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Copia originale - Can You Ever Forgive Me?


Regia:Heller Marielle

Cast e credits:
Soggetto: da libro omonimo di Lee Israel; sceneggiatura: Nicole Holofcener, Jeff Whitty; fotografia: Brandon Trost; musiche: Nate Heller; montaggio: Anne McCabe; scenografia: Stephen H. Carter; arredamento: Sarah E. McMillan; costumi: Arjun Bhasin; effetti: Mark Vicidomini; suono: Damian Volpe; Melissa McCarthy (Lee Israel), Richard E. Grant (Jack), Jane Curtin (Marjorie), Dolly Wells (Anna), Anna Deavere Smith (Elaine), Josh Evans (capo ufficio); produzione: Archer Gray, Fox Searchlight Pictures; distribuzione: 20th Century Fox; origine: Usa, 2018; durata: 106’.

Trama:Quando gli editori si orientano su libri sempre più semplici e corrivi, la scrittrice Lee Israel si trova senza lavoro. I suoi tanti volumi dedicati, tra gli altri, a Katharine Hepburn ed Estée Lauder, non la salvano dal tracollo economico. Passa allora a redditizie truffe letterarie: falsifica lettere di celebrità decedute. Falso e originale, copia e collezionismo, riproducibilità intellettuale più che tecnica. Ispirata alle memorie della scrittrice Lee Israel.

Critica (1):Il cinema e il mondo dell’editoria. Due settori in crisi, dove i budget si sono abbassati e gli incassi non lasciano ben sperare. Tutti possono scrivere o girare un film: bastano un computer o un telefono. La vera domanda è: che cosa pubblicare/distribuire? La risposta non spetta agli “autori”, in entrambi i casi. Così sullo schermo si inizia a ragionare sul futuro dei libri. (...)
Lee Israel è una scrittrice che non sa più come pagare le bollette. La sua agente dice: “Il tuo lavoro non è interessante per i lettori”. E non le dà un anticipo sul prossimo romanzo. Tom Clancy prende più di tre milioni per le sue storie, mentre lei neanche un dollaro. Idea: contraffare le antiche lettere di grandi star del passato (da Noël Coward a Dorothy Parker), e rivenderle ai collezionisti. Così il genio della truffa riesce ad arrivare a fine mese, anche con l’FBI alle calcagna.
La vera vittima in Copia originale non è chi compra, ma la verità. “Non importa che siano autentiche, la gente va matta per queste cose”, spiega un rivenditore senza scrupoli. Un altro scopre di avere tra le mani un falso assoluto, e decide di lasciarlo in vetrina, al prezzo di duemila verdoni. Una rapina. (…) Quindi qual è la copia originale? Quella custodita in un museo? Quella scrupolosamente conservata nella teca di un ricco fan? Non importa. La verità ormai è qualcosa su misura, che ognuno si costruisce secondo i propri gusti.
Donne e inchiostro, un mantra di questa edizione del Torino Film Festival, da Colette a Copia originale. Grandi interpretazioni, con attrici energiche, pronte a non piegarsi davanti all’impossibile. Qui a rubare la scena è Melissa McCarthy, reginetta della commedia oltre il limite, che gioca con il politicamente scorretto. Più che recitarlo, sembra incarnare il suo scombinato personaggio, che vive in una casa indecente, innamorata dei gatti e del collo della bottiglia, parla in modo scurrile, e viene considerata “impresentabile”.
Ma è proprio questa la sua forza. Non deve dimostrare niente, non ha un’immagine da difendere, vive gli eccessi con spirito leggero. Accetta l’amicizia del suo “compare”, ma forse è un gioco delle parti. Recitano a loro stessi, per illudersi di ricevere un po’ di calore umano. Mentre la New York dei primi anni Novanta appare fredda e buia. E gli abitanti della Grande Mela si comportano come tante piccole isole, faticano a incontrarsi, fanno disperati tentativi di rimanere a galla. Tutto questo in un piccolo film dal cuore grande.
Gian Luca Pisacane, cinematografo.it, 29/11/2018

Critica (2):Melissa McCarthy è candidata all’Oscar come migliore attrice per Copia originale, la vera storia di Lee Israel, una solitaria e amareggiata scrittrice di biografie di celebrità che decide di diventare falsaria per pagare i conti quando il lavoro scarseggia. L’Academy in precedenza aveva nominato McCarthy come attrice non protagonista per Le amiche della sposa del 2011, il tipo di commedia chiassosa che è diventata la sua specialità. McCarthy fa sicuramente ridere, ma questo ruolo – una donna sempre sbronza e irritabile con un cuore malconcio e una spina dorsale di acciaio – è prima di tutto drammatico. E McCarthy soddisfa tutte le aspettative, è uno schiacciasassi.
La regista Marielle Heller, che ha esordito trionfalmente con Diario di una teenager del 2015, qui va a segno ancora una volta. Dà al film quel tocco atmosferico dei primi anni ’90 a Manhattan che ricorda Woody Allen e Seinfeld. Dalle panchine nel parco, dai ristoranti e dagli squallidi bar al fatiscente appartamento nell’Upper West Side di Lee, tutto sembra vissuto – per non parlare della cacca di gatto sotto il divano. Lee è molto amorevole con quel gatto malaticcio, ma il resto del mondo viene massacrato dalla sua boccaccia. A una festa a New York data dalla sua bistrattato agente (che bello vedere di nuovo Jane Curtin), l’autrice prende in giro tutti quelli che vede, soprattutto il romanziere di bestseller macho Tom Clancy. “Signore, dammi la sicurezza di un uomo bianco mediocre”, dice con sfacciataggine.
Mentre è in biblioteca a fare ricerche per un libro su Fanny Brice – che nessun editore vuole -, Lee trova due lettere, scritte dalla Funny Girl in persona, nascoste tra le pagine di un vecchio volume. E dopo aver scoperto che può venderle per pochi dollari in una libreria locale gestita dalla sua amica Anna (Dolly Wells), l’ex-biografa intraprende la sua nuova carriera come falsaria. Capisce che il valore di mercato aumenta se le lettere sono vivaci, usa le sue capacità di scrittura creativa per migliorare la corrispondenza di luminari come Noel Coward e Lillian Hellman. “Sono una Dorothy Parker migliore di Dorothy Parker,” gongola. Dal nulla la donna si costruisce un giro di affari, vendendo finta corrispondenza a un ignaro collezionista (Stephen Spinella). Ha tanto successo che assume un braccio destro, Jack Hock (Richard E. Grant), un abile narratore gay inglese che riesce ad affascinare anche i casi più difficili (come un minaccioso ricattatore interpretato dal marito di McCarthy, Ben Falcone) e sa bene quanto vale: “Non sottovalutare mai degli scintillanti occhi blu e un po’ di intelligenza di strada”.
Le scene accattivanti di McCarthy insieme a Grant sollevano il film dal rischio ripetitività mentre Lee e Jack mandano avanti il loro business illegale nella speranza che i compratori e l’FBI non li becchino. Almeno, non ancora. Grant (Withnail & I) non ha un ruolo così ghiotto da anni. È sublime. Eppure il film è tutto di McCarthy, che rivela il cuore di Lee senza ricorrere alle cazzate del sentimentalismo hollywoodiano. In un promettente primo appuntamento con Anna, rovina tutto stando sulla difensiva. E il suo rendez-vous con un’ex-amante (Anna Deavere Smith), che comprensibilmente non se la riprenderà, è un vero proprio studio sull’auto-sabotaggio.
Lee, scomparsa nel 2014 a 75 anni, si è fatta un’ultima risata trasformando la sua cattura da parte dell’FBI – dopo una truffa durata tre anni in cui ha falsificato più di 400 lettere – in un best seller chiamato Can You Ever Forgive Me? “Continuo a pensare che le lettere,” ha scritto Israel, “siano il mio lavoro migliore”. (Le sarebbe piaciuto altrettanto anche il film.) Non c’è un grammo di aggressività da sitcom nella sceneggiatura che Nicole Holofcener e Jeff Whitty hanno tratteggiato dal suo libro di memorie. E Heller non dice mai quello che Lee sta pensando, anche se di questo c’è traccia nella colonna sonora traboccante delle canzoni preferite della scrittrice: Peggy Lee, Blossom Dearie, Jeri Southern e Dinah Washington – donne jazziste che hanno cantato quel blues che questa esperta falsaria ha vissuto ma non è mai riuscita a esprimere. È McCarthy che ci permette di vedere Lee come una donna a 360 gradi – un ruolo che dimostra che lei ha quello che serve per fare dramma, commedia e tutto quello che ci sta in mezzo.
Peter Travers, rollingstone.it, 24/2/2019

Critica (3):

Critica (4):
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