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Albero (L') - Arbre (L')


Regia:Bertuccelli Julie

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo di Judy Pascoe "Our Father Who Art In The Tree"; fotografia: Nigel Bluck; musiche: Grégoire Hetzel; montaggio: François Gédigier; scenografia: Steven Jones-Evans; costumi: Joanna Park; interpreti: Charlotte Gainsbourg (Dawn O'Neil), Marton Csokas (George), Morgana Davies (Simone O'Neil), Aden Young (Peter), Penne Hackforth-Jones (Sig.ra Johnson), Christian Byers (Tim), Tom Russell (Lou), Gillian Jones (Vonnie), Arthur Dignam (Zio Jack), Gabriel Gotting (Charlie); produzione: Les Films Du Poisson-Taylor Media-Centre Images-Backup Films-Dorje Films-Canal+-Arte France Cinéma-Wdr, Zdf-Screen Australia et Pacific Film And Television Commission; distribuzione: Videa-Cde; origine: Francia, Australia, 2010; durata: 100’.

Trama:La vita di Dawn e Peter O'Neil e dei loro quattro figli scorre felice in un quartiere residenziale della periferia australiana. Poi, una notte, tutto cambia drammaticamente: Peter muore in un incidente d'auto causato da un infarto che lo ha colto all'improvviso, lasciando Dawn sola a far fronte al suo lutto e a crescere i loro bambini. L'unico sostegno al dolore di tutti è il senso di protezione che provano all'ombra dell'amato Fico della Baia di Moreton, un imponente albero del loro giardino che da sempre è stato rifugio, luogo di gioco e svago per tutta la famiglia. Soprattutto lo è diventato per la piccola Simone che ogni notte, tra i fruscii delle foglie e dei rami, sente la voce del suo papà e per questo si rifiuta di scendere dall'albero. Ben presto, sotto lo sguardo incredulo dei vicini, la piccola viene raggiunta dalla madre e dai fratelli, ma quando l'albero inizia a crescere invadendo con le sue radici e i suoi rami la casa degli O'Neil, Dawn diventa consapevole che dovrà prendere una decisione che cambierà la loro vita per sempre.

Critica (1):L'albero, albero della vita in senso molto più letterale che nella pellicola Palma d'oro di Malick, porta la firma della francese Julie Bertuccelli, documentarista che nel 2003 era passata alla fiction con l'apprezzato Depuis qu'Otar est parti, basato sull'elaborazione di un lutto proprio come questo suo secondo film ispirato al romanzo dell'australiana Judy Pascoe, My Father Who Art in the Tree. (...) Nonostante molto legato al punto di vista della bambina, il film non chiede allo spettatore di condividerne la visione: sullo schermo l'albero diventa la metafora di un'assenza-presenza, però la connotazione simbolica non prende il sopravvento. La Bertuccelli non cede il passo all'onirico, né scade nel melodramma e i suoi collaboratori si adeguano al registro quieto ed essenziale del racconto: dal musicista minimalista Gregoire Hetzel a Nigel Buck che fotografa l'albero conferendogli una complessa suggestione di creatura vivente senza ricorrere ad artifici. Altrettanto intonati gli interpreti: i bambini (fra cui l'incantevole Morgana Davies) mai bamboleggianti o patetici, il persuasivo neozelandese Marton Csokas, Charlotte Gainsbourg molto a proprio agio nel registro delle emozioni sussurrate. Ecco, il solo rischio di questa sinfonia dai toni delicati può essere l'eccesso di sottotono.
Alessandra Levantesi Kezich, La Stampa, 8/7/2011

Critica (2):La regista francese Julie Bertucelli si è fatta co­noscere qualche anno fa con un buon esordio, Da quando Otar è partito, film ambientato a Thilisi, capitale della Georgia post comunista, ch affronta il tema della perdita di una persona cara attraverso una storia familiare poetica e ispirata. a distanza di qualche anno la Bertucelli torna ancora sul tema della perdita adattando un romanzo di Judy Pascoe (...) e spostandosi dalla Georgia post comunista all'Australia, perdendo però in questo lungo «viaggio» un po' del suo tocco.
La scena iniziale del film (passato due anni fa in Concorso a Cannes) è suggestiva e metaforica. Un tir trasporta un carico eccezionale: una casa prefabbricata in legno tutta fatta e compiuta. Sborda di molti metri a destra e a sinistra in un equilibrio precario solcando lieve l'oriz­zonte australiano, potente e primiti­vo. Una casa che cerca un posto, una famiglia, una storia, un destino... e un albero. In Australia ci sono degli alberi giganteschi, so­prattutto se si tratta di alberi di fico Moreton Bay. Quello che svetta vicino alla casa di legno è un albero secolare, enorme, vasto. Tutto è perfetto, tutto è armonioso. Il vento passa tra le fronde, il sole scalda il cielo azzurro, gli uccelli si appoggiano sui rami, i bambini giocano con l'altalena appesa ai rami. L'albero accoglie tutti, l'albero è il simbolo della vita e della natura. La famigliola protagonista del film vive in sintonia con l'ambiente, madre, padre e quattro bambini. Ambiente folk e paesaggi immensi. Ma la natura può essere tanto bella quanto maligna, dà e prende, e proprio sotto il grande albero va ad appoggiarsi il pick up del padre colpito da attacco di cuore. In macchina c'è la sua bambina di otto anni che assiste al tragico evento. L'equilibrio e l'armonia si rompono. L'ombra della morte si appoggia sulla casa di legno avvolgendo i superstiti. Ognuno di loro cerca un modo per affrontare la perdita. La madre (interpretata dalla sempre bella e brava Charlotte Gainsbourg) affonda nel dolore ma deve far fronte alle sue responsabilità, mentre gli altri bambini si perdono nella vita che continua. La bambina è quella che ha la risposta più emotiva, scorgendo nel grande albero una sorta di reincarnazione del padre. Lo sente parlare, ci parla e «convince» la madre a fare lo stesso.
Ecco, non pensate a niente di fantasmatico, perché il tutto è gestito con molta verosimiglianza e poeticità. Questo è lo spunto per una storia semplice e a suo modo profonda che ha come unica pecca un eccesso di calligrafismo. La natura australiana rapisce fin troppo l'occhio della regista che vi si perde cedendo, an­che se involontariamente, a quel che oggi diremmo «malickiano». (...)
Dario Zonta, L’Unità, 8/7/2011

Critica (3):

Critica (4):
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