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Roma


Regia: Cuarón Alfonso

Cast e credits:
Soggetto, sceneggiatura e fotografia: Alfonso Cuarón; montaggio: Alfonso Cuarón, Adam Gough; scenografia: Eugenio Caballero; arredamento: Bárbara Enríquez; costumi: Anna Terrazas; effetti: Sergio Jara, Alex Vasquez, Miguel De Hoyos, Doug Spilatro; suono: Sergio Diaz, Skip Lievsay; interpreti: Yalitza Aparicio (Cleo), Marina de Tavira (Signora Sofía), Diego Cortina Autrey (Toño), Carlos Peralta (Paco), Marco Graf (Pepe), Daniela Demesa (Sofi), Nancy García (Adela), Verónica García (Signora Teresa), Andy Cortés (Ignacio), Fernando Grediaga (Signor Antonio), Jorge Antonio Guerrero (Fermín), José Manuel Guerrero Mendoza (Ramón), Latin Lover (Professor Zovek), Zarela Lizbeth Chinolla Arellano (Velez), José Luis López Gómez (pediatra), Edwin Mendoza Ramírez (medico), Clementina Guadarrama (Benita), Enoc Leano (Político), Nicolás Peréz Taylor Félix (Beto Pardo), Kjartan Halvorsen (Ove Larsen); produzione: Nicolás Celis, Alfonso Cuarón, Gabriela Rodriguez per Esperanto Filmoj, Participant Media; distribuzione: Netflix; origine: Messico-Usa, 2018; durata: 135’.

Trama:Le vicende di una famiglia borghese messicana che vive nel quartiere Roma a Città del Messico negli anni settanta. In un anno turbolento Sofia, madre di 4 figli, deve fare i conti con l'assenza del marito, mentre Cleo affronta una notizia devastante che rischia di distrarla dal prendersi cura dei bambini di Sofia, che lei ama come se fossero i propri...

Critica (1):Ci sono periodi nella storia che lasciano cicatrici nelle società, e momenti nella vita che ci trasformano come individui. Tempo e spazio ci limitano, ma allo stesso tempo definiscono chi siamo, creando inspiegabili legami con altre persone, che passano con noi per gli stessi luoghi nello stesso momento. ROMA è il tentativo di catturare il ricordo di avvenimenti che ho vissuto quasi cinquant’anni fa. È un’esplorazione della gerarchia sociale del Messico, paese in cui classe ed etnia sono stati finora intrecciati in modo perverso. Soprattutto, è un ritratto intimo delle donne che mi hanno cresciuto, in riconoscimento al fatto che l’amore è un mistero che trascende spazio, memoria e tempo.
(commento del regista, La Biennale di Venezia, labiennale.org)

Roma, il film più personale mai realizzato finora dal regista e sceneggiatore Alfonso Cuarón, narra un anno turbolento nella vita di una famiglia borghese, nella Città del Messico degli anni Settanta. Cuarón, ispirato dalle donne della sua infanzia, offre una raffinata ode al matriarcato che ha plasmato il suo mondo. Vivido ritratto dei conflitti interni e della gerarchia sociale al tempo dei disordini politici, Roma segue le vicende di una giovane domestica, Cleo, e della sua collaboratrice Adela, entrambe di origine mixteca, che lavorano per una piccola famiglia nel quartiere borghese di Roma. Sofia, la madre, deve fare i conti con le prolungate assenze del marito, mentre Cleo affronta sconvolgenti notizie che minacciano di distrarla dalla cura dei quattro figli della donna, che lei ama come fossero suoi. Mentre cercano di costruire un nuovo senso di amore e di solidarietà, in un contesto di gerarchia sociale dove classe ed etnia si intrecciano in modo perverso, Cleo e Sofia lottano in silenzio contro i cambiamenti che penetrano fin dentro la casa di famiglia, in un paese che vede la milizia sostenuta dal governo opporsi agli studenti che manifestano. Girato in un luminoso bianco e nero, Roma è un ritratto intimo, straziante e pieno di vita dei modi, piccoli e grandi, con cui una famiglia cerca di mantenere il proprio equilibrio in un periodo di conflitto personale, sociale e politico.
labiennale.org

Critica (2):In un festival accusato di “maschilismo tossico” arriva con Roma un dramma epico dove le donne sono protagoniste assolute. Un film molto personale, un omaggio, una lettera autobiografica, un album di ricordi che riporta Alfonso Cuarón a girare in Messico, cosa che non faceva dai tempi del suo esordio. Una saga familiare come quelle che la letteratura sudamericana ci ha insegnato ad amare, una vicenda privata alla quale si sovrappone però continuamente la dimensione pubblica, sociale, storica di un paese alle prese con una fase cruciale.
Roma, quartiere middle-class di Città del Messico, 1970/71. Una famiglia borghese, il padre medico sempre assente, la madre chimica sempre presente, quattro figli, una nonna, due domestiche di origine mixteca e un autista, un cane, una casa con due piani e tante stanze disordinate, piene di oggetti, libri, pezzi di vita. E poi un piccolo cortile nel quale costa fatica far entrare due automobili, la sovradimensionata Ford Galaxy del dottore soprattutto che rischia ogni volta di lasciarci uno specchietto e pestare una delle tante cacche lasciate dal cane sul selciato. Fuori dalla porta di casa un mondo in fermento dove tutto si muove e produce rumore anzi rumori, innumerevoli rumori: clacson, motori, note musicali, ronzii, urla (di un corteo, di un addestramento paramilitare, di una sala parto) e poi le onde del mare, il crepitio di un incendio, una canzone per il nuovo anno. Voci e rumori che suonano e risuonano con il proprio accento, avvolgendo lo spettatore e trasportandolo in quello stesso mondo. Intanto lo sguardo viene rapito dai magistrali movimenti di macchina (panoramiche, carrelli, piani sequenza) che vanno a costruire lo spazio (della casa e della città ma anche la spiaggia, il pueblo, una ricca tenuta in mezzo al verde) insieme a un uso della profondità di campo degno di Mizoguchi.
Tutto è perfetto, talmente tanto da tenere un po’ a distanza l’emozione. Un costrutto imponente, ondivago e allo stesso tempo precisissimo dove gli elementi vengono disseminati e ripresi, i dettagli minuziosamente scritti e descritti con la vicenda che si compone mentre la famiglia si scompone. A tenerla insieme, nonostante tutto, a ridefinirne gli equilibri ci sono Cleo, la domestica, con la sua impassibile resilienza e Sofia, la madre, che deve essere “forte per i bambini”. Insieme, per riscrivere una nuova avventura che vada oltre, che voli più alto (come gli onnipresenti aerei) delle bassezze degli Uomini. I continui movimenti della macchina da presa vengono infatti interrotti da interpunzioni improvvise, inquadrature fisse che avvicinano Cleo, Sofia e i bambini appoggiandoli l’uno sull’altro come sopravvissuti che si sostengono a vicenda oppure squarci che portano un personaggio maschile a irrompere di colpo in scena smuovendo nuovamente gli equilibri faticosamente ricostruiti. Queste meteore sempre fuori luogo e fuori tempo sono proprio gli uomini di Cleo e Sofia. Antonio e Fermín incapaci di esserci quando serve, di assumersi le proprie responsabilità, di essere umani prima ancora che uomini. Così le donne sono costrette a stringersi e sorreggersi in una sorta di mutuo soccorso femminile, forzato, disperato, affettuoso, profondamente umano. E qui sta la cifra di un grande film, firmato da un uomo, che si riappacifica con la propria memoria restituendo alle sue donne la grandezza della loro forza e della loro libertà.
Chiara Borroni, cineforum.it, 17/9/2018

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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