Col senno di poi: "..pur tra istanze e illusioni cadute, ha fatto giustizia di molte soggezioni, specialmente giovanili, e ha affermato diritti con i quali le mentalità pubbliche e private hanno dovuto fare i conti più di quanto manifestamente appaia nei risultati. Per limitarci a un discorso se tonale, i giovani che oggi aspirano ad esprimersi per immagini (una volta si diceva "a entrare nel cinema") non accetterebbero in alcun modo l'istituto del negro: e infatti, se Dio vuole, è definitivamente e fortunatamente scomparso. Il giovane di trent'anni fa sperava di riuscire per via di imitazioni, cercava cioè di fare quello che altri stavano facendo, di inventare qualcosa che potesse sembrare inventato dal "maestri". Oggi, se Dio vuole, non ci sono né alunni né maestri (da Qualche parentesi sul disporre in scena, in "Pubblico 1981", a cura di Vittorio Spinazzola, Milano 1981).
Col senno di allora: un film come Riusciranno i nostri eroi..., pur senza affrontare il "tema del giorno", acutizza la rappresentazione di una società in crisi che vedendo sgonfiarsi i miti in cui è cresciuta, cerca soluzioni altrove, in qualche rasserenante vacanza (o impossibile fuga).
Roberto Ellero, Scola, La Nuova Italia, gennaio-febbraio 1988 |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| Ettore Scola |
| |
|