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Ereditiere (Le) - Herederas (Las)


Regia:Martinessi Marcelo

Cast e credits:
Sceneggiatura: Marcelo Martinessi; fotografia: Luis Artega; montaggio: Fernando Epstein; scenografia: Carlo Spatuzza; costumi: Tania Simbrón; suono: Pablo Lamar; interpreti: Ana Brun (Chela), Margarita Irún (Chiquita), Ana Ivanova (Angy), Patricia Abente, Alicia Guerra (Carmela); produzione: Karen Franenkel, Sebastián Peña Escobar per La Babosa Cine, coprodotto da Hilde Berg, Agustina Chiarino, Christoph Friedel, Júlia Murat per Pandora Filmproduktion, Mutante Cine, Esquina Filmes, Norsk Filmproduksjon A/S; distribuzione: Lucky Red; origine: Norvegia-Paraguay-Germania-Brasile-Uruguay, 2017; durata: 95’.

Trama:Asuncion, Paraguay. 2012. Due donne Chela e Chiquita, entrambe discendenti della borghesia coloniale decaduta, hanno ereditato abbastanza soldi per vivere agiatamente. Dopo essere state insieme per trent'anni, devono separarsi a causa di una deleteria situazione finanziaria. Per via di un debito da saldare, infatti, sono costrette a vendere i loro beni e Chiquita finisce in carcere. Ritrovatasi da sola, Chela deve affrontare una nuova realtà, nonché cambiare il suo vecchio stile di vita. Riprende a guidare dopo anni di stop e inizia a lavorare come tassista per un gruppo di anziane signore benestanti. Nella sua nuova routine un giorno entra anche la giovane Angy, con cui Chela stabilirà un legame che la porterà ad aprirsi al mondo e a intraprendere una rivoluzione personale.

Critica (1):Lascia un segno forte, accolto da standing ovation, il debutto al concorso della 68. Berlinale del regista e autore paraguaiano Marcelo Martinessi con Las herederas (...)
Prodotto con finanziamenti tedeschi, il film racconta della crisi di una coppia di donne anziane, ma in forma di studio sociale e politico, delicato e preciso, sulla lotta per la sopravvivenza di persone “normali” in un mondo, nello specifico narrativo in un paese, dominato da pochi, ricchissimi potenti.
Il profondo, commovente, veritiero resoconto della crisi di un’amore maturo Martinessi lo trasforma in una parabola della situazione politica e sociale del Paraguay dopo la destituzione del Presidente Lugo, nel 2012, ex vescovo cattolico prima che politico. Il presidente dei poveri ha lasciato il posto a vecchi cartelli di potere che hanno bloccato un paese fino a pochi anni fa sull’orlo di una rinascita.
Al riguardo, Martinessi ha detto: “Noi paraguaiani ci sentiamo in prigione. Siamo in prigione. Perché il colpo di stato del 2012 ci ha rigettato, sotto ogni punto di vista, in un passato che stavamo facendo di tutto per superare una volta per tutte. Il compito della mia generazione è ridare un futuro al Paraguay. Per questo ho fatto questo film”.
La protagonista, la bravissima Ana Brun, con il suo ritratto di donna che cerca di lasciare il percorso sempre più intricato, e infelice, di una vita e di un amore giunto al termine, è già, a detta di tutti, tra le favorite per il premio alla migliore attrice: “In questo film mostro molto più di un personaggio. Mostro tanto di me stessa, della mia vita. Di più non voglio dire. Ma da paraguaiana sono grata a Marcelo per aver realizzato una storia così bella sulla storia di un amore, del mio paese, e sulla difficile, dolorosa ricerca della verità“.
Simone Porrovecchio, cinematografo.it, 16/2/2018

Critica (2):I tre cortometraggi che hanno preceduto questo esordio del paraguaiano Marcelo Martinessi raccontavano i margini della società del suo paese, o comunque le classi popolari, in cui le persone parlano il guaranì o le sue ibridazioni creole con il castigliano; un paese, il Paraguay, di cui, a ben guardare, in Europa si sa poco o niente, se non magari che nel 1947 fu scosso da una guerra civile (che fa da sfondo al primo di quei corti, Karai Norte, 2009) e che l’instabilità politica in seguito a quella guerra portò nel 1954 a una delle dittature più odiose del Sud America, quella di Alfredo Stroessner, durata fino al 1989, con conseguenze che si riverberano tutt’oggi sulla nazione e sulle sue difficoltà economiche.
Con Las herederas, Martinessi si porta invece al centro di quella società, ad Asunción, in un contesto borghese che per inclinazione tiene le porte selettivamente chiuse alla realtà di cui sopra, pur essendone circondata e sfruttandola alla bisogna. Al centro di questo microcosmo, una casa in disarmo, la dimora di una coppia di signore mature, Chiquita (Margarita Irun) e Chela (Ana Brun), le quali, oltre che eredi, come dice il titolo, di un benessere e di un patrimonio che non hanno saputo gestire, sembrano essere le mancate testimoni dei drammi del loro paese. In questa sottrazione al tempo corrente, e agli accidenti della società, si colloca l’accettazione senza questioni o discriminazioni della loro relazione d’amore. Quando Chiquita, che delle due è la più estroversa, è incriminata per debiti, e si deve presentare a scontare la pena in un carcere dove i diaframmi sociali vengono meno, l’equilibrio sedato di Chela, abituata a stare riparata in casa, a sbirciare la vita dal bordo della pagina, sembra subire uno smottamento che si traduce in un lento risveglio. Quando un’amica le chiede un passaggio in macchina per andare a giocare a bridge e questa cosa diventa progressivamente un impegno fisso e retribuito, esteso ad altre signore del club, Chela sembra addirittura scoprire che, per sopravvivere, è anche possibile lavorare, e non è necessario adottare soluzioni radicali come alienare i mobili e i servizi neoclassici della trisnonna, o mettere in vendita la stessa auto. In questo ruolo improvvisato di taxista per signore Chela incrocia la figlia di una di loro, la bella Angy, (Ana Ivanova), ed è presto palese, forse fin troppo, un’altra epifania: di fronte alla seducente energia della giovane, che si rivela più libertina di quel che ci si potesse aspettare, la donna più matura si confronta col risveglio inatteso del desiderio. Tuttavia, sebbene il campo, tutto sommato, sia libero, e la fedeltà di Chiquita in carcere sia sub judice, questo anelito non si concretizza in atto, nemmeno quando si presenta esplicitamente l’occasione.
Martinessi ha il merito di affrontare il rapporto tra le due compagne e la crisi dello stesso, sullo sfondo di un milieu quasi esclusivamente femminile, con qualche bella notazione ironica, evitando i luoghi comuni o gli sconfinamenti grotteschi, o crudeli (benché la situazione iniziale possa ricordare plot aldrichiani, come Piano, piano dolce Carlotta o L’assassinio di Sister George). Questo non gli evita una certa prevedibilità quasi meccanica nelle soluzioni di sceneggiatura anche se resta difficile, in fondo, rimproverargli il finale “spalancato”, che ci ricorda che se il desiderio in purezza non può avere spazio in campo, ma piuttosto una collocazione sempre rimandata a un altrove, la soluzione non può che essere l’uscita dalla scena stessa: la liberazione da un’eredità che è catena, se non zavorra, anche per chi vive nel privilegio.
Alessandro Uccelli, cineforum.it, 17/2/2018

Critica (3):

Critica (4):
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